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La morte di un Dio

San Benedetto del Tronto | Culto divino nell'interpretazione del Professor Angelo Filipponi.

di Angelo Filipponi

Flavio (Ant. giud., XI,211), dopo aver parlato della congiura e della morte di Gaio Caligola, conclude dicendo che il sovrano aveva trattato con amore e rispetto i suoi amici Agrippa ed Antioco turannodidaskaloi, poi era diventato demokraticotatos molto democratico e si era allontanato dalla sua stessa paideia e docsa, nobiliare, propria del perfetto Basileus/re e perciò i suoi amici, perciò, volta l'amicizia in odio, tramarono e l'uccisero.

Lo stesso Flavio aveva già mostrato all'inizio del libro il farsi Theos di Gaio ed aveva evidenziato l'ectheosis, imposta ai sudditi ,(ecsetheiaze d'eauton, kai tas timas ouketi anthropinas hcsiou gignesthai para toon uphkooon autooi/ si deificò e pretendeva che gli fossero dati dai sudditi onori che non erano propri di un uomo), la persecuzione sia contro la Ioudaea che contro i giudei ellenisti, la riduzione di Roma a città normale, dopo aver innalzato Alessandria come capitale, l'esautorazione del senato, l'abbattimento dei privilegi dei cavalieri col conseguente o esilio o confisca dei beni.
Per lo storico Gaio si era equiparato con Zeus, considerato come un fratello, ed era stato celebrato come dio secondo un preciso cursus di deificazione progettato per gradi, secondo Filone (Legatio ad Gaium), da un'équipe alessandrina a suo servizio, in un passaggio da una fase eroica di deità minore ad una crescente intitolatura di divinità maggiore.

Al progetto era seguito una perfetta spettacolarizzazione per il popolo, cadenzata per tutto l'anno 40 d.C., con manifestazioni divine (epiphaneiai) in cui veniva celebrato il dio mediante effetti speciali grazie alle invenzioni scientifiche dell'epoca, capaci di presentare Gaio come onnipotente, in atto di scagliare fulmini, di tuonare, dominatore di ogni fenomeno naturale.

Ho già mostrato in Caligola il Sublime perfino il culto con cui veniva venerato il Dio Gaio, che aveva un suo gruppo sacerdotale, pagato dallo stato, un suo complesso rituale, propri animali sacri e templi a lui dedicati, e perfino giorni festivi.
Il culto del numen di Gaio era obbligatorio in tutto il mondo romano; in ogni città e villaggio si facevano sacrifici e si dicevano preghiere al Theos Gaio, come avveniva a Dora (Ant. Giud.XIX,308) dove il culto di latria dell'imperatore portava a stasis rivoluzione e a tarachh/ tumulto in senso antigiudaico anche dopo l'avvento di Claudio, che dovette decretare che ogni etnos popolo fosse libero di avere uno specifico culto religioso/threskeia, secondo il proprio costume ethos.

Solo i giudei aramaici (e alcune frange druidiche) fecero opposizioni, subito stroncate dal governatore di Siria Petronio Turpiliano che, riluttante, dovette obbedire al decreto di deportazione o di strage, in caso di non ottemperanza della popolazione al decreto imperiale di installare la statua del nuovo dio nel tempio di Gerusalemme.
La morte del Dio Caligola salvò i giudei e lo stesso governatore, lento nell'eseguire gli ordini.

La uccisione, a Roma, del Theos, perciò, non fu creduta perché un dio non muore: sembrò una delle tante manifestazioni teatrali e quindi ci si aspettava l' anastasis toon nekroon/resurrezione dai morti del Dio.
Per questo Roma fu paralizzata per oltre un giorno e si mosse solo chi sapeva che il Dio era un uomo, che cioè il dio era veramente morto ed ucciso non dai nobili congiurati ma dai pretoriani che, esautorati, reclamavano la liquidazione e che temevano di perderla se il Dio si allontanava da Roma con la nuova guardia del corpo di Germani.

Roma e l'impero rimasero attoniti davanti alla morte del Dio.
Alla theopoiia imperiale doveva aver inizialmente cooperato, in opposizione al team alessandrino greco, Filone di Alessandria in quel momento presente a Roma a capo di una delegazione giudaica, ascoltata, ma condannata in giudizio, da Gaio poco prima della sua morte, che con De Joseph e con la Vita di Mosè poi tanto avrebbe influenzato e condizionato la deificazione di Gesù Christos.

Di Gesù Christos morto nella Pasqua del 36 (secondo i calcoli della enumerazione cristiana errata) solo i giudei popolari aramaici e qualche gruppo di giudei ellenisti avevano pianto la sua morte e nessuno (o quasi) ricordava il suo crimen contro l'impero romano, di fronte all'eccesso del deicidio compiuto a Roma nella persona sebasth/ augusta venerabile dell'autokrator imperator, del nomos epsuchos legge vivente per gli uomini.

Chi nel mondo cristiano ha chiara questa doppia situazione verificatasi nell'impero romano nel giro di cinque anni, conosciuta perfettamente da giudei, da greci e da latini contemporanei?
Chi conformato secondo i principi cristiani, ha mai pensato che proprio il Theos Caligola è onorato come Dio anche in Giudea subito dopo la morte del Messia e venerato anche a Gerusalemme,  annichilita dalla coscienza della fine del Malkuth ha shemaim?

