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Blow Up: diciassette anni vissuti intensamente. Intervista al Presidente Sergio Vallorani

San Benedetto del Tronto | Nonostante le difficoltà che le attività di promozione culturale, ormai da qualche anno, vivono in misura sempre più consistente, l’associazione e i suoi membri sono riusciti, anno dopo anno, a rinnovare e vivacizzare le loro proposte.

di Maria Teresa Rosini

archivio Blowup

Il prossimo anno sarà quello della "maggiore età" per una delle associazioni culturali più attive e creative del nostro territorio. Nonostante le difficoltà che le attività di promozione culturale, ormai da qualche anno, vivono in misura sempre più consistente, l'associazione e i suoi membri sono riusciti, anno dopo anno, a rinnovare e vivacizzare le loro proposte grazie anche alla forte motivazione personale che li vede impegnati senza risparmio in una sorta di "volontariato" culturale quasi a tempo pieno.


Viene da chiedersi da quali esperienze precoci, dato che siete tutti abbastanza giovani, viene questa forte spinta all'impegno nel settore della cultura, e del cinema in particolare, quale è stato, se c'è stato, il propulsore di tanta energia e perseveranza?
L'associazione Culturale Blow Up è l'insieme di infinite storie ed esperienze precoci di persone particolarmente curiose e desiderose di condividere con gli altri passioni, emozioni, immagini, suoni e parole. Considero straordinarie tutte le persone che hanno gravitato in qualche modo intorno a Blow Up dal 1995 ad oggi perché di tutte ho splendidi ricordi e delle caratteristiche di tutte loro mi sembra che ancora oggi l'associazione trattenga qualcosa, come fosse un sapore, un odore, di quelli terziari, complessi, che non se ne vanno più ma che si colgono solo dopo prolungate olfazioni e un lento mastichio...

Molte delle persone con cui ho fondato Blow Up sono state fondamentali nella mia vita, per la mia formazione e per la mia crescita; con alcune di esse ho vissuto esperienze che non dimenticherò mai, ma in questa intervista preferirei raccontare tutto dal mio personalissimo punto di vista.
Quando mi sono trovato a fondare l'Associazione Culturale Blow Up, insieme ad alcuni amici e conoscenti più grandi di me accomunati dalla passione per le arti nel settembre del 1995, avevo ventuno anni. Ero al secondo anno universitario e vivevo tra Macerata ed Offida. Lavoravo e studiavo contemporaneamente già da sei anni e coi soldi che guadagnavo compravo un mucchio di libri, dischi, film in vhs, giornali e riviste, concedendomi anche molti giri in macchina e in treno per l'Italia e l'Europa: concerti, cinema, mostre, teatro, opera, discoteche e quant'altro. Non mi facevo mancare nulla e vivevo al massimo (come cantava Vasco), dormendo quattro-cinque ore a notte.

Ero "onnivoro" ed estremamente curioso, sempre alla ricerca delle cose belle che spesso, secondo me, erano nascoste e quindi da cercare. Di questa mia teoria ho fatto una regola fin da allora. Diffidavo di quasi tutto ciò che aveva successo commerciale considerandolo solo un cascame di qualcosa di meglio, più autentico che stava più in alto e che andava scovato. Così era per la musica, per i libri, per i film e tutto il resto. Come molti adolescenti mi piaceva vivere nel presente e far presa sulla realtà, non mi piacevano molto le regole imposte e non mi fidavo dei gusti che i mass media imponevano facendo passare per "chissà che" delle cose in realtà deplorevoli, allo stesso modo trovavo limitante leggere solo gli autori trattati a scuola e all'università.

Quindi a ventun'anni avevo letto e amato infinitamente Burroughs e tutti gli altri Beat, Sartre, Moravia, Kafka, Hemingway, Guthrie, Pasolini, Pirandello, Svevo, Calvino, Busi, Baudelaire e tutti i "maledetti" francesi, Poe, Mann, Hesse, Wilde, Handke, Goncarov, Dostoevskij e tanti altri autori che, se uno non fosse curioso e affamato di suo, un intero percorso scolastico farebbe rimanere nel più completo oblio, o quasi. La lettura di riviste specializzate di musica e di cinema mi fornirono ottimi strumenti per districarmi (allora non c'era internet, purtroppo) fin dai miei 15 anni, in questi ambiti. Amavo moltissimo i cantautori, soprattutto De André, Guccini, De Gregori, Conte, Dylan, Waits, Jim Morrison, la musica punk (The Clash e CCCP - Fedeli alla linea, su tutti) e il rock indipendente, ed i miei gruppi preferiti erano i Talking Heads, gli Smiths, i Sonic Youth e i Pixies. Appena maggiorenne feci la mia prima tessera al cineforum Buster Keaton di San Benedetto del Tronto. Il cinema stava entrando nella mia vita come un treno in corsa sottoforma della più grande e rivoluzionaria esperienza estetica che abbia mai vissuto, pari, se non maggiore, a certi viaggi "estremi" fatti in inter-rail per tutt'Europa.

