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Beniamino Gigli, un marchigiano

Recanati | Il celebre tenore recanatese, nacque il 20 marzo di 126 anni fa.

di Umberto Sgattoni

Beniamino Gigli

Sul far della primavera, era il pomeriggio del 20 marzo del 1890, schiudeva gli occhi alla vita - e la bocca a quel soave canto che lo avrebbe reso leggendario ed avrebbe saputo incantare, emozionare e far sognare i cuori di intere generazioni - l'Usignolo di Recanati, il tenore Beniamino Gigli.

Ultimo figlio di Domenico, calzolaio e campanaro del Duomo, il piccolo Beniamino - nato in una famiglia umile ed operosa - rivelò precocissimo, un'innata predisposizione al canto.

Entrato ancora fanciullo nel Coro dei Pueri Cantores della Cattedrale cittadina, prese poi lezioni presso il maestro Quirino Lazzarini, organista e direttore del Coro della Santa Casa di Loreto.

Crescendo, le qualità di Beniamino emergevano con sempre più chiara evidenza, superando i confini cittadini. Tanto che non furono peregrini ed inascoltati gli inviti e gli auspici di chi ne esortava la crescita in un contesto più favorevole a valorizzarne, assecondarne ed a svilupparne le straordinarie qualità canore ed artistiche.

A Roma, per esempio.

E così fu. Ma la vita nella Capitale non fu facile. E "ricchissimo di propositi e poverissimo di mezzi" (scriverà un suo biografo), Beniamino si prestò ed adattò ai più svariati ed umili mestieri per inseguire il suo sogno.

Vinta una borsa di studio, ebbe così la possibilità finalmente di iscriversi al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, studiando sotto la guida del maestro Enrico Rosati.

Di lì, la svolta. Un concorso per voci nuove presso il Conservatorio di Parma nel 1914, lo vede assoluto vincitore. La Commissione esaminatrice (fra di essi il celebre tenore Alessandro Bonci), resta basita dallo straordinario ed ineccepibile talento che ha di fronte: "Abbiamo finalmente trovato il tenore!". L'erede del grande Enrico Caruso.

E si acclamerà il giovane Gigli quale "Secondo Caruso", in un'epoca in cui di certo, l'Opera non lesinava mostri sacri, non soltanto fra gli interpreti - Enrico Caruso appunto - ma anche e soprattutto fra i grandissimi compositori (Puccini, Mascagni, Giordano, Leoncavallo), e tra i celeberrimi direttori di orchestra (Arturo Toscanini).

Di lì a poco, per Beniamino Gigli si schiuderanno le prime scritture nei teatri italiani, dove la sua classe cristallina, conquisterà i palcoscenici e pubblici della penisola. E di lì a qualche anno, l'approdo, l'affermazione e la consacrazione nei maggiori teatri europei e mondiali: Colòn di Buenos Aires, Covent Garden di Londra, Metropolitan di New York e tanti, tantissimi altri teatri del pianeta.

Del suo canto, della sua voce e del suo incomparabile talento - oltre all'amore incondizionato del pubblico - altrettanto significativo può essere il giudizio di insigni critici musicali quali Paolo Isotta ("Gigli, impareggiabile nel saper spandere la gioia del canto allo stato puro") e soprattuto, l'ammirazione profonda e sincera di alcuni suoi colleghi, i tenori Giuseppe Di Stefano (innamoratissimo di Gigli e suo devoto estimatore nonché "gigliano" della prima ora) e l'anconetano Franco Corelli ("Mai sentita voce più bella").

Ancor oggi, parlare di Beniamino Gigli, significa parlare di una assoluta ed incomparabile leggenda dell'Opera Lirica. Era marchigiano.

Ed il suo legame con le Marche, fortissimo.

Come pure forte e mai sopito, l'amore per gli umili e per quegli ultimi, ai quali non fece mai mancare sostegno ed aiuto: sia in forma riservata e discreta, sia attraverso l'infinito numero di Recitals di Beneficienza, cui mai si sottrasse nel corso della sua luminosa carriera.

"Un giorno la mia voce tacerà per sempre; che resterà ancora di me se non lasciassi il segno della mia umanità?" ebbe a dire.

E del "Gigli privato" e di questa sua umanità, chi vi scrive, ha avuto l'onore ed il piacere di parlare con una persona che lo conobbe realmente - da ragazzo, essendo figlio di un lavorante presso la sua villa - che gli ha confidato come il grandissimo tenore recanatese, fosse ben consapevole del proprio successo, degli onori ricevuti nel corso della sua carriera e delle molteplici e prestigiose situazioni e personalità con le quali, in virtù della sua fama era venuto a contatto e si era trovato a vivere; e di ciò ne era certamente grato, a Dio ed alla vita, per ciò che gli avevano concesso. Ma come, nonostante la fama e gli onori - ciò nonostante - Beniamino Gigli privilegiasse di gran lunga la compagnia e l'amicizia dei semplici, degli umili, dei contadini e degli operai: la gioia di una chiacchierata e di una partita a bocce insieme a loro, per esempio.

Il valore sacro dell'amicizia: la sua amicizia con Padre Pio (di cui Gigli fu figlio spirituale ed è notorio l'apprezzamento del frate di Pietrelcina per la celebre canzone "Mamma"); l'incontro con il tenore ascolano Luigi Marini al Ventidio Basso (di qualche anno più anziano) e con il più giovane basso ripano Luciano Neroni (con il quale cantò ed ebbe sentita amicizia e del quale non esitò a magnificarne le doti).

E infine, il "Grande Concerto" che Beniamino Gigli - nel pieno della sua ascesa e consacrazione di artista di fama mondiale - tenne a San Benedetto del Tronto presso l'arena dello Stabilimento Bagni, il 2 settembre del 1929.

Tornerà a San Benedetto, il 2 agosto del 1953, con un concerto di beneficienza alla Palazzina Azzurra.

Nasceva sul far della primavera, Beniamino Gigli: un marchigiano illustre, ma pur sempre, nella sua bonomia, nella sua generosità, nella sua verace "marchigianità", uno di noi.

20/03/2016





        
  



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