Gamla XIV puntata (V parte) de L'eterno e il regno
San Benedetto del Tronto | Continua il racconto del professor Angelo Filipponi
di Angelo Filipponi
I senatori votarono che Tiberio scegliesse tra di loro un gruppo a suo piacimento e che di questo gruppo ne utilizzasse venti, così come venivano sorteggiati, armati di pugnale ed adibiti come guardie, ogni volta che lui entrasse in senato...
Naturalmente Tiberio li lodò e senza dubbio ringraziò la loro benevolenza, ma respinse la loro proposta..
Divenne poi più sospettoso verso di loro e da un lato disse di essere molto contento dei loro decreti, da un altro onorò i pretoriani sia con discorsi che con denaro, sebbene sapesse che avevano sostenuto Seiano, in modo tale da renderli a sé più devoti nella sua politica, avversa ai senatori.
Dione Cassio, Storia Romana, LVIII,17
Dei due consoli Domizio rimase in carica per tutto l'anno (era marito di Agrippina, figlia di Germanico e padre di Nerone imperatore), mentre gli altri solo fino a quando lo decise Tiberio.
Alcuni infatti li avrebbe scelti per un periodo più lungo, altri per uno più breve, alcuni li destituì prima del previsto ed ad altri invece consentiva di rimanere, oltre la scadenza.
Queste irregolarità continuarono a ripetersi per quasi tutto il periodo del suo principato.
Dione Cassio, Storia Romana, LVIII,20
Quando furono vicini a Gerusalemme , giunti a Betfage, presso il monte degli Olivi , Gesù inviò due discepoli dicendo loro: " andate nel villaggio che è davanti a voi e troverete subito un'asina legata e un puledro con essa: scioglieteli e conducetemeli. Se qualcuno vi dirà qualcosa , dite che Il signore ne ha bisogno e subito li lascerà andare" .....I discepoli andarono e, avendo fatto come Gesù aveva comandato, condussero l'asina e il puledro, vi posero sopra i mantelli ed egli si mise a sedere sopra di essi .
Moltissimi della folla stesero i loro mantelli sulla via, altri poi tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via.Le folle, che lo precedevano, e quelle, che lo seguivano, gridavano dicendo:
"Osanna al figlio di David!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore !
Osanna nei cieli altissimi!"
Essendo poi entrato in Gerusalemme, tutta la città, commossa, diceva:"chi è costui? " E le folle rispondevano:"Questi è il profeta Gesù da Nazaret della Galilea "
Matteo, 21, 1-10
Gamla
Vista dal basso, Gamla 1 era un nido di aquila.
Venendo dalla grande strada regia babilonese, Jakob e Melazzar avevano preso brutti viottoli di campagna ed erano sfiancati: essi si erano staccati dal convoglio del tributo e si erano diretti verso Gamla, avevano deviato e procedevano spediti, da soli.
Ora seguivano una grande strada romana, ma erano nervosi e digrignavano ambedue i denti, vedendo le erme di Mercurio, erette ai margini, ed abbassavano la testa, con i cappucci calati, davanti ai romani, che facevano pagare, con arroganza, i pedaggi.
I romani bloccavano ogni cinque miglia, nelle strade, i viandanti e si facevano pagare, altrimenti punivano: erano come gli avvoltoi.
Ad ogni ponte c'era una guarnigione che riscuotev : bisognava pagare anche sulla propria terra!
Questo pensavano i due fratelli, che guardavano in alto e vedevano Gamla e dai dirupi di Gamla vedevano scendere verso il basso avvoltoi in picchiata, dopo vari volteggi e roteazioni.
Ormai vedevano Gamla e per loro era un sollievo: lì avrebbero fatto tappa e i fratelli li avrebbero dissetati, assistiti, ripuliti e rifocillati.
Ora si rasserenavano, mentre attaccavano la salita per Gamla e proseguivano compunti e composti, come voleva la legge: erano in un territorio, dominato da un sovrano ebreo, Filippo, un erodiano, un romanizzato ma sempre un giudeo, che poteva ricordare che Dio è al di sopra di ogni cosa e di ogni uomo.
Si erano uniti a loro due giovani di Gamla, che avevano seguito con interesse le manovre dei romani, che avanzavano da sud, e li avevano esaminati mentre marciavano sei a sei ed occupavano con la colonna tutta la strada e spingevano arrogantemente, da padroni, i passanti verso la campagna.
Avevano seguito con lo sguardo, finché avevano potuto, con eccessivo interesse, così aveva pensato Melazzar, a cui non sfuggiva niente e che soprattutto conosceva l'animo umano.
Aveva notato perfino che i due seguivano il volo degli avvoltoi, guardavano i romani e sputavano: egli sapeva leggere non solo i libri sacri e penetrarli allegoricamente, ma sapeva leggere anche gli atti, i comportamenti e trovare le relazioni più profonde, con una sapienza che non era libresca , ma si nutriva di esperienza, che era frutto di meditazione e di ascesi.
Non era freddo, ma Melazzar, forse perché stanco, aveva qualche brivido e, forse perché agitato, si rinchiudeva nel suo mantello: a metà autunno faceva freddo in Gaulanitide.
I giovani, ora, si erano accodati ai due esseni e vedendo il più anziano, affaticato, si offrirono di portare i sacchetti, che i due avevano, e confidavano loro le notizie sui romani, sulla loro disorganizzazione, dopo la morte di Seiano.
Parlavano molto, anche se potevano farlo: un esseno è un giusto e nessuno in Israel può dubitare della fede in Dio e dell'odio verso i romani di un gadosh(santo).
Heliaqim, un quindicenne, secco secco e con capelli neri, ricci ricci, sembrava un arcangelo, grazie a due occhi grandi e sereni, nonostante le parole di odio.
Questi diceva, festoso, con la sua bocca carnosa, in cui si intravedevano denti bianchissimi, al suo amico, un giovane di una ventina di anni, solido e roccioso, dalla muscolatura possente e dal collo taurino: Joiada , il Regno dei cieli è vicino! Il loro impero si è spaccato, ora è il nostro tempo!
