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Domenica 30 aprile a In Art: la bellezza che nasce dall’amore

San Benedetto del Tronto | Domenica 30 aprile, con l’ultimo appuntamento della prima edizione, che ha visto protagonisti artisti d’eccezione, si è conclusa con successo, all’insegna dell’amore e della bellezza, la rassegna letteraria e musicale In Art.

di Elvira Apone

un momento dell'evento di In Art del 30 aprile

Domenica 30 aprile, il ristorante Puerto Baloo di San Benedetto del Tronto ha ospitato l’ultimo appuntamento della prima edizione della raffinata kermesse letteraria e musicale In Art, organizzata dall’associazione culturale Rinascenza con la direzione artistica di Annalisa Frontalini. Un appuntamento che ha visto protagonisti artisti di calibro internazionale, che hanno dato vita a una serata ricca di suggestioni, densa di contenuti e, soprattutto, particolarmente emozionante. Una serata in cui la bellezza, che solo nella vera arte trova dimora, ha mostrato il suo volto migliore, ha baciato tutti i presenti con l’essenza del suo balsamo miracoloso, ha toccato tutti in profondità, scavando in ogni anima un solco indelebile. Una serata in cui ogni parola, ogni gesto, ogni suono, ogni sorriso e ogni sguardo erano ispirati dall’amore, quell’amore che tutto crea e tutto muove, quell’amore che è passione allo stato puro, quell’amore da cui nascono tutte le cose belle e verso cui, le stesse, ritornano, come a chiudere un cerchio perfetto e indissolubile.

I Cieli celesti del poeta Claudio Damiani, uno degli esponenti più originali della poesia contemporanea, hanno assunto una pluralità di voci e, in una coralità che è subito divenuta comunione, condivisione e partecipazione, hanno regalato al pubblico intense emozioni, hanno sollevato domande, forse hanno anche dato risposte, ma hanno sicuramente donato a ciascuno qualcosa di nuovo, qualcosa da portarsi dentro e da custodire gelosamente. La voce calma e rassicurante di Ettore Picardi ha indicato il cammino, ha suggerito, con garbo e moderazione, la via da seguire, modulando tempi e ritmi; con la sua voce ferma e graffiante, il professor Pino Gennari, vivace, acuto e arguto menestrello di arte e di vita, dopo aver ripescato i versi di Damiani affidati alla sua inossidabile memoria, li ha recitati con passione ed espressività, meravigliando, coinvolgendo, abbracciando tutti con la forza delle sue stesse emozioni; l’affascinante voce di Pilar, straordinaria interprete e autrice della canzone d’autore contemporanea, ha caricato di un timbro nuovo, di rinnovate incredibili tonalità le parole di Damiani, le ha fatte suonare come si fa con uno strumento, le ha trasformate in melodia e le ha fatte arrivare alle orecchie di tutti come una delle sue indimenticabili canzoni; le voci duettanti di Claudio Damiani e di Marina Benedetto, che si sono alternate senza pause o tentennamenti, hanno risuonato come un unico flusso vocale, come una sola voce, rimbalzando nel silenzio della sala in cui un pubblico attento e partecipe ascoltava con riverente stupore; e poi si è sentita l’inaspettata voce del critico musicale Donatella D’Ascanio, catturata da Pino Gennari in mezzo al pubblico e invitata a declamare dei versi in cui ha riconosciuto e ritrovato se stessa. E l’universo di Damiani, pulsante cellula vitale, conca vivificatrice in cui ciascun elemento naturale si trasforma e, mutando, continua a vivere sospinto e guidato dall’amore universale, era sempre lì, sullo sfondo di quel teatro vivente e vissuto a ricordare a tutti che siamo vivi e che, forse, persino morire significa vivere in eterno.

Sull’eco appena spenta di un tintinnare di calici ancora pieni di vino, si sono levate alte e potenti le note del pianoforte sfiorato dalle dita di Roberto Tarenzi, pianista virtuoso ed eclettico, che, con affiatamento e trasporto, ha accompagnato Pilar nel suo concerto L’amore è dove vivo.  Camaleontica, duttile, talentuosa, raffinata, stupefacente, ironica, brillante, accattivante, Pilar non ha soltanto cantato, ma ha dato forma e sembianza a ogni parola e a ogni suono, ha fatto vibrare ogni sua corda vocale in tutte le possibili sfumature, ha regalato al pubblico di In Art la sua anima messa in musica e riscaldata dal calore dell’amore che, ancora una volta, ha guidato i suoi passi, ha acceso i suoi occhi, ha nutrito i suoi versi, ha ispirato la sua voce. Una voce calda, avvolgente, a tratti disarmante, a tratti inebriante, una voce forte e vigorosa, limpida e pulita, carica di toni e sfaccettature, una voce che recita mentre canta e canta mentre recita, che trasforma ogni singola parola in armonia, una voce che non si dimentica perché ti penetra dentro. E lì rimane.

