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Gianluca Pompei"Riflessione post elettorale stato PD e futuro"

San Benedetto del Tronto | "Che il gruppo dirigente del PD di San Benedetto sia in difficoltà è un’evidenza, non è necessario discuterne, basta prenderne atto. Atteggiamento necessario per superarle queste difficoltà".

di Gianluca Pompei

Gianluca Pompei

Purtroppo non ho potuto partecipare all’unione comunale dell’altra sera per impegni di lavoro, ma ho avuto modo di parlare con molti amici e compagni membri dell’assemblea ed anche con alcuni semplici iscritti e simpatizzanti.

Ho letto dai giornali le parole del consigliere Pasqualini. Credo che un paio di cose vadano dette: Che il gruppo dirigente del PD di San Benedetto sia in difficoltà è un’evidenza, non è necessario discuterne, basta prenderne atto. Atteggiamento necessario per superarle queste difficoltà. Ho detto il gruppo dirigente perché invece il partito, quello degli elettori, quello che si mobilita e sceglie è apparso in buona salute, si è mobilitato e ha scelto. E non è una questione di vincitori e vinti, come non lo era il giorno dopo le primarie, è una questione di sapere ascoltare le parole delle persone, ed anche il voto, che pure il voto è un modo di parlare, di parlare alla Politica.

Non mi dilungo nell’analisi, diceva qualcuno “l’analisi del voto è l’arte di far dire ai numeri quello che ci pare”, è falso, ma nella percezione dei più se non è vero poco ci manca, quanto meno viene vissuta come un parlarsi addosso dei partiti, come un ragionamento autoreferenziale.

Il più, con molta onestà e franchezza, lo ha detto il Ministro Orlando commentando i risultati: - In questa campagna elettorale io ho girato il Paese ed ho trovato comitati elettorali dei candidati più o meno buoni ma non ho trovato praticamente mai un Partito, che fosse impegnato a spiegare quanto di buono stiamo facendo per questo Paese o che almeno provasse a rintuzzare nel merito le critiche che ci venivano mosse. E questo è un problema ormai ineludibile di costruzione del PD e di selezione delle classi dirigenti territoriali senza le quali il PD oscilla tra l'essere un partito d'opinione e una federazione di correnti.- Ed è una riflessione un po’ cruda forse, ma vale per tutti.

I gruppi dirigenti territoriali si sono sentiti molto in campo per misurarsi all’interno delle proprie lotte di posizionamento e molto meno come Partito. Per fortuna nel nostro Comune (e nelle Marche) ci hanno fatto supplenza gli elettori (e gli staff di buoni candidati). Dicevo; che il gruppo dirigente sia in difficoltà è un’evidenza, le critiche maggiori all’operato della Segretaria comunale vengono tutte dall’interno della sua maggioranza: i “renziani” così come “i consiglieri di Porto d’Ascoli” hanno tutti sostenuto e contribuito all’affermazione della sua proposta, di cui ora dimostrano di vedere limiti e contraddizioni.

E non credo che se ne esca con generici richiami all’unità, non tanto perché manchi la volontà di ritrovarla quell’unità, quanto perché l’unità in politica è un percorso da perseguire, non è status da invocare. E si può perseguire solo mettendosi in discussione e non dicendo “mettiamoci una pietra sopra”, altrimenti si finisce col rifare sempre gli stessi errori, non c’è niente da rimuovere, non è psicoanalisi è Politica.

Sono contento ma anche un po’ amareggiato che si arrivi solo oggi a dire “un partito appiattito sull’amministrazione comunale è un partito che non fa un buon servizio né a se stesso né all’amministrazione”, amareggiato perché abbiamo celebrato un congresso in cui abbiamo provato a mettere sul piatto un progetto che parlasse anche alla città e non solo agli amministratori (basta andare a confrontare i documenti di quei giorni), dall’altra parte ci fu opposta la teoria che “il congresso del PD non parla di San Benedetto, parla del PD”.

