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La “Notte da Incubo” di Antonio De Signoribus

San Benedetto del Tronto | Un avvincente racconto, evocato dalla sapiente penna e dalla mirabile vis narrativa dello studioso di tradizioni e leggende popolari marchigiano. La magia della leggenda, entra dalla porta del mistero, nelle case, nelle cose e nei casi della vita.

di Antonio De Signoribus

Lo scrittore e studioso Antonio De Signoribus

«E' una serata gelida.

Il cielo grigio scarica, di tanto in tanto, qualche goccia di pioggia, mista a neve.

Lando Siliquini, fonte orale di questo particolare racconto, mi accoglie nel suo studio.
Ci sediamo subito davanti a un bel bicchiere di vino rosso, per riscaldarci dal freddo pungente, e dopo aver chiarito il senso del mio lavoro, Lando comincia il racconto:

"Siamo nei primi anni Cinquanta del Novecento; Remo tornava verso Sossasso, dopo aver trascorso la serata sotto gli occhi vigili dei genitori della fidanzata. Lo accompagnava Iacopo detto Iacu, di Cese, che intendeva fare un tratto di strada insieme a lui, trascinato com'era dal pensiero di una ragazza di Lincì, frazione di Montefortino, collocata tra le Cese di Montemonaco e Sossasso.

Discorrere con l'amico Remo della attrazione che sentiva per quella donna, era un po' vivere l'illusione o la speranza di trovarsi più vicino a lei; magari, lo stesso Remo poteva dargli lo spunto giusto o un consiglio o rinfrancarlo sulle possibilità di esserle gradito. Fare una passeggiata lungo la vallata del Cussùturu non era spiacevole, pur se l'altitudine e l'umidità del fiume creano raramente condizioni di tepore notturno.

Il cielo era stellato ma senza luna e la conca sprofondata nel buio, in un frinire di grilli e di cicale.

Nell'aria tranquilla si aspiravano profumi di terra e di paglia. Dal fiume, adagiato nelle anse tenacemente erose, saliva il fruscio leggerissimo della corrente.

La mole poderosa della montagna, si ergeva alla loro sinistra, rassicurante e inquietante a un tempo.
Né il buio né l'aria frizzante potevano superare il gusto di discorrere di donne.

Indolenziti dalle fatiche della giornata e più stimolati dagli entusiasmi giovanili continuavano a parlottare, mentre seguivano il fondo irregolare della carreggiata.

D'un tratto, tra i loro discorsi si intromise un rumoreggiare indefinibile che sembrava provenire dalle parti di Lanciatù lungo un viottolo che andava a incrociare la loro strada.

Remo fu il primo a prestare attenzione; e con un po' di curiosità, mista ad apprensione, domandò cosa fosse.

Distrattamente, senza neppure valutare la verosimiglianza della spiegazione, Iacu rispose che si trattava di ‘Ndò de ‘Ndré, che in preda all'ennesima sbronza veniva seguito e preso in giro dai bambini irrispettosi di Cerretana.

Lì per lì, si accontentarono della interpretazione e stettero per distogliere l'attenzione.
Tuttavia, la sorgente di quello strano rumore, si stava avvicinando in maniera inaspettatamente veloce.

I due amici cominciarono a distinguere urla e versacci sgradevoli e preoccupanti.

Istintivamente abbandonarono la strada carrabile, acquattandosi dietro i cespugli della scarpata.

Intanto, il chiasso diventava sempre più forte.

Aspettavano allarmati di vederne la causa di lì a poco ... ed ecco, che una folata rabbrividevole di strani versacci, miagolii, urla, gracchiamenti, ululati, crepitii, udirono passare appena sopra di loro.

Ma incredibilmente non videro nulla: né animale, né essere umano!

Le grida infernali si allontanarono con la stessa rapidità con cui si erano avvicinate lacerando l'aria sopra il fiume verso Colle Regnò e cominciò ad avvertirsi uno strano odore di bruciato.

Storditi e spaventati, Remo e Iacu attesero ancora un po', con i sensi tesi ad afferrare altri segnali.
Si domandarono l'un l'altro il motivo dell'agghiacciante fenomeno, cercando la reciproca conferma dell'accaduto.

