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La mania delle Barbie customizzate

| TERAMO - A quanto pare chi sfrutta il marchio di Barbie and Ken piange: storie di cause vinte dalla Mattel.

di Nicola Facciolini

Forcaioli, ipocriti e moralisti dell’ultimo grido, come al solito, avranno poche speranze di credibilità ma abbiamo ragione di credere che non ci vorrà poi molto prima dell’ennesima denuncia da parte del colosso Mattel.

Solo che stavolta a salire sul banco degli imputati, in qualche aula giudiziaria californiana, potrebbero essere chiamati, a diverso titolo, l’azienda che si è divertita a diramare nei giorni scorsi, nei locali e nelle vie della nostra città, la scena hard di Barbie e Ken e lo stesso Comune di Teramo.

Rinfreschiamo la memoria ai teramani. Nel lontano 1959 l'azienda statunitenze Mattel lanciò la prima bambola dalle forme esplicitamente femminili. Scoppiò uno scandalo: la bambola venne considerata oscena ed offensiva per la morale comune. Erano gli inizi degli anni '60 in cui la sessualità era appena sussurrata, molto “velata” ed in cui bastava un décolleté per suscitare le ire delle piu' rigorose organizzazioni cattoliche. Erano anni di buia contestazione culturale, anni in cui la censura anti-comunista teneva sotto osservazione non solo gli argomenti che avevano a che fare con la sfera sessuale, ma anche quelli che si rivolgevano, in modo non conforme alla linea ufficiale, alla politica, alla patria, alla religione, alle chiese ufficiali ed alle più alte cariche dello stato e dell'ordine costituito in genere.

Nel XXI Secolo, naturalmente, la situazione si è ribaltata al punto tale che, di fronte all'abbondanza di nudi, di rapporti sessuali mostrati spesso in maniera molto esplicita, di parolacce che fioccano tra film, telefilm e reality, questi nostri “antenati” potrebbero persino cadere in preda ad uno shock epilettico. Dal 1959 ad oggi, sia il concetto di osceno sia quello di comune senso del pudore si sono modificati.

La pornografia è diventata un fenomeno di massa (lo testimonia l'enorme profitto economico in vertiginosa ascesa su Internet) e l’industria pornografica si è adeguata al cambiamento di costume, strumentalizzando e schiavizzando il corpo in una logica dell’apparire più che dell’essere. Purtroppo, ahinoi, è cambiato anche il modo di concepire la piccola Barbie, che da diseducativa è diventata l’ideale generazionale della femminilità.

E’ un mondo strano a tal punto che non mancano spogliarelliste con il logo della Mattel tatuato in fondo alla schiena! Proprio come Barbie. Per non parlare di Pamela S. Anderson che dopo diversi interventi di chirurgia estetica di rimodellamento è diventata la perfetta incarnazione della bambola! Negli ultimi anni, anhe grazie ad Internet, è fiorita una vera mania delle Barbie customizzate, in versione porno, fetish o sadomaso, dei fotomontaggi e dei video trasgressivi, con la bambola come protagonista. Come le Barbie ospitate da "Plastic Paradise" realizzate da Cat Sass, o la Barbie in versione lesbica di Cory Caplinger oppure i tre minuti del video a sfondo sessuale di "Barbie e Ken". Per chi volesse approfondire l'argomento, c’è addirittura libro di Sarah Phelan: "The Great Barbie Makeover-Transforming the Image of the Image of Women".

Dal canto suo, la Mattel non si pone problemi morali, ma considerando Barbie una sua proprietà intellettuale, ha sempre avuto una giusta reazione avversa verso tutti gli usi ritenuti impropri e le rappresentazioni non autorizzate della bambola. Chi non ricorda la causa intentata, nel 1997, dalla Mattel contro il gruppo pop Aqua e la loro casa discografica per i toni "troppo erotici" del video e della canzone Barbie Gilrl?

Malgrado l'impegno di artisti come Tom Forsythe che si battono per liberare Barbie e farla partecipe del loro immaginario, la Mattel a colpi di denunce è riuscita a far oscurare molti siti internet. Mancherebbe il precedente giudiziario di una chiusura di una discoteca italiana.

La causa intentata dalla Mattel contro www.barbiesplaypen.com, un sito dove una Barbie, in versione hard offre "Hot sexual party games, free live sex feeds", è un perfetto esempio di questo scontro. La nota azienda ha bloccato anche la proiezione negli USA di "Barbie también puede estar triste" (che tradotto vuol dire: “Anche le Barbie piangono”), un cortometraggio d'animazione diretto dalla regista argentina Albertina Carri.

Il cortometraggio, presentato in diverse rassegne in America Latina, è un melodramma- porno in cui Barbie, moglie frustrata e insoddisfatta, ha una bollente storia lesbica con la sua graziosa cameriera bruna. Ma chiaramente è impossibile impedire del tutto la diffusione delle testimonianze sulla doppia vita di Barbie e Ken giunti in queste ore misteriosamente a Teramo per non si sa bene quale speciale missione.

19/03/2007





        
  



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