Ma l'amico lo zittiva, con lo sguardo.
Ora è il nostro tempo! ripeteva Heliaqim, insolentemente, ed aggiungeva frasi, proprie della sua formazione.
L'amico, invece, lo correggeva.
No, disse Joiada, no, è il tempo di Shaddai, Adonai sia con noi!
Amen! disse Melazzar, entrando nel discorso ed approvando le parole del più anziano, Adonai sia con noi. La morte del nostro persecutore è segno di grandi eventi: l'Adir si è ricordato di noi e ha diviso i nemici e li ha resi canne al vento; presto saranno nostra preda; noi ora dobbiamo seguire Jehoshua, capire la sua volontà, attendere il suo cenno.
Al nome di Jehoshua i due si guardarono, ma non dissero niente.
Erano, comunque, sorpresi.
I giovani si rallegrarono, specie Joiada, che indicò ai due esseni Gamla, che sovrastava.
Eccola,Gamla!
Le case, costruite sui ripidi pendii, erano strettamente disposte, l'una sopra l'altra, tanto che la città sembrava sospesa e quasi sul punto di cadere su se stessa e precipitare su una nuvola bianca, che stazionava quasi alla base della città verso oriente, sopra una folta boscaglia, mentre il sole stava tramontando.
I quattro, arrivati su un cucuzzolo di un costone, vedevano meglio Gamla e l'ammiravano con diverso animo.
Ora si vedeva che la città era adagiata su un piano, lungo un crinale, che era un dirupato costone, diviso nettamente, su due gradoni rocciosi.
Sul primo, che finiva in uno sperone roccioso, proteso nel vuoto, c'era un gruppo di case meglio curate, mentre sull'altro, più basso, ma più impervio, tanti cubetti bianchi, assiepati, che risplendevano alla luce del tramonto.
Gamla era tipica per quella roccia su cui tutto il paese era arroccato e su cui nidificavano gli avvoltoi: i suoi abitanti, perciò, apparivano ai corregionali uomini contraddittori, cammelli pacifici e rapaci feroci.
D'altra parte nel suo insieme la città poteva dare l'idea della testa di un cammello.
Gamla era divisa anche per abitanti: quella in basso era abitata da goyim, l'altra da giudei.
Giudei e Goyim da tempi immemorabili convivevano.
E' bella Gamla! fece ingenuamente Heliaqim, vedendo i due esseni che l'ammiravano e noi viviamo fraternamente in paese, aggiunse il ragazzo.
Non sempre fraternamente diceva, ammiccando, Joiada, ora fraternamente perché noi dominiamo e i romani non vengono quassù in alto.
I goyim rispettano noi, che siamo armati e forti, e noi li rispettiamo secondo la legge di Mosé; quando loro dominavano, noi eravamo succubi e la nostra vita era precaria, le nostre botteghe incendiate, i nostri artigiani costretti a lavorare come schiavi: Seiano, avendoci tolto i diritti civili, ci aveva fatto servi degli altri popoli, ma ora coi figli di Jehudah noi siamo liberi e presto tutto Israel sarà libero.
Noi, diceva pomposo il ragazzo, libereremo anche la santa Jerushalaim. Sia benedetto Adonai!
Amen, ripeteva Melazzar che aggiungeva: un solo grido deve echeggiare, però: venga il Regno dei cieli e tutti dobbiamo seguire il mashiah! Adonai così vuole!.
A Gamla, i figli di Jehudah avevano riunito i loro zeloti e con loro avevano creato una rocca imprendibile e da lì facevano spedizioni punitive contro i sadducei e contro i romani, spesso interrompendo le comunicazioni, a volte attaccando i convogli, servendosi anche dei figli di Zimari 2 che, dalla Traconitide, venivano con le loro barbe squadrate, da babilonesi, seminando il terrore nei romani per la precisione delle loro frecce e per la rapidità di attacchi equestri.
I figli di Jehudah erano i signori di Gamla e dominavano per tutta la zona e come ogni israelita volevano l'attuazione del Regno dei Cieli: erano rapidi nelle loro incursioni e spietati come gli avvoltoi.
Essi avevano sentito parlare di Jehoshua, e siccome alcuni avevano riferito di cose magnifiche e avevano visto i segni della sua potenza, avevano mandato dapprima uomini dal loro parente Jahir e poi dal Maestro di Giustizia a chiedere se quello era il santo di Israel, il Mashiah.
Jakob, il figlio maggiore di Jehudah, aveva mandato perfino suo fratello Shimon a contattare la comunità di Caphernaum con molta discrezione, senza impegno: era un capo prudente, un saggio, un maestro della legge, come suo padre, ma rispettava molto il parere degli esseni: l'ultima parola doveva essere del maestro di Giustizia.
Aveva saputo che Melazzar tornava dall'Adiabene e che lui aveva l'incarico di comunicare la lieta novella, di collegare gli zelanti di fede, di formare alleanze.
Melazzar era il nabi che conosceva la volontà di Dio; Melazzar era l'uomo con cui Jakob doveva incontrarsi.
Il capo zelota aveva, perciò, fatto incontrare il profeta coi suoi due uomini ed ora lui in persona era sceso dalla sua casa, posta proprio sul cucuzzolo dello sperone e veniva giù seguito da un numeroso gruppo festoso, pronto ad accogliere i due nuovi arrivati.
Era il giorno prima del sabato e tutti erano festosi e perfino i goyim sembravano felici, contagiati dall'allegria degli altri. Anche le donne erano uscite con i bambini, che battevano le mani per testimoniare la loro gioia: i due uomini si erano purificati del lungo cammino, ed ora, lavati, avevano ai loro piedi, posti in larghi catini, pieni di acqua calda, donne che asciugavano i piedi, li strofinavano e riscaldavano, profumandoli.
Ora si erano appartati il capo zelota e Melazzar.
I due erano l'uno di fronte all'altro; erano due servi di JHWH, due Chakamim di Israel.
