Enrico Pieranunzi e Valeria Di Felice: emozioni allo stato puro
San Benedetto del Tronto | Emozionante e coinvolgente, l’appuntamento di In Art con il maestro Enrico Pieranunzi e l’autrice di poesie Valeria Di Felice domenica 6 novembre al Medoc ha lasciato un’impronta nei cuori di tutti i presenti.
di Elvira Apone

un momento dell'evento del 6 novembre
L’associazione culturale Rinascenza, sotto la direzione artistica di Annalisa Frontalini, domenica 6 novembre al Medoc, nell’ambito della rassegna letteraria e musicale In Art, ha presentato una serata di grande spessore artistico, in cui la poesia di Valeria Di Felice e le storie messe in musica dal maestro Enrico Pieranunzi e cantate dalla splendida voce di Simona Severini hanno creato un magico connubio tra poesia e musica, conducendo il pubblico sul filo di forti emozioni. A dialogare con gli ospiti è stato il direttore dell’Istituto Statale Superiore di Studi Musicali e Coreutici di Teramo G. Braga, Federico Paci, diplomato in clarinetto, concertista, direttore d’orchestra, consulente artistico di diversi eventi musicali e pedagogo, che ha sottolineato la necessità di educare le generazioni future all’ascolto della musica e, più in generale, all’approccio all’arte, cosa che, come anche il maestro Pieranunzi ha rilevato, avviene sempre più di rado, a causa di una società in cui l’industria basata sulle immagini, per la frenetica velocità con cui vengono proposte e fruite, sta allontanando i giovani da tante forme d’arte che necessitano, al contrario, di più tempo per essere conosciute e apprezzate. La lettura di alcune poesie tratte dal libro “Attese” di Valeria Di Felice è stata affidata a Giordana Marconi, attrice con esperienza nel teatro e nel cinema, diplomata sia alla scuola Minimo teatro di Maurizio Boldrini sia all'accademia cinematografica di Giovanni Fiorani Pantaleoni e perfezionatasi presso il Duse International di Francesca De Sapio con il metodo Stanislavsky-Strasberg. Durante la presentazione del libro, Valeria Di Felice ha anche colto l’occasione per annunciare la nascita di una nuova collana editoriale che sarà diretta da Annalisa Frontalini e che si chiamerà “Note di Rinascenza”: un progetto a metà strada tra musica ed editoria in cui si collocheranno testi scritti da musicisti che si racconteranno non con la musica, ma attraverso le parole (romanzi, racconti, poesie).
Un incontro, dunque, in cui è stata narrata una storia, anzi, sono state raccontate tante storie, storie nate da anime in fermento, da anime che hanno mirabilmente espresso con le parole e con la musica il proprio mondo interiore, un universo poliedrico e variegato che hanno poi condiviso con il pubblico di In Art, anime in cui il germe dell’arte ha prodotto frutti miracolosi, tradotti attraverso un linguaggio raffinato e sublime, che richiede impegno e coinvolgimento per essere recepito, ma che scardina le pareti del cuore, le viola per poi ricomporle, trasformando chiunque, proprio con il cuore, ha saputo ascoltarlo e farlo proprio.
Valeria Di Felice, da sempre appassionata di poesia e di letteratura, ha raccontato con garbo e delicatezza la sua genesi come autrice di versi, il suo amore per i libri e l’editoria, che l’ha portata alla fondazione della Di Felice edizioni nel 2010.
“C’è un collegamento tra questa tua ultima raccolta di poesie, “Attese”, e quella precedente, “L’antiriva”?
Valeria Di Felice: “Un collegamento c’è. L’attesa, in realtà, è sempre stata la colonna sonora di tutta la mia poetica, una dimensione di sospensione, in cui si sperimenta una condizione di immobilità e di dipendenza da ciò che si desidera; l’attesa è sempre stata la mia fonte di ispirazione e, soprattutto negli ultimi anni, ho sentito la necessità di addentrarmi ancora di più in questa dimensione per meglio capirla e per rinnovare me stessa. Ho, quindi, deciso di scrivere queste poesie che poggiano tutte su un duplice atteggiamento nei confronti dell’attesa: l’attesa vissuta come resa, come rinuncia, come un buttare le redini di se stessi e aspettare in modo passivo, oppure l’attesa come tempo che ci concediamo per lottare e per ottenere ciò che desideriamo. Non a caso, il titolo di queste poche liriche, nemmeno quaranta, è al plurale, cioè attese, perché forse è una dimensione che dobbiamo cogliere volta per volta”.
