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Pazzesco Dizionario ragionato dell'italiano esagerato

San Benedetto del Tronto | L'analisi del Professor Filipponi

Manifesto De Michelis

Pressato da amici, mi sono sorbito, alla Palazzina Azzurra, come digestivo, per quasi un'ora, la presentazione di Pazzesco, un saggio linguistico- letterario, di Luca Mastrantonio e poi la premiazione dell'editor Jacopo De Michelis, insieme ad uno sparuto gruppo di uditori, disattenti.

Sollecitato brillantemente dal presentatore Gino Troli, professore di lettere e politico regionale, lo scrittore ha fatto la situazione linguistica pazzesca di un'Italia, che non sa neanche quello che dice, mentre usa un gergo misto italo-inglese, costituito da sincresi semantiche grazie alla confusione di lemmi diversi, mediante crasi (un fenomeno fonetico che permette di fondere la vocale terminale di una parola con quella iniziale del termine successivo, senza, però, l'aggiunta della coronide greca - una specie di apostrofo sopra le due vocali contratte-) e che forma neologismi di differente natura.

L'autore ha ragionato sulla lingua e sui suoi radicali cambiamenti cogliendo nei segni linguistici i deliri, le contorsioni erotico-sentimenti, le rattrappite contrazioni della nostra civiltà occidentale, unificata e conformata al modello anglosassone e rilevando l'italiano esagerato, smisurato nell'amplificazioni iperboliche, per poi concludere con un elenco di termini nuovi, tratti dalla politica, dallo spettacolo, dalle comunicazioni dei cellulari e dalle deformazioni della quotidianità, sorti dal gioco stesso di combinazione linguistica, secondo una propria logica, in relazione alle sue specifiche competenze.

Naturalmente mi sono state propinate brevi lezioni tecniche di linguistica, colorite, teoriche, spettacolari, piacevoli, simpatiche sia sul piano del lessico che su quello dei morfemi, dei sintagmi e dei costrutti sintattici e delle figure retoriche, oltre che su quello dei fenomeni fonetici di sincope ed apocope, senza, però, la dovuta impostazione referenziale e contestuale e la necessaria ricreazione del sistema linguistico: il tutto in modo generico, superficiale e caotico, in una lezione sostanzialmente frontale, nonostante tentativi di diretta comunicazione, non riusciti.

Alla fine, poi, per la premiazione, un vicino mi ha sottoposto la pergamena dove spicca un' impegno con l'apostrofo, che noi abbiamo tramutato con due virgolette poste a destra e a sinistra del termine maschile, iniziante per vocale, per mascherare l'errore ortografico.

Ed allora?

Mastrantonio è un bravo scrittore - modesto linguisticamente sul piano espressivo e forse anche letterariamente se parla in quel modo della Teoria del Fanciullino di Pascoli- che ha fatto una sua ricerca diligente, locale, tipica di un ricercatore linguistico.

Mastrantonio nella sua ricerca compie operazioni indebite perché, sulla base di alcune ricorrenze e di presenze reiterate, o di ripetizioni e di apparenti fenomeni di volgarizzazione del processo linguistico, ancora in atto - in quanto la lingua è corpo vivente - , pensa di poter valutare l'intero sistema, di standardizzarlo in relazione a parziali risultanze soggettive, non ancora storicizzate e per di più non verificate in situazioni differenziate e/o diverse.

Buona, però, è la denuncia dell'imbarbarimento della lingua italiana e della frattura, insanabile, ormai irreversibile, tra la generazione vecchia, di codice agricolo-dialettale e classico, e quella giovanile, commerciale ed informatica, snobisticamente anglofona.

L'autore, comunque, mi ha sorpreso e stupito per la capacità, da una parte, di rilevare e di notare l'ottuso dilagare delle mode imitative, puerili, l'impoverimento del lessico astratto, l'inappropriato uso dei morfemi, dei sintagmi, dei neologismi di difficile lettura ed interpretazione, senza la certezza della etimologia, e, dall'altra, per l'esame, satirico, delle tendenze verso toni eufemistici ed enfatici oltre che per la contraddittoria specificazione di arricchimento ed impoverimento linguistico.

Pazzesco è, dunque, un buon libro.

Lo stesso titolo Pazzesco sottende questo mondo dei media attuale contraddittorio, visto con occhio ironico ed umoristico dal giovane scrittore, abile nel leggere nei suoi compagni di lavoro e in se stesso la crisi linguistica, che si manifesta nell'ambiente lombardo  in modo abnorme, specie in contesti falsamente letterari, pseudo-culturali, ancora borghesi, politico-berlusconiani: la lingua non solo in determinati ambiti, ma anche in ogni luogo in cui si comunica realmente, diventa uno strumento esagerato esasperato, sproporzionato per la normalità comunicativa, data la convenzionalità del segno e il divario fra significante e significato e considerata la mancanza di referenza.