Il capo zelota era anche un dottore della legge, un Chakam, uno dei più riveriti chakamim che portava i Tefillin, i filatteri, due scatolette legate da strisce di cuoio, contenenti brani della Torah, applicati alla testa e al braccio, come segno di preghiera, ma anche come distinzione in quanto interprete della legge.
L'esseno, magrissimo ed altissimo, era l'espressione di un ascetismo congiunto col duro lavoro agricolo.
Il primo cominciò a parlare di Dio, della missione della sua famiglia, di suo nonno Ezechia e di sua padre Jehudah, e diceva: Adonai ha dato alla mia famiglia il compito di mostrare la via, il diritto di guidare gli uomini, poi..., a metà strada, il nostro dovere sembra cessare, la nostra funzione sembra inutile ...
Adonai vuole solo questo: noi dobbiamo aprire la strada per altri, che devono venire... Adonai frena il nostro dovere, ci arresta prima di concludere... noi eppure siamo della stirpe di David...
Eppure mio nonno lottò, lottò per YHWH e il suo popolo, ma YHWH lo mise nelle mani di Erode e lui è stato cantato dalla Toledoh; mio padre lottò e si sacrificò per YHWH e il suo popolo ma YHWH lo consegnò nelle mani dei romani e tutti cantiamo le sue gesta.
Io e i miei fratelli Shimon e Menahem abbiamo lottato e lottiamo ma siamo rilegati quassù lontano da Jerushalaim e speriamo...
YHWH a tutto provvede, tutti segue, nessuno è escluso, disse Melazzar, notando le interruzioni di discorso e le pause; il vostro compito è grande quando viene il tempo di Israel, il tempo della rinascita, quando il resto di Israel trionfa.
Shaddai predilige l'eterno e il regno, ‘Olam e Malkuth; è questo il tempo del regno eterno: tempo (‘et) e destino (pega') raggiungono tutti.
Io e i miei fratelli avevamo pensato che tra noi discendenti di Isai ci fosse il Mashiah, che Adonai ci perdoni!, ma sappiamo che non è questo il nostro compito: noi dobbiamo morire per Israel, solo questo ora sappiamo.
Per noi è tempo di morire: la corona (keter) di martiri Il Santo ha riservato a noi.
Certo, precisò Melazzar, mettendo la mano sua piccola sopra la mano grande ed aperta di Jakob e guardandolo fisso negli occhi, certo, così vuole YHWH: gloria diversa, ma gloria per i suoi figli migliori, destinati a combattere e a morire.
E' giunto il tempo di Israel: tutti dobbiamo seguire il proprio destino, fino in fondo: ogni giudeo sempre ricorderà Jakob e i suoi fratelli e il padre e il nonno.
YHWH ha posto l'Eterno e il Regno in Jehoshua; la vostra famiglia è segnata solo di tempo .
YHWH ha già scelto il suo prediletto, lo ha già unto di sua mano con segni speciali e col potere di vita e di morte.
Lodiamo YHWH e diciamo insieme :
Anche l'uomo non conosce il suo tempo
Come i pesci catturati in una rete maligna, come
gli uccelli presi al laccio!
E l'esseno concluse: Gioisci con noi , Jakob! Il Regno dei cieli è vicino!
Si alzò dalla panca Jakob e Melazzar vide un gigante, ancora giovane, potente, che si abbassava per baciare le mani, che erano stese sul tavolo, con devozione, con un atto di ringraziamento verso l'esseno, il servo di YHWH, che gli aveva comunicato la sua volontà.
E poi, sempre chino, con la testa bassa, ricciuta, disse: Sia fatta la volontà di YHWH, la mia destra come quella dei miei fratelli, sarà sempre in difesa di Israel: io sono figlio di Jehudah e nipote di Ezechia, il santo, l'adir, l'unto mi avrà al suo fianco, quando vorrà, quando sarà giunto il suo tempo!
All'uscita dalla stanza c'era una folla di giudei, che gridava e che applaudiva, consapevole che era avvenuto qualcosa di grande per Israel: un capo zelota, come Jakob, e un capo esseno non si incontravano per caso a Gamla.
Specie dopo la morte di Seiano, la mancanza di collegamento tra Roma e la Siria e il caos, in cui si trovava la regione, ora pressata dalle milizie partiche al confine e dagli uomini di Asineo, avevano reso euforica la popolazione gaulanita, che inneggiava ai suoi capi e che gridava: Malkut ed imprecava contro il proconsole siriaco, contro Filippo, contro Pilato e contro Erode Antipa.
Ormai tutti i gaulaniti speravano nella venuta del tempo del Regno dei Cieli, nella cacciata dei romani: la morte di Seiano era l'inizio per loro di una nuova era, quella del nuovo patto con Dio che avrebbe sterminato la guarnigione dell'Antonia, quella di Caphernaum, la legione di Cesarea e le 4 legioni siriache del proconsole Flacco, unico garante dell'imperium di Tiberio, in mezzo a tanti, che avevano seguito il perfido ministro imperiale.
Gli abbracci, le grida, i lulav significavano già l'inizio di una nuova età.
Damash
Ora Jakob e Melassar, discendendo da Gamla si erano diretti verso il loro villaggio, facendo scorciatoie.
Dall'alto, Jakob, il fratello di Jehoshua, vedeva la vallata del Giordano, poteva seguire il corso del fiume ed osservare le città della vallata ed era preso da ricordi e specie dal desiderio di rivedere suo fratello.
Suo fratello ora era un nabi, un santo di Dio, un Adir, di cui si parlava sottovoce, quasi che il suo nome non dovesse essere pronunciato.
E ricordava come erano stupiti i santi esseni al miracolo della resurrezione della figlia di Jahir.
Quando la notizia del miracolo era giunta al villaggio, i capi lo avevano chiamato e lo avevano interrogato, separatamente, ognuno per conto suo, per sapere notizie sulla nascita, sulla stella, sulla venuta di magi e soprattutto sul primo viaggio in Egitto.
