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Lettera aperta al Ministro dell'Istruzione

San Benedetto del Tronto | In riferimento allo sciopero del 5 maggio.

di Francesco Tranquilli

Illustre ministro Giannini,
fra le tante delusioni che il governo di cui lei fa parte sta dando agli italiani, ce n'è una in particolare che - stando agli organi di stampa - viene da lei in persona. Pare che lei abbia affermato che "questo sciopero (del 5 maggio) è politico!". Ora, è da più di vent'anni - se la memoria mi assiste - che, ogni volta in cui i cittadini scendono in piazza per protestare contro il Governo (come la democrazia consente e le circostanze spesso obbligano a fare), spunta fuori qualche persona di potere pronta a scandalizzarsi tirando fuori la stessa formula: quella della protesta "politica". Ora, noi insegnanti diamo peso alle parole, e cerchiamo di insegnare ai nostri studenti a fare lo stesso. Ne consegue che lei, come ministro dell'Istruzione, dovrebbe essere tanto cortese da spiegarmi in che cosa consiste quest'"accusa", o lanciata come tale, di sciopero "politico". Se volessi, con malizia, interpretare questo slogan come voi persone di governo sembrate brandirlo, penserei che voglia dire: "Voi non ci contestate nel merito, ma solo perché siamo politici, a priori e senza una ragione". Perché vi troviamo antipatici, insomma. Mi sbaglio? Spero proprio di sì.

Intanto perché le contestazioni non avvengono quasi mai a priori, ma - almeno in questo caso - sulla base di un Disegno di Legge attualmente in fase di approvazione che, ad avviso di moltissimi che nella scuola ci lavorano e - caso strano! - la amano com'è, (cioè pubblica pluralista e libera anche se "privata" di molte cose, anno dopo anno), rivoluzionerebbe da un mese all'altro la professione e la vita stessa di milioni di persone. E le rivoluzioni, si sa, si fanno sempre col sangue: dei più deboli, spesso... Ma quando piombano "dall'alto", sia detto di passaggio, si chiamano tirannie. In secondo luogo, dare l'impressione che il popolo della scuola si allarmi per nulla, perché non sa leggere il testo della "Buona Scuola" per quello che c'è scritto, significa manifestare una ben misera opinione del livello culturale dei docenti, degli studenti, degli ATA e anche dei dirigenti che considerano la vostra riforma un flagello. Ma la cosa che mi irrita di più, nella sua uscita, signor Ministro, è l'ormai intollerabile abuso, ai limiti dello stupro linguistico, che anche lei fa del termine "politico", che parrebbe positivo quando riferito alle persone di potere, e dispregiativo quando applicato ai semplici cittadini. Io sogno che un giorno qualcuno, pubblicamente, magari davanti ad una platea televisiva che le persone di potere amano tanto, le risponda una cosa semplicissima.

La "politica" non è una prerogativa esclusiva delle persone di potere. "Politica" vuol dire interessarsi, partecipare, prendere posizione, assentire o dissentire su questioni che attengono alla sfera pubblica. Ogni decisione che riguarda anche gli altri è, per sua stessa natura, "politica". A maggior ragione, e con grande evidenza, uno sciopero, che è un sacrosanto strumento democratico di dissenso e di protesta, e che solo un atteggiamento spocchiosamente autoritario può abbassarsi ad etichettare con termini dispregiativi. Fare "politica", caro signor Ministro, non significa fare "il" politico, bazzicare le sedi di partito, prendere una tessera, fare da portaborse, candidarsi, fare campagne elettorali, farsi eleggere. Questa, se lo lasci dire, è una professione come un'altra, ben più remunerativa e privilegiata di quella dei lavoratori della scuola, e come ogni professione può essere svolta bene o male, con onestà o malafede, curando gl'interessi comuni o solo i propri. Ma fare "politica" è ben altro, è molto di più, ed è facoltà, è diritto/dovere di ogni cittadino di buon senso che non viva in una torre d'avorio. Per noi cittadini "comuni", che non ambiamo al potere, (perché esso in una democrazia è nostro per principio, e gli eletti sono nostri delegati e rappresentanti, ricordiamocelo), fare "politica" non è e non può essere solo andare a votare quando il Potere ce lo concede, e poi zitti e mosca!

La democrazia non è una lampadina che si accende solo nell'urna e resta spenta fino alla prossima scheda. È una luce che deve risplendere di continuo, prima durante e soprattutto dopo il voto. Voto che di per sé è solo uno strumento, ma che non garantisce il retto operato degli eletti, né li mette al riparo da eventuali contestazioni degli elettori delusi. Non parliamo poi di un governo formato da un Presidente del Consiglio non eletto da nessuno. Un popolo che non contesta mai le persone di potere non è un popolo soddisfatto, ma piuttosto uno terrorizzato o rassegnato. Immagino che non sarà a questo che aspirate, ma a volte sembra così. Naturalmente, caro Ministro dell'Istruzione, noi lavoratori della scuola italiana non ci aspettiamo le sue scuse. Ma il suo rispetto lo pretendiamo. È la classe politica a doversi mettere al servizio dei cittadini, non il contrario.

07/05/2015





        
  



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