E' un mondo quello mostrato dall'autore della Marsilio, pazzesco, davvero straordinario nella sua alogicità e disarmonia, ricco e fantastico, tipico di chi, fuori dai processi linguistici e profano, pensa di poterli usare e di saperli perfino incanalare ed orientare.

Eppure la sua angolazione di scrittore, non corretta, risulta dilettantesca, tipica di chi gioca con un proprio codice e con un personale registro e fa ricerca socio-psico-linguistica senza reale conoscenza dei fenomeni e crede di poterli effettivamente rilevare e gestire. 

Insomma, nonostante le contraddizioni, Luca Mastrantonio, da buon molisano, ci azzecca e sa cavalcare la via facile del successo, parlando bene, vendendo istrionicamente il suo prodotto, proprio di letterati fanatici della loro lettura e del proprio fiuto mestatorio.

Non è sufficiente, però, per l' analisi di un fenomeno complicato e complesso, come quello della formazione di vocaboli sul piano lessicale e del loro collocamento morfosintattico e semantico, fatto esclusivamente in contesti settentrionali e politico- borghese letterari, rilevare solo alcune presenze di lemmi nuovi o mescolati arbitrariamente e pensare a forme di apacs legomenon e quindi passare a fare un dizionario al fine di indicare una possibile purificazione linguistica, a seguito di una presa di coscienza del fenomeno, successiva al lavoro etimologico. I neologismi (emoticon, bimbo- minchia, milf, stasereno, rottamare ecc.) restano ancora come segni inerti sulla carta, polloni verdi, intasanti il tronco linguistico destinati, fatalmente, a scomparire e a non lasciare traccia.

Personalmente mi preoccuperei, invece, del consolidato analfabetismo di ritorno dei giovani, anche se scrittori, dell'uso ingiustificato degli acronimi, dell'equivoco linguistico ad ogni enunciato semplice, seppure informativo, domestico, culinario, vista la disparità culturale e  considerato il soggettivo modo di sostanziare di referenze concrete ogni termine, a causa del personale sistema di semantizzazione dei comunicanti: tra emittente e ricevente, non esistendo un comune mondo di esperienze e di sapèri, la comunicazione più elementare non passa perché è assente il rispetto reciproco, data l'aristocrazia comunicativa connessa con munus, perché necessitano il filtro metalinguistico sul codice la specifica funzione poetica sul messaggio, ammesso che non ci sia interferenza nel canale e che sia concreta la situazione contestuale.

Sono denunce, inascoltate, come quelle da me fatte negli anni settanta (cfr Intervista di Mario Gorini al prof. Angelo Filipponi, su Analfabetismo di Ritorno in www.angelofilipponi.com) in una S. Benedetto del Tronto, area culturale depressa allora, definita un deserto, rispetto alla città attuale pullulante di scrittori, di circoli letterari, di eventi culturali!

Dunque, un libro interessante quello di Mastrantonio che apre nuovi orizzonti, dopo lunga e difficile digestione.

Nell'era dei camerieri e dei cuochi, dei messaggini e dei pizzini, del politichese e del bla bla, i significati risultano convenzioni come i significanti ed allontanano dalla realtà sociale economica religiosa e politica, e la fettuccia linguistica di pochi segni, pur nella sua brevità, è vuoto nome incapace di dare emozioni e vita: viene ridotta ogni comprensione e con essa la partecipazione all'evento costruttivo e alla solidarietà umana, al rapporto dialogico, cosa che i tanti dialetti, nella loro storia municipale, hanno per secoli contribuito ad alimentare con la vivacità propulsiva della vita stessa della comunità, che li produceva.

Ora i padri non comprendono i figli, che a loro volta neppure comprendono se stessi e i loro fratelli nelle famiglie normali e tanto meno in quelle allargate e privati dei segni cardinali di identificazione geno-culturale, stanno perdendo con la mistificazione linguistica e coi solecismi la loro identità nazionale, data anche l'invasione dei migranti africani, orientali e sudamericani.

La lingua è in un vortice tumultuoso, in cui vernacoli e sms dei telefonini si scontrano e dove segni tradizionali sbattono con quelli non solo europei ma anche asiatici, americani, africani ed australiani generando, grazie alle forze di dispersione e di aggregazione, nuove forme che potranno, con una nuova stabilità politico-economica e socio-religiosa, favorire il sorgere di una nuova comunità parlante, alimentata dai numerosi contributi, anche nazionali.

Il caos linguistico è segno di una svolta epocale?

 

14/07/2015





        
  



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