Lui allora non sapeva niente: lui era solo un nazireo, un esseno principiante, che non conosceva niente del mondo e niente sapeva del grande destino di Jehoshua.
Lui aveva raccontato ciò che aveva saputo da suo padre, sacerdote, costruttore, davidico: gli onori e i doni ricevuti da medi, che avevano seguito una stella fino a Bethlem, l'avvertimento di fuggire lontano da Erode, che cercava il figlio, appena nato.
Lui raccontava ingenuamente,come ingenuamente raccontava Josip ogni venerdì sera, e come raccontava il loro capo tribù nella sera di Pesah, dopo la grande narrazione del passaggio dall'Egitto trattando anche della storia familiare, ricordando la profezia di Isaia3.
I capi esseni lo avevano ascoltato ed avevano deciso che i segni erano tali che in Jehoshua ben Josip, chiamato dai pagani anche Ben Panther, si dovesse vedere il Mashiah, il fondatore del Regno dei cieli, il figlio prediletto di YHWH.
Questo era stato detto di suo fratello, a parole; questo lui aveva sentito allora dalle bocche degli esseni, suoi superiori.
Ma ora nel cuore di tutti era Jehoshua, suo fratello; bambini donne uomini vecchi di Israele sognavano la venuta del suo regno, del regno di suo fratello; tutti aspettavano che suo fratello avesse cacciato i romani e liberato Jerushalaim.
Questo stava ripensando Jaqob, ed era silenzioso: nel silenzio sentiva una gioia immensa incomunicabile, quando stava per rientrare, a Damash Eleazar.
E questo era il luogo dove vivevano i suoi nuovi fratelli, e dove lui tornava dopo il lungo viaggio fatto fino alla terra di Aran Nahraim 4,la terra di Abraham, fino alle pianure dell'Assiria e ai monti della Gordiene e dell'Armenia, da dove erano venuti quei magi per adorare suo fratello Jehoshua.
Ora anche lui poteva capire il disegno di Dio sulla sua famiglia e sulla sua stessa vocazione.
Il giovane ora tornava a casa dai suoi confratelli.
Jaqob, comunque, rimaneva sempre sorpreso di fronte alla costa marnosa del sito e al letticciuolo del ruscello e alle tante costruzioni, basse, simili a cubi che si succedevano, formando il villaggio.
Soprattutto era felice quando il suo occhio (come la prima volta, allorché novizio entrò insicuro tra gli esseni) vedeva quella specie di fortilizio, che si ergeva sulle casupole, come per difenderle: quel fortilizio era per lui sinonimo di casa e di accoglienza.
Da Nord, lungo il corso del Giordano, vedeva alla base del fortilizio un parallelepipedo di pietra che sembrava un accampamento, che serviva da luogo di incontro per i giovani novizi, là dove anche lui spesso era andato nei tre anni di apprendistato ed, oltre, intravedeva i campi lavorati dai contadini e le greggi che pascolavano.
Con Melazar era entrato dal portone centrale mentre un fratello suonava il corno per segnalare il loro ritorno: era già quasi sera e i confratelli si preparavano ad immergersi nell'acqua del torrente per l'abluzione serale, dopo il lavoro, cinti del solo perizoma e perciò anch'essi scesero nell'acqua in silenzio, come era costume essenico.
Tutti rivestiti di lino, bianco, erano andati a mangiare, Melazar con gli altri undici capi ed Jakob con la comunità dei veri esseni, mentre i giovani novizi mangiavano in tre diversi refettori, suddivisi in novizi del primo anno, del secondo anno e del terzo anno con i rispettivi prefetti.
Ogni doresh ha torah5 aveva funzione formativa ed era a diretto contatto con i novizi: il mebaqer6, il paqid7 e il maskil8 avevano, invece, funzioni ispettive e amministrative e servivano al momento
dell'esame, davano l'indirizzo verso il mestiere per i laici, indicavano la qualifica ai leviti e assegnavano le mansioni rituali per i sacerdoti.
Questi erano ripartiti in tre schiere di 1000 uomini, suddivisi in 10 gruppi maggiori, costituiti di 100 elementi ed erano educati a seconda dell'anno, per gradi: facevano un iter di progressiva purificazione dalla famiglia, dalla società e dalla lingua in un decondizionamento della superbia individuale familiare e tribale, prima di un percorso progressivo di pietà religiosa, in un sistema rigorosamente misogino.
In questo sistema maschilista la donna era considerata espressione compiuta di Belial, simbolo stesso dell'avidità, del piacere, di denaro.
Dopo un'iniziale mortificazione della carne, mediante digiuni, e un condizionamento sul male demoniaco, l'educazione alla virtù della purezza e della castità era propedeutica alla povertà e alla rinuncia del beni sia personali e familiari che spirituali, come annullamento della personalità soggettiva, a favore di quella comunitaria, per arrivare, mediante l'analisi, alla conoscenza degli strumenti, degli episodi e delle parole al fine della comprensione del mestiere, dei fatti e dei discorsi, come risultanza operativa conclusiva.
Dire il vero e fare il bene erano marcati ogni giorno dai prefetti, dagli anziani e dai capi che annualmente esaminavano e giudicavano il percorso individuale, rilasciando valutazioni che determinavano la loro funzione nel quadro della comunità sulla base del grado di giustizia raggiunto.
Un esseno si diversificava da un altro per l'attività precipua durante il giorno: il sacerdote attendeva alla preghiera e al commento biblico, il levita alla liturgia, il popolo alle arti e mestieri: tutti, comunque, avevano una comune formazione di base, incluse le arti marziali.
La loro vita era scandita secondo i ritmi militari ed inquadrati in gruppi di mille che, poi, si suddividevano di nuovo in centinaia, cinquantine e diecine, formando plotoni, in cui necessariamente c'erano un sacerdote, un levita ed otto popolari in ogni gruppo di dieci.
