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Si è conclusa l’iniziativa “I luoghi del molteplice: omaggio a Pier Paolo Pasolini”

Ascoli Piceno | Presso la Libreria Rinascita il Professor Antonio D’Isidoro ha proposto letture e argomentato la poetica pasoliniana

di Federico Biondi

Si è conclusa l’iniziativa “I luoghi del molteplice: omaggio a Pier Paolo Pasolini” nella serata di giovedì 1 dicembre con la proiezione al Cinema Piceno del film documentario di Laura Betti dell’associazione culturale Seblie in Performance “Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno”. Un video documento successivo all’incontro organizzato presso la sala espositiva interdisciplinare della Libreria Rinascita, dove il Professor Antonio D’Isidoro ha proposto letture e argomentato la poetica pasoliniana.
 
Antonio D’Isidoro professore presso la cattedra dell’Università di Macerata ha voluto approfondire Pasolini poeta, confessando che la sua generazione deve recitare il “mea culpa” per il poco che è ha detto della poesia ma anche del teatro pasoliniano. Anche la critica non riconosce a Pasolini l’importanza delle sue opere poetiche cosa che logicamente non accade per le altre discipline in cui l’artista poliedrico si è profuso nella sua importante e prolifica seppur corta esistenza.
 
Quella di Pasolini è una poesia di impegno civile di un uomo che voleva vivere la sua contemporaneità, un genere attualmente trascurato in Italia. È proprio da questo approccio che nascono le profezie pasoliniane: l’omologazione, la scomparsa della cultura contadina, il consumismo. Lui stesso definì queste dinamiche come l’avvento di una nuova preistoria plastificata e televisiva.
 
D’Isidoro spiega che la poesia di Pasolini poggia sulla contraddizione, sulle provocazioni e sul rifiuto, di difficile lettura risulta complicata e accusata dai critici di essere eccessivamente retorica. Pasolini affermò in una intervista radiofonica che la retorica è sempre stata uno strumento per persuadere, documentare e insegnare, quindi leva essenziale di ogni passione civile.
 
Il rifiuto per Pasolini è un gesto essenziale, anche perché i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno avuto la capacità di opporsi e declamare un secco “no”. Una poetica che non ha la necessità di trovare parole auliche e che presenta una forte componente antropologico-culturale ma anche una poetica neo-etica che ha bisogno di una conoscenza integrale.
 
Una poesia in difesa di una diversità politica in una fase transitoria per la società con la quale denuncia la classe politica italiana perché inadeguata e auspica l’azione degli intellettuali per accertare le decisioni politiche.
 
Pasolini ha vissuto la sua avventura poetica con una insolubile inadeguatezza interiore fino a diventarne vittima, pagando in prima persona questa azioni in un clima culturale colmo di sospetti, di diktat e obblighi morali.
 
Ha cercato una forma di libertà che lo ha escluso, isolato con il pensiero di una perenne sconfitta. Comunque le sue “antenne” hanno captato lo sfaldarsi della cultura e la poesia è l’arte che lo ha messo in condizione di capire la società con la consapevolezza che non c’era possibilità di salvezza. La vita vissuta allo stato grezzo, puro e pre-ideologico per sentirla un bene inalienabile, la sua poesia come un laboratorio di espressività.
 
Pasolini è stato prima di tutto un poeta e solo successivamente la sua poesia è stata trasferita in altri contesti come il romanzo, la novella, il teatro, la critica letteraria e la saggistica politica.
 
La cultura contadina è scomparsa e i cittadini italiani si sono distratti dai problemi reali grazie alle miriadi di antenne installate sui balconi. Il professore Antonio D’Isidoro fa una critica alla sua generazione che pensava che la cultura delle classi povere non fosse cultura.
 
“Noi studenti sognavamo che la nostra protesta sfociasse in un sodalizio – dice D’Isidoro e aggiunge – Pasolini ha stigmatizzato il nostro sogno”. Come quando alla contestazione studentesca nella “battaglia di Valle Giulia” si mise dalla parte dei figli del popolo (i poliziotti) invece che con i figli della borghesia.
 
Quello era il modo con cui Pasolini voleva farsi accettare, non uno dei tanti ma come un uomo che voleva provocare, che mostrava contraddizioni che successivamente sfociarono inevitabilmente in un corpo a corpo durante il Festival di Venezia del '68 (il regista presentava Teorema ) quando lo gioventù italica del collettivo di Lotta continua  lo prese a sputi.
 
Pasolini come poteva accettare l’omologazione della scuola che appiattiva le conoscenze e l’invasione della televisione? Lui stesso domanda nelle sue inchieste ad un operaio di autonomia operaia “se la borghesia italiana, non illuminata e attaccata ai suoi privilegi nonostante tutto inglobante, non riuscirà a sottrarre il dinamismo culturale della classe proletaria appiattendola?”

02/12/2005





        
  



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