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Armata:"Cultura low cost per battere la crisi"

San Benedetto del Tronto | Chiudere i rubinetti alla cultura è la peggiore risposta possibile. Puntare sul contrario: fare della cultura un motore anche economico.

di Tonino Armata

Tonino Armata

Signor Presidente del Consiglio comunale, signor sindaco, signore e signori della giunta, signore e signori consiglieri comunali

Pensando al consiglio comunale aperto di giovedì scorso, riflettendo, mi è venuto in mente la frase dell'ex ministro del tesoro Tremonti: "con la cultura non si mangia".

Ogni volta che sento la frase che con la cultura non si mangia, vorrei chiudere a chi l'ha detta in una biblioteca e buttare la chiave per dieci anni. È una frase fatta e vuota, più volte smentita dai numeri: nei luoghi in cui la cultura è progettuale (e non sono pochi) ogni euro pubblico speso per incentivarla ne restituisce sei. Se anche il beneficio non fosse così immediatamente quantificabile, il vantaggio sociale creato dalle opportunità culturali (compresi anche quelli della cultura dell'infanzia) aumenterebbe nelle persone la capacità di ripensare la realtà e di agire per cambiarla. Studiare, prepararsi, conoscere, imparare cose nuove e vivere nella pluralità degli stimoli è l'equivalente di una start-up per il futuro. Per questo nei paesi in cui ci si prepara alla ripresa si investe molto in cultura: sanno che per uscire dalla crisi servono nuovi strumenti di comprensione e progettazione, e li incentivano.

L'Italia (ma anche il Comune di San Benedetto Tr., Regione e Provincie delle Marche) non è tra quei paesi. Chiudere i rubinetti alla cultura da noi è considerato un gesto di prudenza economica, non l'equivalente del tagliare il ramo su cui si è seduti. Si è convinti che la cultura sia una conseguenza del benessere, non il suo primario motore. Nessuno dei governanti di questo paese sembra voler capire che i tagli al settore sono, oltre che un danno all'economia diretta, anche un calcio agli strumenti per progettare (e forse ripensare) le economie del futuro.

Questa incuria ha il danno collaterale di essere contro-pedagogica: i giovani guardano la cultura trattata come l'ultima ruota del carro e si convincono che è secondaria, che non serve studiare, che la laurea non ti fa trovare lavoro e che i libri e tutta la cultura artistica sono un lusso a cui puoi pensare solo dopo che hai risolto i veri problemi, che sono altri.

Succede allora che chi è convinto del contrario, perché la cultura ce l'ha già e ne conosce il potenziale, prenda d'assalto i festival letterari e li trasformi in piazze civiche, chiedendo agli scrittori e intellettuali (come ha fatto Gherardo Colombo con gli studenti) di rispondere alle domande che i politici non ascoltano più: cosa stiamo diventando? Come possiamo reagire? Con quali modalità e strumenti organizziamo il nostro dissenso? Come operatori culturali (ed è una cosa non scontata, dato che per anni è stata fuori moda) siano in molti a star accettando il ruolo pubblico imposto da queste domande, che non è quello di rispondere, ma di ripeterle forte perché siano udite da tutti e proteggere al contempo gli spazi dove possono essere ancora pronunciate.

I festival (in particolare quelli tematici - vedi Festa dei bambini) sono preziosi e stanno svolgendo supplenza attiva in questo processo, ma raggiungono una élite di partecipanti già consapevoli e sono facilmente istituzionalizzabili, perché dipendono quasi sempre dai soldi pubblici. Credo invece alla ricostruzione di spazi civici diffusi e permanenti dove si possa tornare a porre quelle domande in una cornice in cui sia normale, quotidiano, attendersi (o organizzarsi) le risposte.

La novità indotta dai tagli è che questi luoghi devono sorgere dal basso come cellule di resistenza, spesso intorno alla passione per la cultura, e applicare logiche di rete ai territori in cui si radicano. Se questa crisi ha un merito è sicuramente quello di aver svelato che il social networking non era la moda del momento, ma un nuovo paradigma per ripensare l'organizzazione culturale, un'opportunità per chi, privato delle risorse tradizionali, è costretto a riconsiderare risorsa qualcosa che prima sembrava un valore minore: le relazioni e la coscienza sociale.

23/06/2013





        
  



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