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Wal Mart sbarca a Teramo? Il gigante della grande distribuzione punterebbe sul capoluogo aprutino.

Teramo | Wal Mart il colosso della distribuzione Usa è diventato l'azienda più grande del mondo con un fatturato che sfiora i 380 miliardi di dollari, in crescita del 7,9%. Contro Coop e Lidl in Italia vincerà Wal-Mart solo se supera la logica del low cost.

di Nicola Facciolini

Wal-Mart, il colosso dello Stato dell'Arkansas nella distribuzione made in Usa, potrebbe sbarcare in provincia di Teramo. La decisione potrebbe essere annunciata molto presto, dopo i recenti guai che hanno investito i Wal-Mart Stores in terra alemanna. La sconfitta nel mercato gigantesco ed estremamente selettivo della Germania, con l'annuncio della cessione dei suoi 85 negozi a un gruppo tedesco e una perdita stimata in un miliardo di dollari, potrebbe essere colmata con l'ingresso nel mercato territoriale italiano.

La decisione di vendere era giunta due mesi dopo che la Wal- Mart aveva rinunciato ai negozi in Corea del Sud, e si tratta - secondo gli analisti - di un non comune arretramento della maggior catena mondiale nella sua inarrestabile espansione globale. In Germania, sostengono gli analisti, la Wal-Mart non si è mai inserita in un mercato caratterizzato da una costante concorrenza sui prezzi, da operatori discount ben consolidati, dalla resistenza culturale della clientela tedesca agli ipermercati, dove frutta e verdura fresca vengono vendute a qualche scaffale di distanza dalle falciatrici.

Se, come sembra, in Germania la catena Usa è incappata in un momento di caduta del mercato tedesco, arrivando quando l'intero sistema si stava allontanando dal loro modello, nell'Italia centro-meridionale gli affari potrebbero essere molto promettenti e interessanti. Utile netto a 3,02 miliardi di dollari, cioe' 76 cents per azione, nei primi tre mesi di quest'anno per Wal-Mart. Il colosso mondiale della grande distribuzione e' riuscito a bilanciare le difficolta' economiche dei consumatori Usa con una politica aggressiva di sconti (fino al 30% su drogheria, medicinali ed elettronica). L'utile di 76 cents per azione (contro i 68 cents del primo trimestre 2007) batte le previsioni di alcuni analisti. I ricavi sono saliti a 95,3 mld (fonte Ansa). La Wal-Mart non valuta i propri risultati paese per paese. La Wal-Mart, di Bentonville (Arkansas), aveva fatto calcoli simili per la Corea del Sud, cedendo 16 punti vendita alla catena locale Shinsegae, per 882 milioni di dollari.

Come poi accaduto in Germania, anche qui Wal-Mart non conquistava a sufficienza il gusto locale, faticando a competere con gli aggressivi operatori discount coreani. In Italia, dovrà vedersela con le Coop. Nonostante questi arretramenti, Wal-Mart continua a prosperare in molte regioni e paesi al di fuori degli Stati Uniti, con presenze particolarmente solide in Messico, Canada, Brasile e Gran Bretagna.

Wal-Mart a livello internazionale ha avuto vendite per 7,6 miliardi di dollari negli ultimi mesi, con un incremento del 29,5% rispetto al 2005. I negozi Wal-Mart tedeschi occupano 11.000 persone e generano 2,5 miliardi di dollari l'anno in vendite. Aggiungerli alla rete di 550 supermercati e ipermercati Real, secondo Metro rafforzerà il suo potere d'acquisto, in quello che è il terzo mercato a livello mondiale. La compagnia afferma di essere impegnata nel comparto ipermercati. Alcuni dei problemi di Wal-Mart nascono dal modo in cui ha fatto irruzione nel mercato tedesco nel 1998, secondo gli analisti. Problemi che potrebbero manifestarsi anche in Italia. Comprando i punti vendita di due catene di seconda file, Wertkauf e Interspar, la Wal-Mart si è ritrovata con una rete di negozi confusa, geograficamente dispersa e spesso con collocazioni di poco rilievo.