Mentre Jaqob relazionava agli anziani sulla attività svolta e sulle adesioni al Regno dei Cieli in modo sommario, indicando risultati generali, Melazar, invece, aveva preparato undici relazioni scritte e riferiva verbalmente a seconda delle domande
Aveva iniziato la sua relazione dicendo di aver fatto quasi lo stesso giro che era stato percorso da Eleazar Damash, il sovrintendente del loro padre Abraham, incaricato di andare a trovare la moglie per Itzahac ad Haran, con l'impegno di non rimanervi, secondo l'ordine di JHWH.
Aveva aggiunto, personalmente ed emotivamente: solo ora ho compreso perchè Eleazar si fosse riposato proprio lì, nella loro sede, e perché il re Archelao avesse voluto cambiare il nome originario di Nibshan, la città del sale, dopo la distruzione ad opera dei parti, che avevano eseguito l'ordine di Antigono9, e dopo il terremoto: Eleazar , il figlio di Masek è segno per noi: noi come lui non siamo eredi, ma erede è il figlio, che è il legittimo erede del Regno, noi dobbiamo servire il figlio, ci siamo da sempre preparati al servizio: noi come sacerdoti, che devono sostituire i falsi sacerdoti sadducei, sorti per volontà umana degli asmonei e degli erodiani, lo serviremo.
Jehoshua confermerà nel Regno dei cieli la nostra legittima aspirazione e mostrerà l'esatta nostra funzione. Poi raccontò il suo viaggio, l'assistenza di Dio, l'adesione di Asineo, la conversione di Izate e la loro attesa del Regno dei Cieli: la relazione avrebbe spiegato ogni sua azione dettagliatamente.
Poi andando nel suo semneo, Melazar attraversava la via dei vasai, poi quella dei fabbri, degli stuoiai e notava che la pianta del villaggio ancora era grande: eppure era stata dimezzata, nel corso della ricostruzione, un trentennio prima.
Ricordava che, da novizio, entrò in un villaggio diroccato e semideserto: si utilizzò solo metà dell'antica costruzione: pochi erano gli esseni ed erano quelli coniugati, abitanti in paese, i meno puri, quelli che facevano l'accoglimento, che rifiutarono la vita nelle città e tornarono nell'antica sede. Allora il monasterion sembrava immenso!
Quanto era grande, allorché ci vivevano ottomila persone, tutti Hassidim, che erano fuggiti per scampare alla persecuzione di Jamneo10!
Essi ricostruirono il castello e, l'accampamento centrale ed abbandonarono le parti periferiche, le lasciarono senza recinzione: solo riutilizzarono le zone di pascolo, il cimitero, l'acquedotto che ancora portava l'acqua del ruscello fino alle grandi cisterne.
A loro, al loro sacrificio e alla loro volontà di libertà e di purezza essi dovevano quella cellula di pace, quella loro solitudine, quel regno autarchico, con tutte quelle sale utili per le attività comunitarie: refettori, cucine, luoghi di letture e la sinagoga.
Egli pensò con orgoglio: ora nessuno potrà più distruggere questo luogo santificato dal lavoro di tanti esseni: noi saremo il cuore del Regno dei cieli!.
Ed era arrivato al suo semmeo di paqid, di un capo istruttore: era piccolo, ma per lui grande; la cella era un rifugio, il luogo della sua meditazione e della sua crescita.
Ora era veramente a casa, tra i suoi familiari, nel silenzio di Damash: la preghiera a Dio, che lo aveva assistito in un così lungo viaggio e lo aveva ricondotto dai confratelli, sgorgò improvvisa, come l'acqua del ruscello, che gorgogliava nelle vicinanze.
Alla terza ora era suonato il corno: nella sala assembleare era riunito il consiglio dei capi, costituito da 12 membri, e tre sacerdoti col maestro di giustizia, che formavano la dirigenza e che avevano diritto di parola, mentre l'assemblea di mille anziani, divisa in sacerdoti, leviti e laici, assisteva ed aveva diritto di ascolto e di ratifica, per alzata di dito.
Nel silenzio più assoluto si alzò il Maestro di Giustizia11, che fece il punto della situazione, dopo le rituali preghiere: la nostra haburah (confraternita) ha inviato due dei nostri nella terra del nostro padre Abraham per chiedere aiuto ai fratelli, che lo hanno concesso ed attendono solo i segnali di fuoco per intervenire, abbiamo inviato due dal re Nabateo a chiedere protezione dai romani ed anche lui ha confermato il suo aiuto. Ora, in Oriente, i romani sono confusi e la nebbia è nei loro cuori; essi sono ciechi che guidano i ciechi.
Jehoshua, l'unto del signore, ora può iniziare la sua marcia verso Jerushalaim e noi anziani saremo con lui in prima fila: il Regno dei cieli è vicino e noi siamo stati scelti da Dio a realizzarlo.
Ci uniremo a Jehoshua, quando arriverà a Yericho: teniamoci pronti.
Tutti concordarono, alzando il dito medio.
Un mebaqer, sacerdote, anziano, si alzò:
sappiamo che seguono Jehoshua anche goyim, semigiudei e giudei, zeloti.
Come dobbiamo comportarci in casi di non osservanza della legge, dobbiamo accettare il sistema galilaico permissivo, elastico, di Jehoshua o dobbiamo intervenire?
Il maestro rispose pacatamente.
Il santo di Israel ha proclamato che bisogna mangiare con i peccatori perché i malati hanno bisogno del medico, non i giusti.
Noi cercheremo di conformarci al suo pensiero: lui segue la volontà del Padre e noi ci sottomettiamo al volere di Adonai.
Il nuovo patto di alleanza sarà scritto dopo la vittoria: ora dobbiamo essere uniti.
Noi siamo tutti figli della luce: Dio è la nostra luce e noi abbiamo rinunciato a Belial, alla lussuria, alla ricchezza, al commercio.
Noi invieremo, prima, alcuni nostri per organizzare chi segue il Meshiah, secondo la regola della guerra, inquadrando anche gli zeloti.
Dobbiamo arrivare a Jerushalaim, due giorni prima della nostra Pesach, mentre già i pellegrini della Pasqua del calendario sadduceo lunare, stanno tornando a casa: noi dovremo anche preparare l'entrata del figlio di David nella sua città.
