Conferenza internazionale sull'evento Tunguska (Mosca, 26-28 giugno 2008). Fu impatto cosmico.
Teramo | Evento Tunguska: fu Deep Impact sulla taiga siberiana. Accadde esattamente un secolo fa, il 30 giugno 1908. Fu un asteroide o una cometa a provocare lapocalisse? Un frammento di cinque metri avrebbe determinato la creazione di un lago. Ecco la verità.
di Nicola Facciolini

100 anni dall'evento Tunguska: fu impatto cosmico.
Fu davvero Deep Impact sulla Terra quel 30 giugno del 1908, alle 7:17 del mattino, quando una luce accecante come quella di mille soli, improvvisa, fortissima squarciò il cielo sulle foreste della regione euroasiatica intorno al fiume Tunguska, nella Siberia centrale. Pochi istanti dopo si udì una terribile esplosione e l'antica taiga prese fuoco, bruciando istantaneamente per 2mila km quadrati...Un enorme fungo bianco salì fino a 80 km di quota visibile a centinaia di chilometri di distanza dal ground zero. Un piccolo corpo cosmico era esploso a otto km dal suolo.
L'evento, molto simile a un'esplosione termonucleare (di potenza energica equivalente compresa tra i 10 e i 15 megatoni, 1000-1.500 volte più potente della bomba su Hiroshima), fu registrato dai sismografi britannici: l'onda d'urto fece due volte il giro della Terra prima di estinguersi.
Non si sa se l'esplosione abbia provocato vittime tra i Tungus, un gruppo di nomadi Evenki che popolava la regione: certamente in pochi istanti morirono moltissimi animali e 60 milioni di alberi furono abbattuti come fuscelli. Il corpo cosmico misurava circa 50 metri di diametro, una sciocchezza paragonato ai grandi asteroidi e comete che viaggiano nel Sistema Solare, avvicinandosi a volte all'orbita del nostro pianeta Terra.
Si calcola che eventi di questo tipo possano accadere circa una volta ogni cento anni. Ad un secolo esatto dal misterioso "centenario", giungono dai ricercatori dell'Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (ISMAR-CNR) e del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna nuove prove che avvicinano la soluzione del "mistero di Tunguska" e che confermerebbero come il 30 giugno 1908 si sia verificato il maggiore impatto storicamente accertato tra il nostro pianeta e un corpo celeste extraterrestre.
L'opinione, ora comprovata, è che si sia trattato dell'unico evento in epoca storica e per questo motivo fare luce sul disastro di Tunguska contribuisce in maniera decisiva alla comprensione degli effetti di un impatto asteroidale o cometario con la Terra, ipotesi tutt'altro che remota e sicuramente non infrequente nella storia del nostro pianeta.
Ne sapremo più dalle relazioni scientifiche del Convegno internazionale sull'evento Tunguska organizzato dall'Accademia russa delle scienze e dall'Università di Mosca (26-28 giugno 2008) per fare il punto sullo stato della ricerca.
In questi anni sono stati anche pubblicati alcuni libri. Per far luce sull'appassionante "enigma cosmico" è stato dato alle stampe, sulla rivista scientifica "Terra Nova", il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani (Luca Gasperini, Francesca Alvisi, Gianni Biasini, Enrico Bonatti, Giuseppe Longo, Michele Pipan e Romano Serra) che hanno condotto sul luogo una spedizione scientifica e hanno scoperto che il lago Cheko, un piccolo specchio d'acqua di circa 500 mt. di diametro, situato ad otto chilometri dall'epicentro dell'esplosione del 1908, potrebbe essere il cratere causato dall'impatto di un "frammento" sopravvissuto all'esplosione principale.
"Abbiamo effettuato uno studio geofisico e sedimentologico del lago per verificare se la sua formazione potesse essere correlata all'evento, e per rilevare nella sequenza sedimentaria del lago evidenze geofisiche e geochimiche dalle quali trarre informazioni sulla natura dell'oggetto cosmico" - spiega Luca Gasperini dell'ISMAR-CNR.
"Varie spedizioni di studiosi avevano già esplorato la zona di Tunguska senza trovare segni d'impatto o frammenti, e formulando ipotesi, anche molto diverse fra loro, per far luce su quello che è ormai considerato a tutti gli effetti un mistero. Il nostro studio sul campo è stato effettuato principalmente utilizzando rilievi di acustica subacquea, con un obiettivo dunque più ambizioso di quello della prima spedizione italiana, avvenuta nel 1991, anch'essa organizzata dal prof. Giuseppe Longo dell'Università di Bologna, e limitata alla ricerca di microparticelle dell'oggetto cosmico nella resina degli alberi".