“Come mai sono state tradotte in rumeno e pubblicate in Romania?”
Valeria Di Felice: “Conoscevo già il traduttore, Geo Vasile, perché aveva lavorato per la mia casa editrice; nonostante il mio pudore, ho condiviso con lui le mie poesie, gli sono piaciute e da qui è nata l’idea di pubblicarle in Romania con testo bifronte. So che al momento le stanno traducendo in Marocco e in Spagna e spero di pubblicarle anche in Italia l’anno prossimo”.
“Sei nata prima come editrice o come autrice?”
Valeria Di Felice: “È la poesia che mi ha fatta avvicinare al mondo dell’editoria. Sin da piccola ho sempre nutrito una passione per la poesia; poi, per quasi tutto il periodo dell’adolescenza, l’ho abbandonata, anzi, ho avuto addirittura un blocco per la lettura, se non per quella scolastica, e poi l’ho ripresa verso i diciotto, diciannove anni e da quel momento è nato con la poesia un rapporto quasi viscerale fino a quando, partecipando a un premio letterario a Reggio Calabria, ho conosciuto una casa editrice durante la cerimonia di premiazione e da lì è iniziata la mia avventura editoriale. Ho cominciato a lavorare per questa casa editrice, un’esperienza bellissima che mi ha messo alla prova, finché, dopo tre anni, nel 2010, ho deciso di aprire la mia casa editrice a Martinsicuro”.
“Che cosa rappresenta per te la poesia?”
Valeria Di Felice: “È una sorta di religione, o comunque una preghiera laica, lo strumento che io uso per elaborare le mie energie, un mezzo che mi aiuta ogni volta a immergermi in questa specie di bolla della mia interiorità, una sonda che a volte si spezza, altre volte riesce a entrare e a illuminare quelle che sono le camere oscure della mia emotività. Nel mio caso, si tratta di una poesia dell’assenza, della mancanza, una poesia che nasce da un’asprezza, da una dissonanza, ma che tenta di arrivare a una pienezza”.
“Hai dei modelli, o, comunque, dei poeti che prediligi e da cui ti senti ispirata?”
Valeria Di Felice: “Dipende dal periodo e dalla situazione che vivo. Ci sono, però, dei poeti ai quali mi sono sentita molto vicina, ad esempio, Rambaud, che mi ha affascinata sia per la sua poesia e sia per la sua poetica, Dino Campana, che mi piace tantissimo, Eugenio Montale, Trakl, Benn e molti altri.
“Che cosa pensi dello spirito che anima questa rassegna?”
Valeria Di Felice: “In realtà io sono sempre molto reticente a presentare i miei libri. In questa occasione, però, mi sono lasciata trascinare dall’entusiasmo contagioso di Annalisa e dalla sua professionalità e serietà. Ringrazio tantissimo tutto lo staff di Rinascenza e Annalisa per avermi coinvolta in questa iniziativa di qualità cui ha dato vita, anche perché oggi è difficile fare cose di qualità, ancor più mettendo in relazione mondi artistici diversi, creando una sinergia in cui si respira davvero un’aria positiva”.
Simona Severini, cantautrice e magnifica interprete delle canzoni del maestro Enrico Pieranunzi in “My Songbook”, ha rivelato:
“Come e quando è nata la tua collaborazione con il maestro Enrico Pieranunzi?”
Simona Severini: “ Ci siamo conosciuti circa quattro anni fa a Milano, in un locale, “Le Scimmie”, in cui lui teneva un concerto e a presentarci è stato Franco Fayenz, dopo di che io gli ho dato un mio piccolo demo di un disco che poi ho pubblicato, dedicato a Gabriel Fauré. Lui lo ha molto apprezzato e, quando ci siamo rivisti dopo un po’ di tempo a un altro concerto, mi ha detto che gli era piaciuto il lavoro che avevo fatto, mi ha mandato un paio di brani suoi e, dopo alcuni altri incontri, è nato questo nostro progetto insieme”.