La compagnia in un primo momento ha incaricato managers americani, che sono inciampati in alcune benintenzionate "gaffes" culturali, come offrire il servizio di riempire le borse (i tedeschi e gli italiani preferiscono farselo da soli) o chiedere a dipendenti di sorridere ai clienti (i tedeschi, abituati a un servizio più impersonale, sono stati disorientati, lo sarebbero molto meno gli italiani dal cuore più caldo!). Ma c'erano anche altri problemi, in gran parte al di fuori delle possibilità di controllo della Wal-Mart. Ci sono due grandi operatori discount, Aldi e Lidl, che dominano il mercato alimentare, con punti vendita più piccoli e che offrono prodotti a prezzi molto bassi ma di buona qualità. Aldi propone anche vendite a prezzi speciali ogni settimana, con merci varie e grandi sconti che vanno dal vino alle attrezzature da giardino, e che attirano molti clienti a tornare.

Se le enormi dimensioni di Wal-Mart gli danno un enorme potere sul versante degli acquisti in abbigliamento e altri generi, deve però comprare gran parte degli alimentari per i negozi tedeschi in sede locale. E qui, gli manca la forza di Aldi, che ha 4.100 negozi ed è presente in quasi tutti i centri del paese. La Germania è la patria del discount. Wal-Mart non è concorrenziale sul prezzo, e questa è una delle sue principali caratteristiche nel mercato originale. Oltre queste questioni di concorrenza, c'è anche la realtà del consumatore tedesco: uno dei più parsimoniosi e attenti al prezzo d'Europa. Anche se di recente la fiducia dei consumatori è aumentata, la quota di reddito destinata agli acquisti continua a diminuire. I margini di profitto sul mercato tedesco sono i più bassi d'Europa. Wal-Mart ha tentato, per buona parte del decennio, di adattarsi a questo contesto.

"Parlare di agevolazioni e di vantaggi fiscali della cooperazione è fuorviante e sbagliato. È una cosa che può dire solo qualcuno che non sa di cosa parla. C'è un principio basico che si insegna agli studenti ed è che la tassazione si paga sul reddito disponibile. Se dunque, come avviene per la cooperazione con gli utili che vanno a riserva indivisibile, una parte del reddito non è disponibile non ci si pagano le tasse sopra. È una cosa che vale non solo in Italia, ma anche negli Usa e in altri paesi europei. Non a caso i veri capitalisti fanno le fondazioni e su quei soldi non pagano le tasse".

Parola di Stefano Zamagni, docente di economia politica all'Università di Bologna. "Per il futuro la sfida di Coop è superare la logica del low cost, altrimenti vince Wal Mart. La cooperazione è il frutto maturo dell'economia capitalistica. Non a caso nasce in paesi come Francia e Gran Bretagna nella seconda metà dell'800. E tutti i grandi economisti liberali di quell'epoca, da John Stuart Mill a Marshall, Pareto ed Einaudi, riconoscevano e sostenevano che la cooperazione, per i fini di mutualità che persegue e per la sua governance, fosse una forma di impresa superiore".

Ma da allora ad oggi lo scenario è cambiato tanto...
"La svolta si ha dopo la prima guerra mondiale quando in sostanza si stabilisce che la forma dominante è quella dell'impresa capitalistica e la cooperazione può essere solo una eccezione che può sopravvivere a patto che non disturbi la crescita delle prime. Nasce così la normativa fiscale con le caratteristiche che grosso modo ancor oggi ci sono, ma in cambio si chiede alla cooperazione di non crescere. È qui, secondo me, l'origine di molti dei guai di oggi. Non a caso l'articolo 45 della nostra Costituzione, dice che "la Repubblica riconosce il valore sociale della cooperazione" e non già quello economico. Si sancisce così che la cooperazione, se ha da essere sociale, non può diventare grande".

Invece la cooperazione da allora è cresciuta tantissimo nel nostro paese...
"Certo, ma accettando allora quel "compromesso" si fece un errore che ha pesato sino ad oggi anche sul comportamento del movimento cooperativo. I tempi sono ormai maturi per giungere ad un chiarimento definitivo. La verità è che le cooperative sono oggi svantaggiate perché non hanno accesso al credito e al mercato dei capitali. Se ci fosse questo, le Coop potrebbero benissimo fare a meno dei benefici previsti dalle normative. Einaudi sosteneva che l'economia di mercato ha bisogno della cooperazione. Quello che serve è una competizione alla pari anche tra imprese di tipo diverso: imprese di capitale, cooperative e ora anche imprese sociali. Non basta la competizione tra imprese dello stesso tipo. Lo dico pensando anche alle critiche sul prestito sociale. Se qualcuno lo vuol togliere e poi le coop non hanno accesso al credito, non va bene".