Ho dialogato con ognuno di loro, ho raccolto, come in uno scrigno, le loro parole e le loro riflessioni e le conserverò con cura, come gioielli di valore.

“Quando e come nasce la sua passione per la poesia e, di conseguenza, per la scrittura?”

Claudio Damiani: “Nasce presto, nel periodo dell’adolescenza. Ho cominciato a leggere e a scrivere poesia quando ero adolescente e ho pubblicato le prime cose, che erano piaciute ad Attilio Bertolucci, nel 1977-78, quando avevo circa venti anni. Da lì poi ho continuato a scrivere e a pubblicare”

“Ci sono poeti che l’hanno particolarmente influenzata?”

Claudio Damiani: “ Più che i poeti contemporanei e moderni mi hanno influenzato quelli antichi, come Petrarca, la poesia latina di Orazio, la poesia classica orientale, in particolare quella cinese. Della seconda metà del Novecento mi hanno influenzato certi autori come Barbaro, Penna, Pasolini. Caproni, che ho appena fatto in tempo a conoscere. Nel secondo Novecento a Roma c’era, tra l’altro, una certa vivacità letteraria, ad esempio, il famoso laboratorio di poesia di Elio Pagliarani, forse il primo in Italia, dove noi poeti della stessa generazione ci siamo un po’ tutti incontrati e conosciuti e, insieme, abbiamo anche fatto delle riviste”.

“Lei ha scritto anche opere di saggistica. In particolare mi ha incuriosita l’ultima su Pascoli e i poeti moderni. Ritiene Pascoli un poeta moderno o che, comunque, ha influenzato la poesia moderna?”

Claudio Damiani: “Ritengo Pascoli un grande autore della poesia italiana che ha rivoluzionato la lingua ricreando un nuovo linguaggio poetico; secondo me è un gigante, un classico come Petrarca. Ed è proprio la generazione di questi ultimi decenni ad aver capito la grandezza di Pascoli. Così abbiamo fatto questo libro in collaborazione con l’università di Tor Vergata, invitando quarantasei poeti e critici a intervenire su Pascoli e, in particolare, su Pascoli oggi, per cui è un libro non solo su Pascoli, ma anche sulla poesia contemporanea”.

“Come è nata la sua ultima raccolta di poesie”?

Claudio Damiani: “Ho iniziato a scrivere Cieli Celesti qualche anno fa, intorno al 2012. È un libro sul cielo inteso come universo, anche come l’universo che oggi, attraverso radiotelescopi e nuovi mezzi tecnologici, studiamo. C’è anche il tema, quindi, della scienza contemporanea, dei pianeti che si trovano in altri sistemi solari dove quasi certamente c’è vita; è un libro sulle ultime grandi novità che la scienza sta scoprendo. Il tema principale, quindi, è la vita dell’uomo in questo universo vivo, non più un universo meccanico”.

“Saprebbe darmi una definizione di poesia, o meglio, saprebbe dirmi che cosa è per lei la poesia?”

Claudio Damiani: “Per me la poesia non è qualcosa di soggettivo o di psicologico, ma piuttosto una riflessione sulla natura. Gli antichi dicevano che era un’imitazione e, secondo me, non sbagliavano a dire che era un’imitazione della natura, intendendo la natura come l’essere. La poesia, quindi, è qualcosa che sta accanto alla scienza, alla filosofia, al pensiero, perché è uno sguardo sulle cose, sull’essere e sul mondo. Poi, in qualche modo, con la poesia ha anche a che fare la bellezza, l’estetica, però, secondo me, la poesia è soprattutto conoscenza perché la bellezza viene dopo, è come se la bellezza riguardasse le cose del mondo più che l’arte che poi le fa belle. In questo senso, sono un classicista perché ho un’idea molto classica della poesia”.

“Che cosa pensa della rassegna In Art?”

Claudio Damiani: “La formula di abbinare uno scrittore a un musicista mi sembra molto giusta e originale. In più, la pausa conviviale come momento di aggregazione contribuisce a creare una bella atmosfera”.

Roberto Tarenzi ha raccontato:

“Ho letto che hai soprattutto una formazione jazz. Come mai questa passione per il jazz?”

Roberto Tarenzi: “Il jazz racchiude tantissimi stili e generi; è il linguaggio più vero perché contiene così tanti elementi della musica che ti permette di suonare quello che vuoi e di creare al momento qualcosa che, però, ha delle regole ben precise. Spesso si associa il jazz alla libertà assoluta: è vero, c’è una libertà assoluta, però pur sempre all’interno di regole prefissate”.