Il grosso desiderio di quei momenti era però di trovarsi al sicuro nelle proprie case.

Purtroppo, un bel tratto di strada li teneva lontani tanto da Sossasso che da Le Cese; e, per raggiungere ciascuno la propria, era necessario separarsi.
Iacu fu preso da una tale paura da chiedere irrazionalmente a Remo di riaccompagnarlo a Le Cese.
Remo, non meno spaventato, rimarcò l'impossibilità di tornare indietro, ché poi avrebbe dovuto percorrere da solo un tratto ancora più lungo.

Fecero allora appello al residuo coraggio, consigliandosi a vicenda di seguire sentieri segnati lungo il fiume e dentro le macchie, potendo contare sulla conoscenza dei luoghi e sulla energia dei loro giovani corpi.

Col cuore in gola Remo corse verso casa pur allarmato dai rumori prodotti dai suoi stessi balzi, focalizzando profili nelle ombre, con quell'odore di olio rancido e bruciato nelle narici, mentre lo incalzavano i racconti di spiriti maligni, di streghe e di lupi mannari, che fin nelle veglie dell'ultimo inverno aveva ascoltato tra il divertito e l'incredulo.
Affrontò il fiume, che ricordava regno preferito degli esseri notturni. A Lincì ebbe lo jacciacòre quando un cane amico, ingannato dall'incedere anomalo, lo aggredì abbaiando all'improvviso, per poi fargli compagnia scodinzolando nell'ultimo tratto.

Raggiunse finalmente l'uscio di casa.

Entrò. Chiuse a doppia mandata la porta e si infilò sotto le coperte. Solo sul tardi riuscì ad addormentarsi e dormì un breve sonno popolato da incubi.

Passò qualche giorno.

Finalmente rincontrò Iacu, in quel di Le Cese. Era ancora vivo! Ma c'era mancato poco! Quella notte famigerata, dopo essersi divisi, Iacu con il coraggio sotto i tacchi aveva percorso i sentieri più scabrosi e indistinguibili per accorciare la via del ritorno.
A differenza di Remo, le sue paure si erano rimaterializzate di colpo, proprio mentre stava raggiungendo l'abitazione.
In un vicino deposito - gli riferì - era ripiombato dall'alto il tremendo baccano: come di un esercito di animali, di morti, di demoni, di fantasmi gracchianti, ululanti, miagolanti.

Lo spavento si tramutò in terrore.

L'ultima scarica di adrenalina gli permise di raggiungere la porta.

La aprì in maniera scoordinata e fragorosa, probabilmente emettendo a sua volta delle grida. La madre addormentata si svegliò. Si allarmò per il fracasso e le urla. Balzò dal letto e scese di corsa, giusto in tempo per vedere il figlio ansimante e tremante cadere a terra, appena entrato, e sentire lo stridore infernale nel locale a pochi passi. Con l'istinto di madre e di vergara, avvampò di rabbia e buttò un violento insulto contro le presunte streghe indemoniate, ordinando loro imperiosamente di sloggiare. Poi, aiutò il figlio a riprendersi e cercò di tranquillizzarlo.
Insieme, sprangarono porte e finestre e passarono una notte insonne. Ma il magazzino rimase per giorni impregnato dell'indecifrabile tanfo.

Questo mi riferì Remo, perplesso; ora purtroppo è scomparso. Come è scomparso Iacu.

Mi disse anche, che a un racconto del genere non crederebbe di certo, se non l'avesse vissuto.

Il ricordo era ancora vivido e preciso e mai gli era capitato nulla del genere.

L'aver vissuto l'esperienza in due, gli aveva provato che non si trattò di una semplice allucinazione.

Il fatto, poi, di non essere mai stato né apparso come un credulone depone per la fedeltà del suo racconto.

Quale fosse la spiegazione, è tuttora un mistero.

Resta, l'inquietante analogia con i racconti dei voli sabbatici e delle battaglie notturne che da millenni vedono implicati, spiriti di morti, animali, demoni, divinità pagane, in lotta per la fertilità; riportati in atti di processi fortemente condizionati dai pregiudizi dominanti, dove traspare tuttavia un nucleo di pratiche, miti e riti tramandato su una vastissima area euro-asiatica».

09/01/2017





        
  



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