Un uomo a cui appartiene una sconvolgente solitudine, non disperata, ma abituata, si muove nelle luci della sera, in uno scenario quasi costantemente buio, nel gioco di ombre che la camera fissa sottolinea.

Poche parole, segno di una mancanza di relazioni sociali, ma questa è una privazione di cui il personaggio, che ricorda vagamente il tanto amato Chaplin, in versione forse più drammatica, sembra non soffrire: pura abitudine.

Ma Kaurismaki non vuole trattare solo di solitudine: questa volta, l’ingenuità di un uomo che tende alla vita con fare timido viene ingannata e il “Sembri uno che ha bisogno di compagnia” si rivela improbo e crudele.

Una donna, che è fra le più spietate della storia del cinema; personaggi che sembrano personificazioni di ritratti di Tamara De Lempicka; un protagonista reale e improbabile.

Ideato, scritto, montato e diretto da un Aki Kaurismaki che non lascia spazi alla compagnia e denota ogni esilio, persino quello del pane caldo, che circonda questa sorta di idiota dostojevskiano.

Infine, neanche il regista finlandese, così propenso a storie tetre, rinuncia al lieto fine, seppure esso non sia propriamente gaio, ma un po’ agrodolce, con quel retrogusto malinconico