Melazar disse: i sacerdoti del tempio sono stati contattati certamente: Jehoshua ha inviato 72 discepoli a precederlo e sicuramente avrà mandato due dal Sanhedrin: avete avuto notizia circa la risposta data sulla partecipazione al Regno dei cieli?
A nome del maestro rispose il Maskil, famoso veggente, il saggio: ascoltate tutti voi che conoscete la giustizia e comprendete le opere di Dio: egli è in lite con tutta la carne ed eserciterà il giudizio su tutti coloro che lo disprezzano.
A causa della loro infedeltà Dio nascose il suo volto a Israel e al suo santuario, e li consegnò alla spada.
Ora è sorto un Santo e, in nome suo, un nuovo patto è stato scritto: quelli hanno deviato dalla via, ma Dio è misericordioso.
Essi hanno scritto che accettano il Regno dei Cieli e lo condividono con noi: noi diciamo che i lupi stanno con gli agnelli, come vuole il santo: è un segno dei tempi nuovi, della venuta di Dio.
Ma ascoltate, io rivelerò alle vostre orecchie le vie degli empi.
L'Eterno ama la conoscenza e possiede sapienza, saggezza: prudenza e conoscenza sono sue ministre, al suo fianco sono liberalità e misericordia per salvare i convertiti dal peccato; ma forza, potenza e furia e fiamme di fuoco urgono per mano degli angeli devastatori, contro coloro che hanno deviato.
Per essi non vi sarà un resto.
Dio infatti non li ha scelti dall'eternità: egli conobbe le loro opere prima di essere formati.
Essi si sono contaminati con la trasgressione dell'uomo e con le vie impure ed hanno fatto deviare gli altri.
Perciò con Ezechiele12 dirò: " i sacerdoti, i leviti e i figli di Sadoc, che hanno curato la custodia del
mio santuario durante il traviamento dei figli di Israel, essi mi offriranno grasso e sangue".
E il saggio chiuse con un grido: Noi siamo gli eletti!
E tutti ripetevano, salmodiando: Noi siamo gli eletti! Noi siamo gli eletti ! Noi siamo gli eletti!
E le dita alzate dell'assemblea significavano adesione totale ed attesa del premio: tutti vedevano chiaramente ciò che era oscuro per altri; tutti intendevano esattamente le parole che nessun altro poteva intendere.
La marcia verso Jerushalaim
Jehoshua aveva deciso la marcia.
La comunità avrebbe iniziato la marcia verso la Gerusalemme appena fossero arrivati i 10 esseni, che avrebbero organizzato il gruppo di 420 galilei, scelti, in sei colonne, e ai lati avrebbero disposto come protezione due colonne da una parte e due dall'altra di zeloti armati, dopo aver avuto l'approvazione di Erode Antipa13.
Questi era stato contattato da Matthaios, che lo aveva convinto a collaborare ed anzi ad inviare una turma di cavalieri sebasteni, che aprissero il corteo, che sarebbe stato accolto in 10 città prima di arrivare in Yerushalaim: lui poteva così riscattarsi davanti ai Galilei e ai Giudei della morte del Battista, proteggendo l'unto del Signore: JHWH poi avrebbe provveduto!
Le sei colonne erano pronte a marciare, da Caphernahum: tre di maschi e tre di femmine, divise per fasce di età erano schierate: una colonna di uomini adulti, una di vecchi, una di giovani, una colonna di giovinette, una di vecchie e una di adulte.
Jehoshua, Matthaios, i capi dei pescatori e dei contadini erano posti dopo i leviti e i sacerdoti che aprivano la processione.
Il gruppo doveva impiegare dieci giorni: erano segnate le tappe nei luoghi prestabiliti, dove ci sarebbe stata l'accoglienza: i capi locali e la folla di cittadini sarebbero venuti incontro per qualche stadio nel punto dove era stabilita la festa della fratellanza; i sacerdoti e gli esseni avrebbero benedetto insieme, spezzato il pane insieme e mangiato insieme, danzato e cantato l'inno di Hallelujah, celebrando l'arrivo del Regno dei Cieli.
L'arrivo a Yerushalaim era fissato per il giorno dopo la Pasqua sadducea, dopo aver passato il sabato a Betania, in casa del gigante Lazar, inviato precedentemente a casa dalle sorelle per organizzare l'accoglienza.
Ci fu grande gioia alla partenza da Caphernaum: la partecipazione della folle galilaiche fu unanime, spontanea, festosa: ai lati della strade si attendeva il passaggio del corteo che gridava Jerushalaim.
Dovunque si passasse, c'era gente affollata che gridava e che voleva partecipare all'impresa e che piangeva al vedere Jehoshua e i suoi.
Prima di arrivare nel territorio di Samaria, Jehoshua ebbe il lasciapassare per il gruppo con l‘autorizzazione di alcuni samaritani, che l'avevano ottenuta dal procuratore Pilato13.
Dopo aver marciato ed aver fatto la prime due tappe Jehoshua si trovava non lontano dal territorio di Filoteria, aveva passato il Giordano ed aveva ricevuto una delegazione degli abitanti della Decapoli.
Era questa una regione, al di là del lago e del Giordano, costituita da dieci città federate da Pompeo.
Damasco, Filadelfia, Rafan, Ippon, Gadara, Dion, Pella, Gerasa e Canata e Scitopoli godevano di antichi privilegi, dal periodo di Alessandro Magno, avevano una costituzione greca ed amministrazione autonoma.
La loro popolazione era mista con predominanza in alcune dell'elemento giudaico e in altre di quello greco e parlava solo la koinè: di norma c'era un reciproco rispetto, ma bastava poco per far sorgere questioni e lotte interne che terminavano quasi sempre in stragi.
Ora il corteo si trovava ne pressi di Ippon e i capi avevano deciso di spingersi verso il territorio di Jerash (Gerasa), la città che più delle altre aveva caldeggiato l'accoglienza.