Feci mia la frase di Francois Truffaut "tre film al giorno, tre libri alla settimana, qualche grande disco, faranno la mia felicità fino alla morte", ma ovviamente la vita e la ricerca della felicità necessitano di molte altre cose e quindi fin da subito mi presi delle licenze rispetto a questa "regola" truffautiana.
In quel periodo ebbi in regalo dai miei la mia prima telecamera, con cui realizzai i miei primi video, e nel 1993/94 all'Ipsia di San Benedetto del Tronto venne organizzato un corso di educazione all'immagine cinematografica e televisiva. Non persi l'occasione e lo frequentai...con eccitazione, direi. Allora erano sufficienti entusiasmo e curiosità per partecipare alle attività extrascolastiche che si tenevano a scuola, non c'era bisogno di attirare la nostra attenzione in termini utilitaristici e ricattatori come a me sembrano essere i crediti associati oggi a certi laboratori extracurricolari. Trovo triste che dei ragazzi adolescenti, che dovrebbero essere vulcanici e anticonformisti per natura, partecipino a dei workshop tematici e specifici, attirati più da crediti spendibili a scuola o all'università che da una voglia di accrescere il proprio bagaglio culturale e allargare i propri orizzonti e basta. Essermi laureato in lettere, con una tesi in storia dell'arte contemporanea, dopo il diploma da odontotecnico all'Ipsia "mi fa strano" anche se mi riempie di orgoglio essere riuscito a realizzare quello che desideravo ( pur con qualche complesso d'inferiorità rispetto ai laureati che hanno fatto il liceo). All'Ipsia ho incontrato studenti ed insegnanti straordinari ed ho fatto esperienze che ancora oggi sono rintracciabili nel mio modo di essere e di agire nell'ambito associativo-culturale. Essere stato rappresentante di classe dal primo al quinto anno e poi del comitato studentesco d'istituto, con cui ho guidato la storica occupazione del ‘93/'94 contro la riforma Iervolino prima, e contro la discesa in campo di Berlusconi poi, e l'aver fatto parte della redazione di Reporter (il giornale d'istituto), ha contribuito a farmi scoprire un buon comunicatore e soprattutto un buon organizzatore, caratteristiche essenziali per avventurarsi nel mondo dell'animazione culturale, didattico-multimediale e sociale.

Il primo nucleo di fondatori di Blow Up in realtà era estremamente eterogeneo, per età, sesso, interessi, orientamento politico, posizione sociale, formazione...Ma ad accomunare tutti noi c'era la voglia di metterci in gioco nell'ambito territoriale con un modo di fare cultura strettamente legato all'impegno sociale e all'idea di offrire la cultura partendo dal basso, come un servizio, nel quasi totale rifiuto della "politica degli eventi" che attirano tanta attenzione nell' "hic et nunc" senza poi lasciar traccia alcuna nel territorio e nelle persone, se non il ricordo di una bella esperienza fugace. Per noi la regola era riportare la cultura al centro della vita delle persone e dei cittadini, a partire dai bambini e dai ragazzi nelle scuole, fino ai centri anziani, passando per le parrocchie e per i bar, per gli ambienti di lavoro e per i quartieri periferici, ad un livello di autenticità dal quale in quegli anni ci si stava pericolosamente allontanando (si era tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta).

Erano gli anni in cui percepivamo con disagio e preoccupazione certe mutazioni socio-culturali, per non dire antropologiche, che poi ci avrebbero spinto a fondare Blow Up: stava avendo inizio il "disastro" che oggi sembra si stia concludendo, ma che è durato venti lunghi anni. Combattere il qualunquismo, la commercializzazione e la banalizzazione di tutto ciò che ci circonda, il cinismo, l'avere piuttosto che l'essere, l'idea che il denaro e il successo siano tutto, l'apparire (l'immagine) e l'ostentare, è stato fin da subito uno degli obiettivi dell'associazione. E' stato il nostro modo di combattere sempre e comunque dalla parte della cultura, convinti che questa debba essere alla base del vivere civile. Penso che a rendere estremamente attiva l'associazione per tutti questi anni siano state tutte queste cose messe insieme e sapientemente mescolate dal tempo e dalle circostanze.