Durante la spedizione "Tunguska99" è stata, infatti, per la prima volta investigata con tecniche molto sofisticate la morfologia del fondo e la natura dei depositi del sottofondo lacustre, e raccolti campioni di sedimento. Risultanze pubblicate nel bellissimo libro "Tunguska" di Nanni Riccobono (Rizzoli). "Grazie a tali indagini - rivela lo scienziato - è stato possibile scoprire che la morfologia del lago è diversa da quella dei comuni laghi siberiani di origine termo-carsica: la natura dei sedimenti recuperati dal fondo sono invece compatibili con l'ipotesi dell'impatto, che sarebbe avvenuto in una foresta acquitrinosa con uno strato sottostante di permafrost (suolo permanentemente ghiacciato) spesso oltre 30 metri".
E' stato proprio lo scioglimento del permafrost avvenuto subito dopo l'impatto a modellare la forma e le dimensioni attuali del lago, e a nasconderne la vera natura di cratere da impatto per tutto questo tempo.
Questa scoperta, se confermata, contribuirà a svelare il mistero di Tunguska. Il lavoro dei ricercatori italiani ha già causato forti reazioni nella comunità scientifica, ed anche commenti su riviste di grande impatto e nella stampa quotidiana su molte testate europee e internazionali.
Siamo forse alla vigilia di un nuovo atastrofico impatto cosmico? Per scoprirlo ben 1.384 osservatori stronomici sulla Terra scrutano i freddi spazi siderali. Ma per formalizzare la domanda di cui sopra, senza peraltro suscitare inutili allarmismi, è necessario assumere un modello matematico per il cosiddetto rischio di fondo: gli scienziati ne usano uno semplice, elaborato dal dott. Chesley ed altri, "Quantifying the risk posed by potential Earth impacts", che è stato presentato al Congresso di Palermo.
Secondo questo modello, gli impatti con energie di 10 Megaton (il valore stabilito per Tunguska; 1 MT è l'energia di 100 Hiroshima. Per farsi un'idea della scala di energie in gioco basta considerare che se un corpo di due metri di diametro impatta con la Terra alla velocità di 20 Km/sec., rilascia una energia di 1 Megaton) e superiori, dovrebbero accadere ogni 200 anni.
Questa frequenza è soggetta a un'incertezza di almeno un fattore 2 (l'errore è di 10 elevato a 2), perché la nostra conoscenza della popolazione di questi piccoli potenziali impattori è ancora bassa. Ma gli astronomi planetari sono interessati solo all'ordine di grandezza e quindi la probabilità totale di un impatto che sviluppi energia superiore ai 10MT, nei prossimi 80 anni, è alta: qualcosa come due quinti (2 su 5)! Molto ma molto più alta della probabilità che ha ognuno di noi di morire a causa di un incidente stradale nel corso della propria vita!
Ci si rende subito conto che uno solo di questi casi e' responsabile per quasi tutta la probabilità di impatto, l'oggetto 1994WR12, che ha un totale, su diversi anni, di una possibilità d'impatto su cinquemila. L'energia che tale impatto svilupperebbe corrisponde a 71 MT. La conclusione è che il rischio per oggetti conosciuti corrisponde a 1/2000 del rischio di fondo da oggetti sconosciuti da 10 e più MT di energia. Se rifacciamo i calcoli su energie di 71 MT (come nel caso di 1994 WR12), il risultato in qualche modo sale, e il rischio di fondo per i prossimi 80 anni diventa circa 1 su 12, di cui quello per oggetti già conosciuti è circa 1 su 400.
Secondo i planetologi e i cacciatori di asteroidi e comete potenzialmente "mortali" (ossia a carattere estintivo) per la Terra, il fatto di non conoscere l'esistenza di un corpo cosmico tipo quello di Tunguska, con una significativa possibilità di impatto, non è poi molto positivo, ma incoraggiante.
La domanda a questo punto è: perché non sappiamo niente sulla prossima Tunguska?
Secondo gli scienziati, ci sono tre fattori che potrebbero contribuire a questo gap nella scoperta di impattori virtuali del tipo di Tunguska:
1) potremmo essere stati incapaci di trovare gli impattori virtuali di asteroidi già scoperti;
2) gli impattori virtuali ci sono, ma relativi a dati che non sono stati resi pubblici, e che quindi il sistema scientifico ufficiale non ha elaborato;
3) gli scienziati stanno scoprendo solo una piccola parte degli asteroidi di queste dimensioni.
