Si tratta di una approfondita analisi dei dati numerici (entrate-uscite, partecipazione di pubblico, quantità di rappresentazioni, maestranze impiegate, biglietti venduti, ecc.) messi accanto e fatti interagire con i contenuti culturali. Dove questi ultimi, necessariamente, si riverberano sui valori umani e civili, nonché vanno a costituire quella sorta di benessere psicofisico dei cittadini che, usando una parola più poetica, si può chiamare felicità.

È uno studio particolarmente interessante proprio perché si distacca decisamente dal luogo comune che vede la cultura solo in funzione del turismo, o del commercio, e quindi la giudica con i parametri propri di queste categorie. È necessario, invece, riconoscere che la cultura ha ed è un valore in sé. Importantissimo. Fa parte dello stato sociale.

Così come l’abbattimento delle barriere architettoniche è entrato nella comune consapevolezza quale elemento irrinunciabile di civiltà, anche gli eventi e i beni culturali devono essere considerati imprescindibili strumenti per la vivibilità, la democrazia e il dialogo fra gli uomini.

È auspicabile che il “Bilancio sociale” prenda piede sempre di più. Che sia usato sempre di più dai vari enti pubblici, affinché ogni evento venga valutato nella complessità delle ricadute. Certamente economiche, ma anche educative, di crescita spirituale e di promessa di felicità.

Forse, usando tale strumento di studio, ci troveremo a ridimensionare molti spettacoli di dubbio gusto, quali si rivelano gli scimmiottamenti televisivi con donnine scosciate e vip impasticcati. E magari ci troveremo a rivalutare altri eventi più nascosti, ma particolarmente ispirati ed espressivi.