Se dovessi fare un bilancio, tuo personale e dell'associazione che rappresenti, cosa è cambiato rispetto agli anni in cui avete iniziato? I problemi e le difficoltà, il contesto istituzionale ( gli enti locali con cui avete rapporti), l'atteggiamento dei fruitori della vostra offerta... come si è evoluto (o involuto) tutto questo nel corso del tempo?
La nostra è stata una battaglia culturale condotta un po' "donchisciottescamente" contro certe tendenze che, dai primi anni Novanta ad oggi, hanno cambiato quasi totalmente "la pelle" della società. Oggi però, dopo l'inseguimento di sciocche ambizioni e di obiettivi fuorvianti si sta ritrovando, pian piano, il senso delle cose. Il contesto istituzionale è sempre legato indissolubilmente ai mutamenti della società. Quello in cui ci siamo ritrovati ad operare non sfugge a questa regola. La "brutta china" che ha preso una parte considerevole della società e la perdita di fiducia nelle istituzioni da parte di molte brave persone, hanno contribuito all'ascesa e alla conservazione del potere di una delle peggiori classi politiche e dirigenti della storia d'Italia.

Fortunatamente, a livello locale (Marche e Abruzzo), di eccezioni ne abbiamo trovate e ne troviamo ancora diverse. Abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare, con numerosissime istituzioni ed enti, Regioni, Province, Comuni, cooperative sociali, scuole di ogni ordine e grado, istituti penitenziari, università, centri di aggregazione giovanile, centri sociali, aziende private senza pregiudizio politico alcuno, certi che la cultura debba sempre essere al di sopra delle ideologie e delle posizioni politiche.
Ci siamo trovati sempre molto bene, ad esempio, a lavorare con le istituzioni a Grottammare, la città in cui la nostra associazione ha sede, ma in generale mi sentirei di dire che il modello trionfante dell'inautenticità e dell'apparire a tutti i costi perfetti pur senza esserlo, ci ha costretto a vestire a volte abiti un po' stretti sia a noi che ai nostri referenti istituzionali.

Troppo spesso una politica dell'offerta culturale al ribasso ha avuto la meglio. Troppe volte notiamo un certo timore ad osare, a sperimentare, a proporre iniziative che pretendano dal pubblico impegno e consapevolezza. Sempre più spesso si è costretti al compromesso, alla cosa ben fatta, di qualità ma che non voli troppo alta, che non spaventi nessuno...Perché oggi tutti vogliono starsene spensierati, la vita è già così difficile...E per noi per i quali fare cultura significa anche inquietare, porre interrogativi, far pensare e confrontarsi, far uscire allo scoperto gli spettatori rendendoli attori, a volte è dura.

E' come se le regole televisive dell'audience televisiva, e quelle aziendali dei risultati commerciali, siano penetrate in tutti i livelli della nostra vita facendo passare in secondo ordine la qualità e la sostanza. Il valore di un'operazione culturale non è mai stato, non è e non sarà mai sancibile dal successo di pubblico. E trovo molto pericoloso che la logica dei numeri e dei risultati metta in ombra tutto ciò che è rappresentato dal lavoro occulto quotidiano, dalla fatica del costruire il percorso, dalla lentezza dei passaggi intermedi di ogni azione culturale che si rispetti.

