Intervista a Nicoletta Vallorani
| SAN BENEDETTO - La scrittrice di origini offidane ma formatasi a San Benedetto insegna all'Università Statale di Milano.
di Benedetta Trevisani
Il personaggio: Nicoletta Vallorani, scrittrice.
Nicoletta Vallorani, di origini offidane, ha vissuto le prime esperienze formative di vita e di scuola a San Benedetto, per poi affrontare con gli studi universitari e il lavoro una città come Milano, diversa e impegnativa. Laureata in lingue, si è formata alla scrittura anche come traduttrice e ora insegna lingua e letteratura inglese all'Università "Statale" di Milano.
Suo primo romanzo è Il cuore finto di DR, che ha vinto il premio Urania nel 92 ed è stato pubblicato nel '93. Si avvia così un percorso letterario costellato di titoli che spaziano dal genere fantascientifico, al giallo, al noir, con interessanti puntate nella letteratura per bambini. Ne citiamo alcuni: Dentro la notte, e ciao, nel 95 per Granata Press; La fidanzata di Zorro, nel '96 per Marcos y Marcos; DReambox, nel 97 per Mondatori; Luca De Luca detto Lince e Pagnotta e i suoi fratelli, minigialli per bambini pubblicati da E. Elle; e ancora Cuore meticcio, che rilancia le imprese della stranita detective Zoe Libra, per arrivare ad Eva, un noir del 2002 edito da Einaudi nella collana Stile libero. Con Nicoletta Vallorani la letteratura di genere rifugge dall'evasione in uno spazio letterario facile e leggero; nei suoi libri l'ironia e il gioco verbale hanno il compito di portare a galla il "fattore umano".
Se nascere qui è stato un punto di partenza (o un incontro fondamentale), come o quando è nato l'interesse per l'attività che stai svolgendo altrove?
Per quanto mi sia sempre affannata a negare di aver radici da qualche parte, ho mentito, o detto solo parte della verità. Nascere in un posto piuttosto che altrove è una trama di sottofondo intorno alla quale si costruisce la tua persona: il posto da dove vieni, per dirla in modo semplice, rappresenta le ossa del tuo stare nel mondo. Le ossa si allungano, i muscoli e la pelle le proteggono, il tempo cambia il profilo del corpo, ma quello che eri in principio, in qualche modo nascosto di cui non sei consapevole, resta. Quello che più si avvicina alla verità, come ho detto altre volte, è che le mie radici hanno il colore e la consistenza del mare vicino al quale sono cresciuta. Anche i miei primi, insopportabili dolori hanno la stessa consistenza, e da quelli - dai dolori cioè - qualunque persona sana di mente scappa. Adesso che ho figli capisco che la sofferenza di quell'età, per quanto insopportabile possa sembrare, a un certo punto passa. Ed è necessaria, in buona parte anche se non in toto. Cosa mi è rimasto ora? La consapevolezza di non essere mai stata abbandonata, la sensazione di aver avuto le spalle coperte in un posto piccolo dove ero riconoscibile (condannabile? Etichettabile? Questi sono gli aspetti negativi)? La voglia di trovare una voce è nata lì, anche dalle etichette che è così facile guadagnarsi in provincia: voglio - e ho sempre voluto - avere una voce mia, poter dire quello che voglio con estrema, profonda libertà e assoluto rispetto della voce degli altri. La mia storia dimostra che è possibile, credo. Poi: quando dico che il mare ti resta dentro quando ci sei cresciuta vicino intendo anche la forza, l'incapacità di arrendersi, la convinzione che se davvero vuoi qualcosa non devi - mai e per nessun motivo - fermarti. Puoi essere costretto a rallentare, ma non ti è permesso stare fermo. Calma piatta vuol dire niente vita, niente da pescare.
Quali sono, a tuo parere, le tappe importanti che ti hanno permesso di raggiungere la meta attuale?
Nascere dove sono nata e separarmene. Detestare il posto dov'ero cresciuta per poi tornare a vederlo emozionandomi persino un po'. Essere conosciuta e riconosciuta. Mettere una distanza tra quella che sono e quella che ero, per poi divertirmi a riempirla di ricordi. Avere quest'idea del viaggio dentro, e della vita come movimento. Passarla alle mie figlie, l'idea, insieme all'amore per il mare di qui.
Quali sono a partire da ora i tuoi progetti o le tue aspettative?
Non lo so. Non so mai rispondere. Vivere è un'impresa che basta a se stessa. E' un fine in sé. Perciò vivo e basta. Riempio la mia vita di quello che ho. E' tutto. E mi aspetto di essere sempre capace di dire quello che penso senza ferire troppo chi non merita di essere ferito.
Che cosa significa per te il ritorno?
Un nuovo transito. Torno in un posto per vedere come sono cambiate le cose che conosco, e sapendo che me ne andrò di nuovo. Non posso pensare di stare ferma, come non posso pensare di smettere un giorno di scrivere, o di voler bene alle mie figlie.
Quale presenza conserva il luogo di origine (o formazione) nell'opera o nell'attività?
Il senso della libertà. Il mare è un orizzonte più ampio, che per chi ci cresce vicino tende a identificarsi nel senso della vita. La mia paura più grande è quella di finire chiusa. Sono entrata una sola volta nel carcere di S.Vittore per un incontro con le detenute, e mi vergogno molto di non essere più stata capace di tornarci. Non sopporto le gabbie, fisiche e mentali, e questo credo valga per molti di noi, solo che non sempre abbiamo il coraggio di ammetterlo. E di batterci per eliminarle.
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14/02/2003
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