“So che ami mescolare diversi stili; ce n’è uno che preferisci più degli altri?”
Simona Severini: “Io sono molto legata alla musica folk perché l’ascoltavo da piccola, quindi, più che altro per una questione affettiva; in generale, è vero che amo mescolare i generi, ma perché credo che l’idea di genere musicale non sia più un concetto contemporaneo, ma che tenda a scomparire. Dal mio punto di vista, per il modo in cui intendo la musica, non ha senso parlare di generi, quindi, per questo amo mescolarli, proprio perché non parlerei di vera e propria mescolanza”.
“Avendo lavorato con diversi artisti sia nel campo della musica leggera sia in quello del jazz, quale è la principale differenza che hai rilevato?”
Simona Severini: “Nell’ambito non jazzistico, ho lavorato con due cantautori, Ron e Pacifico, e sono state due esperienze bellissime, in particolare quella del tour con Pacifico; quasi nello stesso periodo, io stessa ho cominciato a scrivere canzoni mie, quindi, ho potuto tastare anche su di me la differenza. Si tratta di due modi differenti di elaborare il materiale musicale; nel cantautorato, in particolare in quello italiano, l’attenzione è molto concentrata sulle parole; più si va verso il pop, più si incontrano regole molto rigide e, quindi, c’è meno libertà interpretativa che nel jazz perché il punto fermo è il testo e la musica deve contribuire a far risaltare il testo; si tratta, quindi, sicuramente di un mondo più rigido, ma da questa esperienza ho imparato tantissimo, soprattutto per quanto riguarda la composizione dei testi”.
“A questo proposito, ti preferisci come cantautrice o come interprete?”
Simona Severini: “Ho iniziato a scrivere testi da cinque o sei anni e a breve pubblicherò un disco di canzoni mie. Fare l’interprete e cantare i propri brani sono due cose diverse; quello che ho capito con il tempo è che, anche quando canto i miei pezzi, preferisco sempre avere un approccio da interprete, cantarli come se non fossero miei”.
“Cosa pensi di questa iniziativa in cui la musica jazz, ad esempio, viene suonata in un pub?”
“Mi sembra un’iniziativa molto interessante; la musica jazz è nata proprio in posti come questo, anzi, in scantinati, quindi, un posto del genere ha molto più a che fare con le radici di questa musica più che un grande auditorio o una sala da concerti”.
E, per finire, la parola è andata al grande pianista Enrico Pieranunzi, compositore, arrangiatore, autore di testi, conosciuto in tutto il mondo anche come interprete di alcune celebri melodie scritte da Ennio Morricone per film come “Novecento”, “C’era una volta in America”, “Nuovo cinema Paradiso”:
“Come è nato il CD “My Songbook”, in cui lei è anche autore?
Enrico Pieranunzi: “Questo CD nasce proprio perché ho raccolto dodici brani di cui ho scritto la musica e, in alcuni casi, anche le parole; il filo rosso che li unisce è proprio il fatto che tutti hanno le parole, quindi, si tratta di canzoni. Alcuni sono nati strumentali e dopo sono diventate canzoni, alcuni pezzi sono in inglese, altri in francese e altri ancora in italiano; ci sono anche due brani che hanno avuto il trattamento opposto, cioè erano testi che io poi ho messo in musica. Volevo, insomma, raccogliere tutto questo materiale sparso che avevo e che è stato unificato anche grazie alla bellissima voce di Simona Severini, una voce aggraziata di estrema musicalità, garbo e intensità”.
“Come nasce una canzone: è frutto di ispirazione, di riflessione, di lavoro o di tante cose messe insieme?”
