Intervista a Paolo Crepet
San Benedetto del Tronto | Il noto psichiatra a 360° sui giovani e sul disagio
di Valentina De Cosmis
Quanto ha influito la necessità di usare un linguaggio più divulgativo che tecnico sul suo lavoro?
Io credo che, quando si ha una visione chiara dei concetti, si può parlare in maniera semplice. Colui che parla di concetti poco chiari persino a se stesso, sarà invece costretto ad usare un linguaggio difficoltoso. Quand’ero ragazzo ho scritto dei libri incomprensibili anche a me stesso, poi, con l’esperienza, avendo elaborato un mio punto di vista, sono stato in grado di usare un linguaggio divulgativo.
Attraverso quali mezzi è riuscito a elaborare un’immagine dei giovani contemporanei?
130 conferenze e 1300 lettere lette l’anno, conferenze nelle scuole, visite nello studio…ho molti mezzi, ma non pretendo di interpretare la categoria giovanile: non è un sindacato. Un’idea però me la sono fatta.
A proposito di scuole, quanto il sistema scolastico pesa sul disagio giovanile?
Personalmente, non ho una gran opinione del sistema scolastico italiano, ma non posso credere che sia così tossico. A esser pessimisti è ininfluente. Potrebbe essere influente positivamente ma, su questo, ho qualche dubbio. Penso che sia come una tazza di brodo insipido.
Ne “I figli non crescono più”, le si chiede “Ma se gli adolescenti crescono così precoci, perché non metterli anche nelle condizioni essere responsabili?”: lei parla di dare il voto a ragazzi di sedici anni...
Questa è una proposta che, qualche tempo fa, è stata avanzata anche da qualche uomo politico influente ma non se ne è fatto niente. E, non so perché, ma credo che, alla fine, i giovani facciano anche abbastanza paura. Io continuo a ritenere che la politica italiana abbia bisogno di una svangata, come si fa con i campi dopo l’inverno, cioè di un mettere in circolazione nuove passioni, nuove idee. Dare il voto a sedici anni potrebbe essere d’aiuto a ciò. Si potrebbe cominciare dalle amministrative: non accadrebbe nulla di strano. Del resto, io appartengo ad una generazione a cui, un giorno, hanno detto che non si sarebbe più votato a ventuno anni ma a diciotto. Non è successa la guerra civile, anzi la nostra comunità si è un po’ ringiovanita. Siamo andati a votare le nostre idee e non Gina Lollobrigida o Sofia Loren, non abbiamo buttato via quella grande occasione e l’Italia se ne è giovata. Se ci fossero più parlamentari giovani ci sarebbero anche politiche giovanili migliori, destra, sinistra e centro in egual modo. Immagino che un ragazzo vorrebbe case più facilmente affittabili, un lavoro meno instabile, nuove prospettive di lavoro, un’università più meritocratica e meno baronale...
Una società come la nostra che tende a colpevolizzare molto i genitori, sotto ogni aspetto, non rischia di deresponsabilizzare i giovani, facendoli sentire autorizzati a compiere ogni genere di azione?
Penso che ognuno debba assumersi le proprie responsabilità, compresi i ragazzi. Se un ragazzo picchia un suo compagno, deve essere punito: non posso pensare di punire suo padre. È lui che, sebbene abbia sedici o diciassette anni, è responsabile di quello che ha fatto. Ecco un altro dei motivi per cui vorrei portare la maggiore età a sedici anni: i ragazzi devono essere penalmente responsabili dei crimini che commettono. Non possono pensare di farla franca: se un giovane alto un metro e novanta massacra un poliziotto in uno stadio, come è possibile che non sia penalmente perseguibile solo perché non ha ancora compiuto diciotto anni?
Se si può guidare una moto che va a 200 km/h a sedici anni, non vedo perché non si possa votare.
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03/03/2007
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