C'è un problema di riconoscimento del pluralismo economico dietro agli attacchi alla cooperazione?
"Gli attacchi mi sembra vengano da un capitalismo di vecchio stampo, attaccato alla rendita. Non sentirà mai un economista serio tirar fuori questa storia dei vantaggi fiscali. Ma il punto vero per la cooperazione, e per quella di consumo in particolare, è un altro. Occorre cioè guardare avanti. Quando è nata la cooperazione doveva tutelare le classi meno abbienti, offrire convenienza economica. È una cosa ancor oggi molto importante, ma non basta. Lavorare solo in una logica di prezzo basso significa dar ragione a un colosso come Wal Mart, cioè ad un'impresa capitalistica che riuscirà sempre a essere un passo più avanti. Occorre invece rispondere agli attacchi facendo un passo avanti e chiedersi".

Di quale nuovo ruolo deve farsi protagonista la cooperazione di consumo in una realtà come quella odierna che vede il passaggio da una società fondata sulla figura del lavoratore a una fondata su quella del consumatore?
"È un processo inevitabile e inarrestabile. Il punto è che mettere il consumatore al centro significa far saltare molti schemi e mettere in discussione la coesione sociale. Ripeto: il modello Wal Mart distrugge le relazioni sociali, è un tutti contro tutti. Se la logica è solo il low cost, avremo anche un sistema di welfare low cost, una sanità low cost, etc. Ebbene, una realtà come la cooperazione di consumo deve operare per favorire la tenuta sociale, per scongiurare il rischio che l'individualismo che sta alla base del modello neoconsumistico diventi la norma sociale di comportamento. Serve un patto con i cittadini e Coop ha milioni di soci. È un discorso di civiltà quello che va fatto. Se Coop lo farà, avrà un grande futuro davanti".

Wal-Mart si è aggiundicata il primo posto nella classifica delle società più grandi degli Stati Uniti, stilata da Fortune per il 2007 (fonte: Sole24Ore). La graduatoria consegna la palma di società più redditizia alla Exxon, seconda per fatturato, e registra il dramma di Merryll Lynch, che affonda, trascinata dalla zavorra dei mutui subprime. Una delle tante ferite inferte dalla crisi del credito all'economia e fotografate da Fortune: per la prima volta in cinque anni, gli utili dei 500 più grandi gruppi statunitensi hanno subito una contrazione. E tutto lascia pensare che la classifica del 2009 racconterà una storia analoga.

Nel 2006, 156 società della «Fortune 500» avevano registrato utili inferiori all'anno precedente e 43 erano in rosso, per complessivi 48,4 miliardi di dollari. Nel 2007, le società in perdita sono diventate 57, il rosso è più che raddoppiato, a 116,7 miliardi, e 183 gruppi hanno ridotto gli utili.

Lo scorso anno, la crisi del credito, scoppiata a giugno, non aveva ancora investito pienamente i consumi. Ma Wal-Mart ha potuto portare il suo fatturato a sfiorare i 380 miliardi di dollari, in crescita del 7,9% rispetto all'anno precedente, quando aveva già conquistato la testa della graduatoria. La chiave del risultato sta nella strategia adottata nell'ultimo trimestre dell'anno. Messo alle strette da cattive previsioni sulle vendite nel periodo natalizio, l'amministratore delegato del gruppo, ha deciso di tagliare i prezzi di 15mila articoli. La mossa gli ha permesso di salvare il volume d'affari e ha costretto i concorrenti a seguirlo sulla stessa strada, comprimendo margini già ridotti.

Il gruppo ha chiuso il 2007 con un valore di mercato di quasi 210 miliardi di dollari e profitti per 12,7 miliardi (in crescita del 12,8%). In Italia, per affermarsi, abbiamo ragione di credere che Wal Mart dovrà attuare una strategia "ad hoc", unica del suo genere, favorendo la cooperazione capitalistica e le tradizioni "folk" locali. Fanta-economia? Forse. Staremo a vedere. (Fonti: AA.VV).

19/05/2008





        
  



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