Enrico Pieranunzi: “Una canzone può nascere in due secondi o in un mese; in genere, la nascita di una canzone è un momento abbastanza inspiegabile; quello che, invece, si può spiegare è come la canzone viene poi arrangiata, proposta, allestita, perché uno stesso pezzo può essere fatto in tanti modi: lento, veloce, a tempo di samba e così via. Nell’arrangiamento c’è la massima libertà, che ha anch’essa importanza proprio perché se si trova la giusta chiave di arrangiamento una canzone può avere più o meno successo. L’ispirazione è un termine affascinante di cui è difficile parlare, che suscita in me un certo imbarazzo perché è un momento estremamente intimo, solitario e insondabile, ma è vero che quando accade ci si sente dentro qualcosa di speciale, una specie di sospensione che cambia il tuo rapporto con tutto quello che hai intorno, che ti porta in un altro tempo”.
“Lei ha affermato di aver avuto tante vite diverse: che altre vite ha vissuto oltre a quella del musicista?”
Enrico Pieranunzi: “Ad esempio, ho scritto un libro, cioè ho fatto lo scrittore per alcuni anni e ho pubblicato questo libro per Stampa alternativa, quindi, so che cosa significa fare lo scrittore. Poi, forse può sembrare paradossale, ma un’altra vita che sto sperimentando è quella del nomade: per una serie di ragioni, viaggio molto di più adesso di quando avevo trenta o quaranta anni, quindi, ora sto sperimentando il fascino e la difficoltà del nomadismo geografico, il raffrontarmi con pubblici diversi, una vita molto diversa da quella che facevo prima, in cui ero più legato al Conservatorio dove insegnavo, mentre ora sono più libero e ho tutto un altro modo di rapportarmi all’esistenza”.
“Lei ha suonato in tutto il mondo: c’è un’esperienza che ricorda con più affetto e soddisfazione?”
Enrico Pieranunzi: “Mi piace suonare dappertutto, ma un paese in cui amo molto suonare e che ricordo con particolare affetto è il Giappone, un paese in cui la musica jazz, soprattutto europea, è molto apprezzata; in generale, i giapponesi sono molto rispettosi, gentili, affettuosi e lì ho da molti anni un’ottima reputazione; inoltre, ho provato emozioni incredibili suonando a Parigi, una città ora un po’ stanca e provata a causa di questi ultimi avvenimenti terroristici, ma che io ho vissuto in epoche migliori, in cui era meno segnata; poi amo New York, perché devo dire che suonare a New York, come faccio io da molti anni con musicisti americani in uno dei locali jazz più prestigiosi al mondo, che si chiama Village Vanguard, una cantina che esiste già da trentacinque anni ma che mantiene intatto il suo prestigio e attira musicisti da tutto il mondo, è un’esperienza che dà emozioni forti e spinge a dare il meglio, un’esperienza che non avrei mai immaginato di fare”.
“Esiste un filo conduttore, un tema, un aspetto che ricorre almeno in alcuni dei suoi tanti dischi?”
Enrico Pieranunzi: “Ogni disco per me è sempre un’opportunità di scrivere nuovi pezzi o di rivisitarne alcuni che avevo scritto e poi abbandonato e che magari poi riprendo e ripropongo; volendo essere un po’ immaginativi, il filo conduttore che li lega è la volontà di raccontare la mia storia, quella visibile, che è la musica, e quella non visibile, spesso nascosta nei titoli delle canzoni, che rimandano a pezzi della mia vita”.
“Che cosa pensa di questa rassegna che vuole accostare forme d’arte diverse?”
Enrico Pieranunzi: “Mi sembra una meraviglia, un sogno; è una di quelle cose paradossalmente più facili da realizzare in centri più piccoli, dove c’è un rapporto più stretto tra le persone che ci vivono rispetto alla grande città, anche se immagino che anche qui sia difficile. A Roma, dove vivo, situazioni simili sembrano impensabili. L’idea mi sembra comunque bellissima e molto coraggiosa e vi faccio i miei migliori auguri”.
Raccontare e raccontarsi, quindi, per lasciare in ognuno un segno indelebile, un ricordo, una sensazione di piacere e di estasi, l’incanto di momenti vissuti intensamente, godendo a pieno di quell’arte che sa solo regalare emozioni allo stato puro.
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08/11/2016
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