La comunità aveva voluto mandare un messaggio anche ai fratelli della Decapoli e perciò il corteo aveva attraversato il loro territorio, indisturbato, aveva superato un torrente ed era giunta a pochi stadi da Jerash in una zona molto accidentata e con molti dirupi e grotte, che erano adibite anche ad abitazioni.
Da una di queste usciva infuriato un uomo posseduto da spirito immondo.
Era un povero infelice, che era stato allontanato dai cittadini e segregato perché era pericoloso a sé e agli altri.
Infatti era stato più volte legato, ma avendo un forza straordinaria sradicava tutto ed andava furioso verso uomini e cose: nessuno era riuscito a domarlo.
E sempre andava lacerandosi tra i sepolcri e per i monti, ed urlando si sfregiava con pietre.
Costui, visto da lontano Jehoshua si mise a correre e si prostrò davanti a lui gridando a gran voce: Ti scongiuro, figlio dell'uomo, non mi tormentare!
La folla tumultuava e già si accingeva alla lapidazione.
Jehoshua, allora, ordinò all'uomo : "zitto!"
Poi aggiunse, come se parlasse ad uno sconosciuto, ad un altro: Esci da quest'uomo!
La risposta fu come un vento impetuoso, un mare un burrasca, una ridda di voci che si tradusse in un Noi e che poi divenne un intera frase significativa, che fu pronunciato lentamente, in modo militaresco
Noi... non siamo uno... io... mi chiamo Legione... perché siamo molti... dentro quest'uomo...
Seguì infine una preghiera come di un soldato subalterno al proprio comandante, come richiesta di un plotone al suo superiore: e ti preghiamo... di non mandarci fuori di questa regione!... Mandaci almeno da quei porci... che pascolano nei dintorni di Kursi.
Era questo un luogo molto scosceso e dirupato, dove i pagani avevano un duemila maiali, a cui provvedevano alcuni guardiani.
Jehoshua alla richiesta non disse nulla, poi sentenziò: Bene! Ed aggiunse , andate via, spiriti immondi e mescolatevi con altri immondi. Questi abbandonarono l'uomo come una folata di vento, lasciandolo stremato, inebetito. E tutti insieme si precipitarono come una legione sui porci che, divenuti furiosi e feroci andarono a gettarsi da una rupe a strapiombo, di una trentina di metri.
La folla sbalordì al veder uscire dalla bocca dell'uomo strane figure e al sentire quel vento tempestoso che, tumultuando, si allontanava e che investiva i maiali, che grugnivano orrendamente, in un dolore indicibile.
Mentre la carovana aveva ripreso la sua marcia, fu raggiunta da una folto numero di pagani, che urlavano la loro rabbia per la perdita dei maiali e che comunque erano trattenuti dal timore del maestro.
I pagani pregarono il Maestro di andarsene piangendo di essere stati rovinati ; essi maledivano poi la venuta del maestro e se la presero per la strage di maiali con alcuni giudei della zona, che, invece lodavano il signore che li aveva liberati da un male.
Questi onoravano in ogni modo Jehoshua.
I pagani e i giudei insieme la potenza di Jehoshua: l' indemoniato ora era seduto, vestito e sano di mente, desideroso di seguire il corteo: i discepoli lo convinsero a restare perché doveva testimoniare nel luogo quanto il maestro aveva fatto su di lui.
Il corteo era ripartito tra gli alleluiah.
Aveva riattraversato il Giordano nella zona di Gadara ed era entrato nel territorio di Scitopoli14, città posta al di qua del Giordano, così chiamata perché erano stati mescolati elementi sciti ai greci: lì i samaritani del nord erano venuti ad invitare Jehoshua di nuovo a passare per la loro regione.
Il Maestro aveva fatto salire il corteo su per le colline a sud -est del monte Tabor per entrare nella pianura di Esdrelon: in quella zona era stata fissata la quarta tappa e lì aveva parlato dell'amore per il prossimo mediante parabole: giovani, vecchi ed adulti erano venuti per vedere e salutare l'unto del signore.
Jehoshua si rallegrò molto che i samaritani l'avessero così onorato e desiderassero che lui passasse attraverso le loro terre: era un segno del nuovo Regno; era una metanoia che garantiva il buon esito dell'impresa, in considerazione delle forze sebastene fino ad allora sempre ostili ai galilei ed ora, invece, affratellate dalla comune attesa.
Perciò, Jehoshua decise, prima di affrontare la grande pianura, di fermarsi su una collinetta con i sacerdoti e i capi, mentre le colonne si fermavano nella pianura rimanendo nello stesso posto di inquadramento: era quasi l'ora undecima di una primavera precoce ed ancora il sole scaldava e il cielo era tersissimo.
Fratelli, il Maestro cominciò a dire, voi siete il sale della terra, siete la luce del mondo: se si accende una lucerna non la si pone sotto il moggio, ma sul candelabro perché faccia luce a tutti quelli che sono in casa.
Voi dovete risplendere con la vostra luce davanti agli uomini e dovete dare sale agli altri che devono vedere le vostre opere buone e glorificare il padre che è nei Cieli.
E tutti lo vedevano guardare verso il cielo, quasi che la sua figura, alta, si stagliasse nel cielo e fosse congiunzione tra l'uomo e Dio, nuovo Mosè.
E Jehoshua sempre con gli occhi rivolti verso il cielo, seguitò:
Beati quelli che vivono in povertà e si arricchiscono spiritualmente: per loro è il regno dei cieli; Beati chi soffre perché sarà consolato;
beati i calmi perché possederanno la terra;
beati chi ha fame e sete di giustizia perché sarà saziato;
beati i pietosi perché troveranno pietà;
beati quelli che hanno i cuori puri: essi vedranno Dio;
beati quelli che amano la pace perché saranno chiamati figli di Dio;
beati coloro che a causa della loro giustizia saranno perseguitati: per essi è il Regno dei cieli; beati voi tutti che mi seguite e che siete pronti ad essere perseguitati da uomini menzogneri a causa mia: grande è la vostra mercede nel Regno dei cieli.