Chi di noi cristiani ha piena coscienza di questi eventi? Quale storico cristiano ha mai capito il valore reale dell'ektheosis di Caligola ed ha minimamente pensato ad un collegamento con la vicenda oscura di un ribelle aramaico fattosi maran/basileusi/re in Palestina, poco prima, nel corso di una crisi politica romana, in epoca tiberiana?
Filone, ebreo, ci ha mostrato con l'incipit di Legatio ad Gaium entusiasticamente l'inizio del regno di Caligola come avvento di un 'era suturnia, di un delirio collettivo di tutte le etnie dell'impero, innamorate universalmente del suo giovane principe, che però, dopo la malattia, inizia la persecuzione contro i giudei e fa un eccidio in Alessandria che coincide con la morte e la divinizzazione di sua sorella ed amante Drusilla come Pantea (Cfr. A FILIPPONI, Una strage di Giudei trad. In Flaccum, testo a fronte E. Book. Narcissus).

Filone, però, non ci mostra la persecuzione di Seiano, tramite Pilato, in Palestina, che dovette generare tragiche ripercussioni, dopo la sconfitta di Artabano ad opera di Vitellio e che, forse dopo la fine del Malkuth ha shemaim, dovette generare pericolose connessioni con i giudei alessandrini.

Perché Filone, Apione e Seneca tutti testimoni oculari (o quasi ) dei due episodi non hanno realmente mostrato quanto era avvenuto?
Apione così attento a mirabilia (paradoxa), antigiudaico, grammatico nuovo Omero per Tiberio e suo cembalo(Cfr Flavio, Contra Apionem) ricordato da Plinio il Vecchio, niente ci ha lasciato di questi episodi, nonostante i miracoli (monstra) di Christos.E Seneca, che è stato ad Alessandria per quasi diciassette anni, spesso commensale dell'alabarca fratello di Filone, ci ha lasciato segni del suo odio feroce contro Caligola e niente dei fatti di Gerusalemme e di Alessandria.

Cito solo questi tre, ma potrei citarne tanti altri a cominciare da Agrippa I, da Lucio Vitellio, da Claudio imperatore, da Agrippina minor che pur lasciarono scritti oltre ai tanti storici tagliati dalla tradizione cristiana...
E Flavio, che conosce bene le fonti giudaiche, sacerdotali, è ben conscio della grave responsabilità giudaica circa la morte del Dio Caligola, ma eroicizza il gesto inconsulto del pretoriano Cassio Cherea, accenna appena alla morte del Christos (Ant Giud, XVIII,63-64) un tekton/Kain non rabbi/sophisths, proclamato dalla pars popolare (sostenuta dagli esseni e dai farisei) Meshiah, preso, vinto ed ucciso dai romani che avevano risolto il problema armeno-palestinese grazie al trattato di Zeugma...

In conclusione da Flavio, in linea con la tradizione giudaica, ci viene questo messaggio: i romani Tiberio-Macrone-Caligola uccisero il Meshiah e fecero finire il malkuth ha shemaim facendo terminare l'insurrezione popolare in Ioudaea (che poi si propagò in Alessandria, in cui fu fatto il primo pogrom della storia), ma i giudei (Agrippa I e Filone e i grandi trapezitai ellenisti furono tra i maggiori responsabili della morte del Dio Gaio Caligola, venerato dal popolo, da tutta la romanitas.
Allora i due eventi non erano comparabili per lo stesso motivo per cui non sono oggi nemmeno da mettere in relazione i due uomini deificati.

Il primo, di sua volontà, si deificò grazie all'exousia imperiale e lasciò certi segni che furono utili per altre divinizzazioni imperiali e non; il secondo, meshiah ebraico sconfitto e crocifisso, considerato figlio di Dio (venuto sulla terra per redimere l'uomo dal peccato), dai suoi seguaci che ne attendevano il ritorno parousia, fu divinizzato dopo circa tre secoli tra infinite constestazioni, secondo il paradigma caligoliano, dopo la sua definizione di uios e di logos rispetto a Pathr e a Pneuma per la costituzione dell' Unità e Trinità divina.Il deicidio fu una novitas per gli abitanti dell'impero che constatarono la morte di un Dio immortale, ucciso da mortali che realizzarono quanto avevano pensato.

L'idea stessa di Morte di dio si costituì dall'esprienza stessa della cruda uccisione di Caligola in relazione allo sbalordimento dei contermporanei  alla notizia del fatto. L'attribuire Morte di dio a  Gesù,dopo lo scambio di nomen upostasis e titoli divini risulta un absurdum artificiale, una costruzione letteraria.

L' absurdum è che storicamente si è archiviata la memoria stessa della divinizzazione di Caligola come opera ridicola di un pazzo, sulla base di una propaganda di ebrei incapaci di tollerare un altro dio oltre JHWH e di accettare la normalità della basileia divina ed assoluta ormai imperante, di matrice ellenistica, unificante la varietà etnica romana, nella loro rigida osservanza legalistica, mentre  si è conservata quella del Messia sconfitto deificato secondo gli stessi parametri in relazione alle stessa terminologia, usata per l'imperatore romano, in un processo graduale popolare durato secoli, grazie alla potenza della struttura organizzativa dell' amministrazione/ dioikesis e al sistema finanziario ed economico oniade diffusi in ogni parte dell'impero.

10/03/2012





        
  



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