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"Pecore nere alla riscossa": intervento di Massimo Martelli

Ascoli Piceno | Il segretario del partito di Rc interviene in merito alla polemica innescata da An sulla presenza di Renato Curcio a Grottammare

di Paolo Clerici

 

Conosciamo la storia di questo paese? In parte, perché i conti con gli anni ’70 e la generazione d’oro sono stati fatti a colpi di processi sommari, “teoremi” ispirati dalla Ragione di stato e umiliazioni personali e collettive. Poi, come si dice, è arrivata l’eroina.

Il più grande decennio della storia dell’umanità, quello che ha alimentato la necessità e il desiderio bruciante di scalare il Cielo, non è riuscito ad imporsi nelle sue istanze di libertà e di felicità.
Non conosciamo bene la storia di questo paese. Sappiamo ma non sappiamo chi, come e perché ha decretato la morte di centinaia di innocenti, di passanti occasionali distribuiti tra la Banca dell’Agricoltura di Milano e la stazione di Bologna.

Sappiamo che l’eversione nera ha alimentato nel sangue e nella violenza il tentativo di destabilizzare le nostre istituzioni democratiche, quelle istituzioni figlie della Resistenza. Non sappiamo – o forse sì – chi questa mano armata ha sostenuto e pagato.

In galera di neofascisti di quel periodo ce ne sono andati pochi, pochissimi. Ricordo Delle Chiaie, Freda, Ventura, Mambro, Fioravanti … e poi? Poi la Ragione di Stato, e nessun colpevole. I processi si sono dilatati, storpiati e annacquati sotto il peso insostenibile del tempo che passa.

Alla generazione d’oro, quell’orda cantata da Balestrini e Moroni è andata diversamente: tutti hanno pagato per quell’incontenibile desiderio di cambiare il mondo e di renderlo più umano, meno intriso dalla volgarità del capitale, meno umiliato dalla logica dello sfruttamento, meno insozzato dall’arroganza di chi s’ingrassa e ammazza a prezzo della fame degli altri.

Non voglio commentare l’intervento, a proposito di Renato Curcio, del nostro assessore alla cultura dal “cuore nero”, che dovrebbe tacere e vergognarsi, e magari studiare un po’, tanto per cercare almeno di essere all’altezza del mestiere che fa; e neppure un consigliere provinciale dell’opposizione, appesantito dalla retorica e dai buoni farisaici consigli, voglio commentare: anche in questo caso, almeno per ripartire da zero, basterebbero un po’ di studi e di vergogna.

A Castelli invece qualcosa va detto, senza con questo creare il sospetto che il suddetto meriti in sé una certa considerazione d’importanza.

Conosco Renato Curcio. Con estremo piacere, nonché rispetto, l’ho invitato due volte in questo disgraziato territorio, tra il 2003 e il 2005, per ascoltare e far ascoltare ciò che aveva e ha tuttora da dire sulla grande distribuzione e sui meccanismi mortificanti che questa alimenta. Ne sono usciti incontri appassionati, per qualcuno addirittura illuminanti. Di sicuro per tutti i presenti sono stati un’occasione di crescita personale, di riflessione, di confronto.

Nessuno che io ricordi si è lamentato, neppure i paladini dal cuore nero; nessuno scandalo per ciò che scandaloso non è. D’altra parte, quali motivi potevano alimentare ostilità nei confronti di un uomo che non soltanto ha pagato più che abbondantemente il suo debito, ma che ha ricostruito la sua vita nella direzione di un rinnovato impegno verso gli altri? Curcio è il responsabile editoriale di una grande cooperativa, i “Sensibili alle foglie”, che negli anni dà voce a chi non ce l’ha: psicotici, emarginati, sfruttati. La ricostruzione personale di Curcio segue questo filo rosso, che è una posizione di dignità assoluta.

Il fascismo invece è un’altra cosa, e lo sappiamo bene.
Dicevo, Castelli. E’ ovviamente strumentale la sua polemica, mirata ad attaccare Provincia e Regione al fine di alimentare l’unica cosa che fondamentalmente gli sta a cuore: il consenso elettorale. Si scandalizzi il consigliere, se proprio vogliamo fare filantropia, per tutte le stragi di matrice neofascista rimaste impunite, e lasci perdere la generazione d’oro dell’assalto al Cielo: di ciò che non si conosce, almeno, si deve tacere.

Ho riflettuto molto su una frase di Louis Althusser: “l’avvenire dura a lungo”, diceva. Ho provato una forte angoscia per questo, dal momento che la strada da fare è ancora e sempre tanta. Ho pensato però che questa lunga strada è anche occasione di salvezza: la possibilità di redenzione corre per fortuna sugli stessi binari del tempo. Allora l’essenziale è sempre lo stesso: in questo lungo avvenire siamo solo all’inizio.

Per fortuna, anche Renato Curcio è dalla nostra parte.

31/01/2007





        
  



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