Oggi finalmente, forse, si prende atto che il PD se non parla di San Benedetto semplicemente non è, o almeno non è più della somma degli staff dei suoi candidati, o per dirla come Orlando non è più che “una federazione delle sue correnti”. Dicevo però, che l’unità è un percorso da perseguire, e per farlo, per poterlo fare insieme, bisogna ascoltarsi. Anche quando quello che ci diciamo non ci piace.

Leggo analisi di pezzi della segreteria del PD che pensano alle prossime elezioni comunali in un’ottica di coalizioni da tenere insieme o da comporre. Ma di cosa stiamo parlando? Come si può contemporaneamente sostenere che “il PD ha preso il 40%! È l’unico partito della città” e che “bisogna tenere insieme tutti gli alleati, il ragionamento va fatto su questo” ?

La coalizione è il PD. SeL, fuori dal territorio comunale, è ormai costantemente parte di raggruppamenti alternativi al Partito Democratico e tutti gli altri alleati del PD a livello comunale sono stati di fatto cancellati dagli elettori nonostante l’espediente della “lista cartello” che le ricomprendeva tutti. Più che di “forze alleate” forse dovremmo cominciare a ragionare di “debolezze alleate”.

E guardate non è questione di politicismi o tatticismi, è questione di orizzonti politici e di rispetto degli elettori del PD. Alle scorse amministrative il PD prese quasi il 30% dei voti ed è stato rappresentato in giunta molto degnamente per quanto riguarda le persone, ma molto miseramente per quanto riguarda i numeri. Cosa accadrà domani se il PD invece del 30% porterà a casa il 40? Possiamo pensare di continuare ad umiliare chi ci accorda la fiducia e chi ci sostiene in nome di equilibri che nulla hanno a che fare con la rappresentatività reale dei soggetti in campo?

Infine, io credo che la partita che si apre per le prossime comunali debba essere una partita di coraggio. Non svelo un segreto se dico che penso che in questi ultimi due mandati (anche per le situazioni contingenti) abbiamo conseguito risultati al di sotto delle aspettative di quelli che ci avevano votato. Non lo svelavo neanche uno o due anni fa, ma le elezioni erano lontane e si preferiva non ascoltare.

Serve un segnale di rinnovamento forte, un discontinuità chiara di uomini e temi, come quella messa in campo a queste elezioni regionali, e che gli elettori hanno dimostrato di premiare. Serve il coraggio di proporre alla città un gruppo rinnovato per un progetto ambizioso, liberarsi da assembramenti fatti col manuali cencelli più che con la Politica. Serve un PD che sia il Partito della Città e che non appalti più a liste minori parti integranti dei suoi tratti identitari.

Serve farlo in un perso corso comune. Ecco, io lo so che alcuni non la pensano come me; pensano che negli ultimi anni l’amministrazione abbia lavorato bene e portato a casa grandi risultati, che la coalizione messa in campo quattro anni fa sia stata utile ai cittadini e non solo alle liste che ne facevano parte, che in fondo va tutto bene così.. basta non pensarci adesso. Ed è legittimo, certo, però se non si vuole solo parlare di unità, se l’unità non vuole essere un mero esercizio retorico ma un percorso da costruire, forse è il caso che di queste cose ne parliamo.

Ne parliamo subito, nel PD, non in amministrazione, francamente. Perché magari parlandone troviamo un percorso comune o sempre parlandone scopriamo che quel percorso comune non c’è, e allora si, se la mediazione non è possibile, serviranno le Primarie. Ma Primarie vere, Primarie in cui si discutono i progetti per la Città, le coalizioni con cui realizzarli, come facciamo vivere il rinnovamento di cui tutti parliamo ma che non sempre passa dalle parole ai fatti.

Primarie aperte a tutti, ai cittadini sambenedettesi. Perché se confronto dovrà essere è bene che sia sulla San Benedetto dei prossimi anni, e che a giudicarlo siano chiamati tutti, perché tutti saranno quelli che poi ci giudicheranno nelle urne. E fare ancora primarie da applausometro tra gli staff dei candidati, mi pare, abbiamo capito, finalmente, non sia poi questo metro di giudizio affidabile. Possiamo guardare al futuro. Possiamo farlo insieme. Serve coraggio, facciamolo adesso.

27/06/2015





        
  



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