“Hai collaborato con tanti grandi musicisti. Ci sono delle cose in particolare che hai appreso da loro e che poi hai fatto tue anche per la tua carriera professionale?”

Roberto Tarenzi: “Ce ne sono diverse e sono anche dipese dal momento in cui ho collaborato con l’uno o con l’altro: da consigli pratici a suggerimenti più tecnici, da lezioni di vita ad attitudini, modi di comportarsi magari durante un tour”.

“Come è nata, invece, la tua passione per la musica in genere?”

Roberto Tarenzi: “È nata per caso, in quanto a casa mia non c’era nessuno che suonava. A cinque anni, a casa di parenti, misi per la prima volta le mani su un pianoforte e poi, da lì, cominciai a chiedere ai miei genitori un pianoforte o comunque uno strumento che gli si avvicinasse. Insomma, è iniziato tutto quasi per gioco…”

“In ogni caso, avevi talento…”

Roberto Tarenzi: “Sì, certo, soprattutto da piccolo si nota se in un’attività riesci o meno, quindi, se c’è un’attività in cui proprio non sei capace ovviamente smetti, un po’ come è successo a me con il calcio in cui ho capito di essere proprio negato”.

“Come è nata la tua collaborazione con Pilar?”

Roberto Tarenzi: “La conoscevo di vista perché ci incrociavamo spesso in una caffetteria dove molti artisti si ritrovano soprattutto il sabato e la domenica, pur non sapendo chi fosse. Poi, tramite Federico, ci siamo messi in contatto e abbiamo incominciato a lavorare insieme circa tre, quattro anni fa, più esattamente dal 2014”.

“Che cosa pensi di questa rassegna?”

Roberto Tarenzi: “Credo che fondere musica, poesia, fotografia, cioè tante arti diverse sia davvero interessante, affascinante e molto stimolante perché ogni forma d’arte stimola l’altra. Penso che iniziative come questa debbano diffondersi maggiormente: festival musicali, per esempio, potrebbero coinvolgere anche altre forme d’arte e diventare manifestazioni multifunzionali, attirando in questo modo molte più persone. È un’idea molto bella”.

E, infine, le interessanti parole di Pilar:

“Pur essendo italiana, canti in molte lingue. Qual è quella in cui ti senti più a tuo agio?”.

Pilar: “La realtà dei fatti è che la lingua che più mi si addice è quella dell’espressività. Come molte altre cantanti, ho orecchio musicale e una voce molto duttile, cosa che permette a chi fa il mio mestiere di cantare in moltissime lingue e di avere la capacità di riprodurre i suoni. Avendo una formazione classica, al Conservatorio, sin da subito, non ho cantato solo in italiano, che è la lingua del bel canto e quella più musicale che esiste al mondo, ma anche in francese, spagnolo, tedesco.  Per esempio, se si riesce a cantare in tedesco, si riesce a cantare anche in tutte le altre lingue perché si deve fare arrivare fino all’ultima poltrona, senza microfono, parole che contengono per lo più consonanti, e far suonare le consonanti significa saper articolare bene i suoni. Attraverso lo studio del tedesco, devo dire che la capacità di cantare in tutte le altre lingue è venuta di conseguenza. Devo anche ammettere che, personalmente, riesco a riprodurre quasi tutti i suoni. Mia madre è nata in Costa Rica e quando io ero molto piccola e lei ancora molto giovane parlava spesso in spagnolo con le sue sorelle, quindi, l’accento dello spagnolo mi è entrato dentro subito e la prima cosa che ho imparato a cantare è stata una ninna nanna in spagnolo. Il francese l’ho studiato al liceo e ho vissuto alcuni anni in Francia, l’inglese è seguito a ruota, il portoghese è nato da un amore. L’italiano è la lingua in cui scrivo, quindi, quella che più mi si addice, ma ogni lingua esprime una parte del mio carattere: lo spagnolo la visceralità e la passione, il francese l’ironia, il portoghese la pigrizia, la sottrazione, il tedesco la parte teutonica, l’inglese quella più beat, quella dagli accenti tronchi, quella più ritmica, swing. La mia voce in sostanza cambia colore ogni volta che canto in una lingua diversa”.

“Tu scrivi anche molti testi delle tue canzoni: come nasce il testo di una canzone?”

Pilar: “Sono due i modi in cui nascono le canzoni: o già in forma di canzone o mi vengono dei versi. Quando nascono in forma di canzone arrivano magari tre o quattro parole e contemporaneamente anche la musica. Il fatto incredibile, però, è che poi io non utilizzo quella musica lì per quel testo, però mi serve per scriverlo e per dargli una metrica, anche se non butto via comunque quella melodia, che magari uso per qualcos’altro”.