Naturalmente tutti e tre i fattori sono rilevanti. Ma qual è il più importante?
Affrontiamo il primo fattore. Il software CLOMON era stato progettato per trovare tutti gli impattori virtuali con probabilità di 1 su un milione e oltre.
All'inizio delle operazioni di CLOMON, nel novembre 1999, il monitoraggio si limitava a un periodo di 50 anni. Solo recentemente è stato esteso il periodo a 80 anni. Per la verità, nel caso "migliore" della "risk page", il 1994 WR12, i ricercatori non hanno rilevato nessuna possibilità d'impatto entro il 2050: il meno improbabile riguarda il 2074. Perciò esso è apparso nella "risk page" solo come risultato di un nuovo calcolo, fatto con un software migliore e analizzandolo su di un più esteso periodo di tempo. Ciò non è stato fatto negli altri casi per mancanza di risorse umane e di mezzi di calcolo.
Comunque, almeno per i molti casi che sono stati ricalcolati sugli 80 anni, gli scienziati possono sospettare che un impatto di probabilità significativa potrebbe loro sfuggire? La risposta non è così precisa come la vorremmo. I ricercatori non hanno mai preteso che il loro sistema di rilevamento degli impatti fosse completo; si occupano di tutti i casi per i quali dispongono di una teoria dinamica applicabile. Ci sono ragioni per sospettare che, in casi rari, i ritorni interrotti di corpi celesti possono risultare in probabilità di un ordine di grandezza maggiore di quelli relativi agli altri casi trovati per lo stesso oggetto.
Il problema è che non possono escludere questi casi rari. Debbono tener conto del fatto che stanno cercando un caso realmente eccezionale. La probabilità di fondo non è in nessun modo distribuita uniformemente tra i molti asteroidi di una data grandezza che viaggiano su orbite vicine alla Terra: essa si concentra su pochi oggetti con orbite peculiari, orbite dalla bassa inclinazione, con perielio (o afelio) di circa 1 Unità Astronomica (la distanza Terra-Sole), e vicini a risonanze con la Terra.
Il secondo punto debole del sistema di monitoraggio attuale è la disponibilità dei dati. NEODyS si occupa solo degli oggetti che sono stati classificati come "Near Earth Asteroids" dal Minor Planet Center. Solo per i NEA "ufficiali" i dati osservativi sono disponibili quotidianamente, spediti dal MPC via e-mail. Per tutti gli altri asteroidi i dati vengono pubblicati una volta al mese, e solo se le osservazioni sono state fatte per più di una notte. Infatti la lista dei NEA (la definizione formale è che si tratta di asteroidi con il perielio q < 1. 3 UA) di cui si occupano gli studiosi italiani è alquanto diversa da quella del Minor Placet Center. Il che non significa che una delle due liste sia sbagliata. Se un asteroide è stato osservato solo poche volte, diciamo solo in due notti, l'orbita calcolata è troppo incerta.
In altre parole, dire che quel oggetto è un NEA sarebbe come fare un'affermazione probabilistica.
Scienziati come il dott. Claudio Bonanno hanno calcolato quanti asteroidi potrebbero essere non solo NEA ma "PHA", Potencially Hazardous Asteroid, ossia "killer", se la distanza tra le loro orbite e quella della Terra è meno di 0.005 UA, senza però essere sulla lista ufficiale del MPC: il risultato è di diverse migliaia! Ma quello che importa è stimare il numero totale che ci si aspetta, se prendiamo in considerazione la probabilità che ciascun oggetto sia effettivamente un "PHA": il risultato è più di 100 oggetti.
I nostri astronomi potrebbero, in via di principio, includere questi PHA virtuali nel loro sistema di monitoraggio, ma esso non offrirebbe loro informazioni attendibili. Infatti se un asteroide non è un NEA per il MPC, i dati osservativi sui cui i nostri scienziati baserebbero le loro predizioni di possibili impatti, potrebbero essere incompleti. E finirebbero per sollevare allarmi su un asteroide che magari nel frattempo è già stato nuovamente osservato. Poi ci sarebbero altri "PHA" virtuali, nascosti tra quelli riguardanti oggetti osservati una sola volta, che non vengono mai pubblicati dal MPC.
