Giro d'Italia 2010
| La cronaca della tappa di venerdì 28 maggio
di Renato Novelli
Basso torna in rosa dopo quattro anni. Anni di lunga squalifica e di un rientro alle corse più difficile del previsto. Il ritorno del figliol prodigo. Con una differenza di non poco conto. Il personaggio della parabola di Gesù torna lacero, abbandonato dai falsi amici, pentito, rimasto persino senza parole. Basso Ivan torna con l'aiuto di una squadra di ferro, la più forte ed efficiente del Giro. Torna con un sistema di alleanze variegato che va dalla collaborazione attiva di Scarponi, vincitore di tappa per implicito accordo, alla solitudine pesante di Arroyo che non ha trovato uno straccio di nessuno che collaborasse con lui nell'inseguimento del trio di testa. Può darsi che nessuno dei grandi avesse energie, ma, come dire, l'antipatia verso il commensale che all'improvviso occupa un posto non suo, ha pesato.
L'onore delle armi va dato allo spagnolo. Nella sua carriera non era mai arrivato nelle primissime posizioni: si direbbe un regolarista dignitoso. Invece la maglia rosa lo ha trasfigurato. La sua discesa dopo il Mortirolo è stato un capolavoro. Asfalto bagnato, campioni che sembravano camion goffi e impacciati, mentre lui è venuto giù sull'asfalto bagnato in modo perfetto, disegnando semicerchi eleganti nelle curve. Cadel Evans sembra aver rinunciato ad ogni ambizione di lotta e con lui molti altri. Sulla carta il Giro è ben lungi dall'essere finito. Domani c'è una tappa da far tremare i polsi e domenica una cronometro, ma forse i giochi sono fatti. Basso con alleati e squadra ha vinto il Giro non sul Mortirolo, ma sull'ultima salita. Gli va dato atto di un'intelligenza tattica di grande momento, con una permanenza del guasconismo che lo aveva contraddistinto anche quando era felicemente il numero due dei Tour di Armstrong, dove non tentò mai la sfida al cielo, magari con il rischio di perdere la "cadrega" meritata di secondo.
La scelta di non staccare Nibali e Scarponi sul Mortirolo è stata un calcolo saggio, perché ha fatto la differenza sulla salita finale e in discesa per prendere la maglia, ma dirlo candidamente e con un sottile filo di arroganza nelle interviste post corsa, è il segno di un limite che Coppi o Mercx, ancorché autori di vittorie solitarie leggendarie, non avrebbero mai commesso. Nibali è nato come campione in questo giro e i frutti si vedranno. Se la coabitazione con Basso fondata sulla sua subordinazione al più forte capitano, continuerà felice o troverà incidenti di percorso, è da vedere. La coabitazione tra il celebre Bartali e il ragazzino Coppi (19 anni e qualche mese) del 1940, produsse la rivalità più famosa della storia d'Italia e del ciclismo. La Liquigas continuerà a controllare la corsa come ha fatto finora e forse domani non succederà niente di rilevante. Mai dire mai, però. Arroyo è fuggito via verso l'albergo in maglia rosa. Il pubblico lo ha applaudito. Un episodio bello ed umano.
Neri Marcorè, ospite d'onore al processo alla tappa, dichiara la sua simpatia per Scarponi, perché è di Filottrano che sta vicino a Porto Sant'Elpidio. Eccezionale e intelligente conferma del senso del proprio paese che distingue i marchigiani. Ma contemporanea demolizione in un sol colpo dello spot girato da Dustin Hoffman sulle Marche. Di nuovo è stato spiegato "urbi et orbi", perché Neri Marcorè ha un universalismo quasi papale, che le Marche non esistono e che i marchigiani sono un'invenzione amministrativa. Più grave per un attore così famoso, simpatico, guru della cinematografia intelligente, avere dimenticato il ciclista Gismondi che risulta essere ancora residente dove è nato, cioè a Sant' Elpidio a Mare, gregario di Fausto Coppi, con cui divideva la stanza d'albergo durante Giri e Tour. Chissà quante cose sa (e potrebbe raccontare) Gismondi che sono ignote a noi e all'umile attor tifoso. Domani la strada ha la neve sui fianchi della strada. Nel Giro del 1940, Coppi in maglia rosa, ebbe una crisi fisica che si tramutò in una crisi di nervi. Bartali, suo capitano(Coppi lo chiamava Signor Bartali e non ancora "Quello là", come fece, ricambiato, anni dopo), lo vide dall'alto di un tornante superiore della salita e al contrario del lupo con l'agnello della fiaba di Esopo, scese giù, mentre il gruppetto di testa della corsa se ne andava. Prese Coppi per il petto e lo buttò dentro la neve intimandogli di riprendere la corsa. Alcuni medici americani sostenevano che la temperatura e il freddo della neve sono un salutare shock psicologico, una terapia, insomma. Discussero a lungo di come un corridore, ai loro occhi un semianalfabeta dotato di leggendarie gambe e di fede cattolica, potesse conoscere il loro segreto terapeutico. Non sapevano, come sanno gli umili servitori della scienza sociale, che esiste la "serempidity" cioè la facoltà di raggiungere una scoperta cercando qualcos' altro. Come fece Colombo che cercando l'India scoprì l'America. Ginettaccio Bartali era un ciclista vero e voleva solo che quel ragazzino vincesse quel maledetto Giro che lui non poteva più vincere per colpa di un cane che attraversando all'improvviso la strada lo aveva fatto cadere e lo aveva tolto dalla classifica per la vittoria finale. Voleva che la sua squadra vincesse il Giro e produsse una rivalità leggendaria, un tormento senza fine ed anche una storia d'amore tra due campioni che non ha eguali a nessuna latitudine e in nessuno sport.
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29/05/2010
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