“So che hai partecipato a vari concorsi e hai vinto diversi premi. Ce n’è qualcuno in particolare cui ti senti più legata?”.

Pilar: “Due sono i premi cui sono più legata. Uno è quello di Musicultura, che ho vinto dieci anni fa e che mi ha dato la possibilità di formare un primo cospicuo bagaglio di legami umani e artistici con addetti ai lavori con cui poi ho anche stretto amicizia, cosa molto rara. L’altro è il premio Bianca D’Aponte, che si svolge ad Aversa, in provincia di Caserta, dedicato a questa cantautrice scomparsa a soli ventitré anni. La sua famiglia e i suoi cari, grandi musicisti, hanno creato intorno alla sua figura un premio dedicato alle cantautrici, cui ho partecipato nel 2008. Sono molto legata a quella famiglia e al mondo musicale che ruota intorno a quella comunità e, in particolar modo quest’anno, ci siamo resi conto tutti di quanto eravamo legati quando, purtroppo, il direttore artistico, Fausto Mesolella, è venuto a mancare”.

“Ho letto che il tuo ultimo album, L’amore è dove vivo, è stato registrato nel centro storico di Napoli. Come mai questa scelta?

Pilar: “Sì l’album è stato registrato a piazza del Gesù perché Antonio Fresa, l’arrangiatore che si è occupato dell’80% del disco, collaboratore e arrangiatore di Jo Barbieri, grande musicista e pianista, che ha arrangiato quasi tutti i miei brani, aveva lo studio in questo posto bellissimo; tra l’altro abbiamo registrato il disco nello stesso stabile dove è stato girato il film Matrimonio all’italiana, uno dei miei film preferiti”.

“Conosciamo la statura di Pilar artista. Come definiresti, invece, Pilar donna?”

Pilar: “Un big bang ancora non ricompattato, è questa la definizione più appropriata”.

“Che cosa pensi della rassegna In Art?”

Pilar: “Rassegne come questa sono le cose preziose che mandano avanti la cultura in Italia perché non esistono tetti senza basi, non esiste aorta senza vasi capillari. Credo, quindi, che gli affluenti siano importanti tanto quanto il mare che senza di loro, forse, sarebbe meno salato. In un paese che dovrebbe essere il paese della cultura, ma non investe in cultura, che dovrebbe essere il paese del talento creativo, che gli italiani, invece, soffrendo della sindrome dei cattivi ereditieri , danno per scontato, In Art è molto importante, proprio come tutte quelle manifestazioni che partono dal basso e poi si fanno solide diventando comunità e coinvolgendo la comunità stessa in un percorso di crescita per un pensiero critico e autonomo che non rifiuta, ma continua ad accogliere e amare quella cosa meravigliosa che è la complessità. Oggi si confonde complesso con complicato, tendendo a omologare persino i significati delle parole; per esempio, chi semplicemente usa bene un congiuntivo viene definito intellettuale, ma non è così; lo snobismo viene confuso con la selezione, ma è sbagliato: la selezione è inclusiva, mente lo snobismo è esclusivo. In questo paese, in cui la parola autorevole viene confusa con autoritario, manifestazioni come questa, in cui si mettono insieme due o più arti, sono fondamentali per una lettura verticale della realtà là dove oggi la lettura è soltanto orizzontale. L’orizzontalità è un’isola, mentre la verticalità è un arcipelago, un continente, sono tre note verticali che formano un accordo da cui si ha una pasta, un suono, qualcosa di non aereo. Lunga vita, quindi, a iniziative come questa”.

E cavalcando l’onda dell’amore, con il bellissimo brano Dopo l’amore, ennesimo bis concesso a un pubblico deliziato e affascinato, Pilar, insieme al suo bravissimo compagno di viaggio, ha terminato il suo meraviglioso concerto, con cui è calato il sipario anche sulla prima edizione di In Art. In mezzo al brusio generale, tra saluti, ringraziamenti, abbracci e strette di mano, le splendide foto di Paolo Soriani, che hanno accompagnato, con la grazia e l’eleganza che le caratterizza, tutte le serate della rassegna, continuavano a catturare lo sguardo di tutti, rischiarate dalla calda luce di una lampada, mentre lui, impagabile e insostituibile padrino di In Art, mimetizzatosi tra i presenti, aveva già immortalato i momenti più belli della serata, per farceli gustare e custodire nel nostro immancabile album dei ricordi. E di ricordi preziosi e indimenticabili il pubblico di In Art ne serberà tanti nel cuore, perché le cose fatte e accolte con amore sono quelle destinate a durare per sempre.

 

03/05/2017





        
  



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