Infine, analizziamo la possibilità che l'oggetto che provocherà la prossima Tunguska non sia proprio stato scoperto. Il dott. Alan Harris (Jet Propulsion Laboratory, California, USA) aveva pubblicato nella raccolta degli interventi al convegno su Tunguska del 1996 (Planetary and Space Sciences, vol. 46, 1998, pag. 283-290), un'analisi dettagliata del livello di completezza raggiungibile come funzione della magnitudine raggiungibile e della durata della ricerca, oltre che alla taglia dell'asteroide.
Il dott. Harris ha detto che questi calcoli dovrebbero essere leggermente rivisti: sono il risultato di un'analisi teorica che andrebbe rifinita tenendo conto dell'esperienza accumulata da quando l'articolo è stato scritto (specialmente dall'esperienza dei Progetti LINEAR, LONEOS e Catalina). Secondo il modello di Harris, perfino un' ipotetica sorveglianza di Spaceguard che controllasse tutto il cielo buio per magnitudini fino alla 22, potrebbe rilevare circa il 20% di tutti i NEA sui 100 metri, in 10 anni.
Attualmente il livello di completezza raggiungibile per magnitudine di circa 19, è inferiore a 1 ogni 1000, in dieci anni. Dal momento che i principali centri di ricerca dei NEO sono operativi da pochi anni (fra cui la Stazione astronomica di Campo Imperatore sul Gran Sasso), forse il fatto di trovare solo probabilità nell'ordine di 1 su 5000 per gli oggetti conosciuti, di contro a una probabilità d'impatto calcolata per l'intera popolazione di quella classe di oggetti vicina al 100% nel XXI Secolo, è esattamente il risultato che dovevamo aspettarci.
La conclusione è che noi non conosciamo il prossimo oggetto impattore (asteroide o cometa) tipo Tunguska, perché semplicemente non lo stiamo cercando. I gap nel nostro sistema di monitoraggio degli oggetti e di diffusione delle informazioni, per quanto gravi, non costituiscono il fattore decisivo. Poniamoci allora la domanda inversa: cosa dovremmo fare se il nostro obiettivo fosse trovare il prossimo impattore della classe di Tunguska prima che ci colpisca? Il dott. Harris se lo è chiesto nel suo articolo del 1998: per scoprire il prossimo Tunguska, diciamo con il 90% delle possibilità, dovremmo avere una ricerca completa del cielo per la magnitudine 21, inquinamento luminoso permettendo.
Naturalmente, "tale operazione dovrebbe andare avanti per qualche secolo prima di raggiungere l'obiettivo" - ha dichiarato il dott. Harris. Il che solleva le questioni della motivazione necessaria (di Protezione Civile) a una ricerca così sofisticata e costosa, quando l'obiettivo quasi certamente non può essere raggiunto nel corso della vita di coloro che darebbero il via al progetto e, naturalmente, dei Lettori e dei loro nipoti. L'asteroide Apophis nel 2029 ci passerà molto vicino ma i calcoli, sempre più raffinati, indicano un rischio d'impatto quasi zero. Mai dire mai, soprattutto se, da bravi ambientalisti e naturalisti, abbiamo a cuore la vita dei nostri discendenti sul pianeta Terra. Un evento estintivo da impatto cosmico su scala planetaria (EVE), d'altra parte, potrebbe essere inevitabile (ossia rivelato all'ultimo momento!) ed allora ben poco potremmo fare, in poche settimane o giorni, per salvare la vita, così come la conosciamo oggi, sul pianeta azzurro. Incrociamo le dita!...(Fonte: Università di Bologna, AA.VV.)
Video di scenario estintivo da impatto cosmico.
|
27/06/2008
Altri articoli di...
Teramo e provincia
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
“Cin Cin”: a tavola con i vini naturali (segue)
L’opera di Enrico Maria Marcelli edita dall’Arsenio Edizioni ha vinto il Premio Quasimodo (segue)
A Martinsicuro “Natale con le tradizioni” (segue)
Doppio appuntamento per “Sentimentál” di Roberto Michilli (segue)
Roberto Michilli presenta il 16 novembre a Campli “Sentimentál” (segue)
Parte sabato 26 ottobre a Giulianova la rassegna “La pintìca dei libri” (segue)
Il 28 luglio la premiazione dei vincitori del Premio Letterario “Città di Martinsicuro” (segue)
Le strade musicali dell'Ebraismo nel compendio cinematografico di David Krakauer

Una serata di emozioni e scoperte

Betto Liberati