Nelle scuole, ad esempio, dove i presidi ora sono chiamati "dirigenti" (come se fossero a capo di aziende) fino a qualche anno fa si riusciva a proporre moltissimi laboratori di storia del cinema ed educazione al linguaggio cinematografico e televisivo da completare in due anni scolastici, in cui nel primo ci si occupava in modo approfondito di tutta la parte teorica, attraverso la visione di decine di sequenze e la loro analisi, e nel secondo si realizzava, rigorosamente insieme ai ragazzi, un video articolato in idea, soggetto sceneggiatura, storyboard, riprese e montaggio. La partecipazione del video conclusivo a dei concorsi nazionali non era sempre scontata perché al laboratorio veniva dato un valore indiscutibilmente intrinseco e la proiezione a fine anno con tutte le classi e qualche genitore poteva essere più che sufficiente ai fini della visibilità dell'attività svolta. Ora invece capita di ritrovarsi a tenere laboratori di pochissime ore in cui lo scopo è realizzare un video per poter partecipare ad un concorso che dia visibilità all'istituto che in tal modo spera di avere più iscritti (clienti?) l'anno successivo. In questo tipo di operazione è ovvio che, per mancanza di tempo (e di fondi), i ragazzi non fanno quasi nulla oltre che recitare, restando all'oscuro di come funzioni il linguaggio audiovisivo e di come si costruisca un video: l'ennesima vittoria della cultura dell'apparire (e dell'avere) su quella dell'essere.

Per quanto riguarda invece l'attività che svolgiamo per e con i soci, attraverso le tessere della Federazione Italiana Cineforum a cui aderiamo, le cose vanno bene, anzi, sempre meglio direi. Benissimo nei primi anni sociali, tra il 1995 e il 1999, così così tra il '99 e il 2003 e sempre meglio dal 2004 ad oggi, segno che qualcosa, dopo diversi anni un po' plumbei, sta cambiando in meglio. Sempre più persone, tra cui moltissimi giovani sotto i trent'anni, hanno voglia di tornare a seguire iniziative interessanti, che richiedano anche impegno, che "accendano" il cervello anziché spegnerlo e questo non può che stimolarci ed incentivarci a continuare così.
Dal 2004 ad oggi abbiamo fatto circa 3000 tessere e avuto molte migliaia di persone presenti alle nostre molteplici operazioni culturali.


Di fronte allo scadimento e ad una sorta di regressione della vita culturale nazionale che anche tu denunci,  alla perdita della capacità critica e "pensante" degli individui nei confronti delle davvero poco esaltanti vicende della vita pubblica, quale pensate possa essere la carta vincente per contribuire ad invertire la tendenza, quale la direzione da intraprendere per rimettere la conoscenza, la cultura di qualità al centro della nostra vita sociale? Servono più i soldi (che non ci sono) o le idee?
Indubbiamente le idee. Noi lavoriamo tantissimo da sedici anni pur con dei finanziamenti pubblici molto contenutii. In questi anni abbiamo ricevuto attestazioni di stima e considerazione da parte di intellettuali (docenti accademici, registi, scrittori, assessori alla cultura, direttori artistici, critici e storici dell'arte e del cinema), artisti (musicisti, pittori, scultori, attori e registi, fotografi) e appassionati delle arti in genere che sono entrati in contatto con noi o hanno saputo delle nostre innumerevoli operazioni culturali. Tutti si sono stupiti del fatto che a realizzare queste numerose attività siamo sempre stati in pochi e soprattutto che lo abbiamo fatto avendo a disposizione pochissimi soldi pubblici. Abbiamo anche, soprattutto, il sostegno del pubblico, delle persone "normali" che ci seguono e ci stimano, ci incoraggiano, ci vogliono bene. Abbiamo anche la collaborazione e la stima di molti assessori e sindaci che continuano a darci fiducia, nonostante le difficoltà economiche in cui versano i loro comuni per colpa dei tagli indifferenziati fatti dai governi centrali negli ultimi vent'anni.

E' la forza della passione e la voglia di partecipazione alla vita civile che ci consente di andare avanti, al di là delle condizioni difficili. Le idee sono e dovrebbero sempre essere il vero motore della crescita... Trovo deplorevole comunque che chi è al potere non capisca che da una crisi economica e finanziaria come questa che stiamo vivendo si può uscire soltanto investendo risorse consistenti nella cultura, nell'istruzione, nella ricerca, in tutto ciò che potrebbe stimolare nuove idee, creatività, fantasia...Al contrario si investe sulle "scemenze", trascurando le energie e le potenzialità dei giovani.

Il nostro è un paese dalla realtà molto complessa e variegata in cui hanno prevalso nel corso del tempo tristezza e cinismo, truffe e furbizia, massacro e offesa dell' intelligenza e della creatività, in una tendenza insopprimibile all'immobilismo e al vittimismo. Voglio pensare però che come ci siamo rialzati dopo la seconda guerra mondiale, sapremo rialzarci anche adesso...qualcosa sta cambiando e presto rovesceremo l'agenda delle nostre priorità, nella quale i soldi e la cultura dovranno invertire le loro posizioni.