Gioite, dunque, esultate, cantate e ballate: è il tempo del Regno dei Cieli.
Gli esseni gioivano molto del macarismo del maestro.
I pescatori, Matthaios e i pubblicani lodavano Dio per aver loro permesso di assistere alla riunione di Israel e per aver ascoltato le parole del Christos, che a loro sembravano inizio di un Nuovo patto.
Il giorno dopo, il corteo dilagò nella pianura di Samaria, cantando salmi ed Jehoshua era salutato da tutti come il re davidico, come re marin, come il santo che viene.
I discepoli avevano fatto un bel lavoro: avevano non solo sensibilizzato la popolazione, ma l'avevano entusiasmata mostrando i segni del Malkut.
La gente era eccitata e desiderava seguire il corteo: veniva respinta, ma invitata a passare insieme la Pesah essenica a Jerushalaim: veniva congedata con un arrivederci: i samaritani mai erano stati visti come fratelli, mai un samaritano era stato così fraterno, così vicino ad un galileo, come in quei giorni.
Forse, diceva Shimon, era effetto della parabola raccontata da Jehoshua, poco prima, per spiegare l'amore per il prossimo.
Il nabi aveva infatti raccontato: un uomo scendeva da Yerushalaim a Yericho ed incappò nei ladroni, i quali dopo averlo spogliato di ogni cosa ed avergli inferto molte ferite, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Ora il caso volle che passasse di lì un sacerdote; quando lo vide, il sacerdote subito girò alla larga.
Lo stesso fece anche un levita, che capitato in quel posto, lo vide e girò alla larga.
Un samaritano, invece, che era in viaggio, passò presso di lui e vistolo, ne ebbe compassione.
Gli si accostò, gli fasciò le ferite, versandovi sopra olio e vino, lo fece montare sopra la sua cavalcatura, lo condusse all'albergo e si prese cura di lui.
L'indomani, cacciati poi due denarii, li diede all'albergatore dicendo: "Curalo, al mio ritorno ti restituirò quello che hai speso di più".
I samaritani, presenti, si sentirono migliori dei sacerdoti e dei leviti giudaici ed in cuor loro erano felici che Jehoshua il santo, un giudeo, così avesse lodato loro, sempre disprezzati.
Mentre la carovana avanzava, improvvisamente una nuvola di polvere appariva alle spalle: subito tutti si fermarono e gli zeloti erano pronti, come anche i sebasteni.
Era una diecina di soldati romani, comandanti da un decurione, che aveva al suo fianco un giovane emporos, che appena giunto, fu salutato da Matthaios e da altri: diceva che per ordine del centurione di Caphernahum erano venuti a parlare con Jehoshua e a pregarlo, riferendo le sue stesse parole, scritte.
Tutti conoscevano Cornelio il centurione, certo un pagano che stava sempre col suo amasio, ma uomo onesto e sensibile, che aveva favorito perfino la costruzione della sinagoga: si sapeva che quel giovane servo a lui caro, era malato e in fin di vita.
In quel particolare momento molti soldati si erano uniti al movimento messianico, che aveva accolto tutti : Adonai così voleva! Nessuno si meravigliò, dunque, dell'arrivo del gruppo di romani.
Anche tra i romani c'erano degli amici, dei fedeli di Jehoshua.
Il giovane emporos lesse il messaggio: Signore, non scomodarti a venire da me: io non sono degno che tu entri nella mia casa: io non oso venire davanti a te e ai tuoi puri esseni ed amici: dì una sola parola e il mio servo sarà salvo.
Infatti io sono sottoposto a dei superiori ed ho sotto di me molti inferiori e se comando ad uno" Va", quello va; e se dico ad un altro, "vieni", quello viene; e se dico al mio servo "Fa questo", lui lo fa.
Sentendo Jehoshua le parole. lette dall'emporos, e comprendendo la grande fede del centurione, disse, ammirato: "Neppure in Israele ho trovato tanta fede!" E poi soggiunse: "andate" e, come il centurione ha creduto, gli sia fatto.
Antonio Felice, cosi si chiamava l'emporos, ringraziò e subito partì con i cavalieri.
A quel punto la pianura di Esdrelon stava per essere abbandonata e la carovana cominciava a piegare verso est, per scendere verso le rive del Giordano, dove Jehoshua aveva deciso di fermarsi per attendere le risposte degli uomini inviati in Perea. La carovana così avanzava serenamente ed Jehoshua era salutato dalle popolazione come un re e i villaggi si aprivano al suo passaggio e lo accoglievano festosamente.
I giovani gridavano, appena vedevano la carovana, come potevano reclutarsi ed entrare a far parte del Regno dei Cieli: le loro richieste non erano accolte ma essi, singolarmente, venivano invitati a venire a Yerushalaim alla data stabilita.
|
25/01/2010
Altri articoli di...
Cultura e Spettacolo
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
Il Belvedere dedicato a Don Giuseppe Caselli (segue)
TEDxFermo sorprende a FermHamente (segue)
53 anni di Macerata Jazz (segue)
Il recupero della memoria collettiva (segue)
Giostra della Quintana di Ascoli Piceno (segue)
A RisorgiMarche il Premio "Cultura in Verde" (segue)
Porto San Giorgio torna a gareggiare al Palio dei Comuni (segue)
San Benedetto
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
Studenti omaggiano il Milite Ignoto (segue)
Samb: Serafino è il nuovo presidente! (segue)
Istituto Professionale di Cupra Marittima: innovazione a tutto campo. (segue)
Open Day a Cupra Marittima, al via il nuovo corso Web Community – Web Marketing (segue)
GROTTAMMARE - ANCONITANA 1 - 3 (segue)
SAN MARCO LORESE - GROTTAMMARE 1 - 0 (segue)
UGL Medici:"Riteniamo che gli infermieri e i medici debbano essere retribuiti dalla ASUR5" (segue)
Le strade musicali dell'Ebraismo nel compendio cinematografico di David Krakauer

Una serata di emozioni e scoperte

Betto Liberati