Cosa hanno comportato ai fini dell'organizzazione delle vostre attività la nascita e l'enorme sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione come la rete e i social network, fattori di moltiplicazione degli scambi di conoscenza e informazione... li vedi funzionali ai vostri obiettivi culturali o suscettibili di divenire fonte di confusione e divisione tra le persone, o di un approccio superficiale alla realtà e alla conoscenza?
utto sommato siamo stati un po' lenti a cogliere le possibilità che ci potevano offrire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie nella seconda metà degli anni Novanta. Tra noi, nel direttivo, ricordo che addirittura ci fu qualcuno che si oppose all'offerta di un amico informatico di realizzare gratuitamente un sito per l'associazione. Era il 1997, se non sbaglio, e la rete, nel giudizio poco lungimirante di qualcuno di noi, sembrava un fuoco di paglia. Invece tra il '98 e il '99 siamo stati molto vicini alla realizzazione di attività culturali in streaming, ma a questa nostra idea e proposta il territorio forse non era ancora pronto. Dunque, al primo appuntamento con la tecnologia abbiamo toppato noi, al secondo eravamo troppo avanti, tra alti e bassi ora cerchiamo di tenerci aggiornati, ma senza esagerare per non ritrovarci di nuovo fuori tempo. L'attuale direttivo, radicalmente diverso da quello del ‘97/'99, pur essendo costituito da più "immigrati digitali" che da "nativi digitali", vede molto positivamente l'avvento della rete, dei social network per tutte le possibilità che questi strumenti offrono e per le potenzialità che rappresentano per chi opera in campo culturale. E' ovvio che, un po' come già è accaduto per la televisione, se non conosciuti e "dominati", potrebbero risultare dannosi o inutili per le persone...

Come immaginate il futuro di Blow up in questi tempi "oscuri" per la cultura? E' importante per voi riuscire a coinvolgere più persone possibile nei vostri percorsi e progetti o è più importante contare sulla qualità e la consapevolezza di chi sceglie di aderire alle vostre proposte?
Come diceva Orson Welles attraverso il suo personaggio in "Il terzo uomo" di Carol Reed "In Italia, per trent'anni, sotto i Borgia, ci furono guerre, terrore, omicidi, carneficine. Ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo Da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in 500 anni di quieto vivere e di pace, che cosa ne è venuto fuori? L'orologio a cucù".
Questa è forse un'esagerazione... ma è pur sempre vero che solitamente noi esseri umani (e noi italiani in particolare) sappiamo tirare fuori il meglio nei momenti peggiori della nostra storia. Penso perciò che anche noi avremo, dopo quella dei paesi arabi, una nostra "primavera" (già se ne sono colti segnali). E forse siamo anche molto più legati di quanto si creda, sia geograficamente che culturalmente, al Mediterraneo e alle popolazioni che lo abitano che non al resto del continente di cui facciamo parte. Adoro l'Europa e la sento estremamente mia, avendola percorsa in lungo e in largo, ma il richiamo antico e viscerale del Mar Mediterraneo è molto forte ed anche inesplorato.

Nel futuro, per noi di Blow Up, c'è la voglia di continuare, come facciamo da sempre, a proporre iniziative valide, percorsi e progetti impegnativi ma anche stimolanti e godibili, con uno sguardo rivolto sia all'estetica che al sociale, sia al piacere della convivialità e del gusto che all'impegno sociale e civile. Contiamo sulle persone che ci appoggeranno e ci seguiranno, poche o tante che siano, nel desiderio di incontrarle e di metterci a loro disposizione.

Vorrei approfittare di questa intervista anche per richiamare l'attenzione sul nostro recente progetto LA 25IMA ORA, (da un film di Spike Lee) pensato per coinvolgere i giovani tra i 18 e il 30 anni. Un progetto che è in realtà una "chiamata", un appello a contattarci, ad avvicinarci, per costruire insieme qualcosa di importante e per cui siamo pronti a mettere a disposizione tutte le nostre possibilità ed esperienze con lo scopo far diventare concreti idee, spunti, progetti e, forse, sogni rimasti in un cassetto. Un progetto pensato per dare spazio e strumenti a giovani e giovanissimi che siano e intendano rimanere "affamati e folli" come vorremmo rimanere per sempre anche noi dell'associazione Blow Up.

03/11/2011





        
  



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