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Italiani senza padri

San Benedetto del Tronto | Lo storico Emilio Gentile ha presentato, sabato 11 aprile presso l’auditorium Tebaldini, il suo libro “Italiani senza padri”. Termina così la lunga rassegna d’incontri con gli autori dedicata ai 150 anni dall’Unità d’Italia.

di Andrea Petrelli

Il prof. Emilio Gentile

Il prof. Emilio Gentile, come lui stesso tiene a precisare, è la "pecora nera della sua famiglia, essendo stato il primo a non diventare impiegato postale". Nato a Bojano nel 1946, Gentile ha frequentato l'istituto Ginnasio di Pesaro per passare poi al liceo classico di Isernia. A Roma, dopo aver iniziato all'università il corso di filosofia, si è "convertito" alla Storia. Ha insegnato per anni Storia, Storia dell'arte, Italiano e Latino in diversi licei, prima di ricevere la cattedra di Storia moderna a Camerino e poi quella di Storia contemporanea a Roma.

Italiani senza padri è il titolo del suo ultimo libro. Un libro particolare perché non si tratta né di un saggio né di un romanzo, ma bensì di un'intervista, lunga quasi 180 pagine. La domanda allora è: com'è stato concepito questo progetto?
Il libro è nato da una conversazione con l'editore Giuseppe Laterza e l'editor Anna Gianluca dopo che avevo pubblicato lo scorso anno, sempre con Laterza, Né stato né nazione. Italiani senza meta, nel quale mi occupavo dell'anno1910, ovvero la vigilia del primo cinquantenario dell'Unità d'Italia, e della vigilia del cento cinquantenario affrontando i temi della disaffezione degli italiani nei confronti dello Stato nazionale. Durante la conversazione mi è stato chiesto di esprimere le mie riflessioni storiografiche sul Risorgimento, su quello che è accaduto dopo e sull'eredità lasciataci dal Risorgimento e l'influenza che essa ha avuto sulla storia italiana negli ultimi 150 anni. Abbiamo scelto la forma dell'intervista poiché sarebbe stato impossibile scrivere un libro su questi temi. E non era mia interesse scrivere un libro di circostanza e d'occasione. Si è visto, infatti, come siano stati velocemente realizzati libri incentrati sul Risorgimento in vista dell'anniversario dell'Unità. E' arrivata allora la proposta "facciamo un libro-intervista, che è molto più semplice", anche se poi è stato molto impegnativo perché ho conversato con Simonetta Fiori, che nel libro svolge il ruolo d'intervistatore, per due mesi. La sbobinatura delle conversazioni ha comportato il raccoglimento di 7-800 pagine che, grazie alla maestria di Simonetta Fiori, sono state condensate nelle 180 pagine del libro.

Secondo lei perché il popolo italiano è ancora così frammentato, dopo ben 150 anni?
Io non credo che ci sia una diffusa avversione, per esempio, tra nord e sud. Ci sono dei movimenti che rappresentano delle reazioni a situazioni che sono da una parte frutto di antichi pregiudizi non ancora superati, dall'altra prodotto di situazioni recenti che si sono esasperate. Forse è opportuno ricordare che questa contrapposizione tra nord e sud è stata in larga parte confusa durante gli anni del miracolo economico quando mi di meridionali si sono trasferiti a nord in cerca di lavoro e sono stati i nonni o i padri degli attuali settentrionali. L'unificazione d'Italia, direi, dal punto di vista antropologico e linguistico, sia più accentuata che mai. Per quanto riguarda l'assenza di un sentimento di fratellanza, direi che questo fatto è più un frutto di divisioni politiche che non di avversioni antropologiche tra gli italiani del nord e quelli del sud.


Cosa manca, secondo lei, al processo di unificazione per essere completo? Manca una reciproca fiducia fra Stato e i cittadini. Si parla spesso, soprattutto in questi ultimi giorni, di una riscoperta dell'orgoglio nazionale italiano, che dimostra come gli italiani siano orgogliosi di essere italiani. Però credo che qui si sia confuso quello che è il problema della Nazione italiana, che probabilmente ha origine molto più antiche della nascita dello Stato, con l'evento che noi ricordiamo: questo centocinquantesimo anniversario. E quello che si constata è la mancanza, da parte dei cittadini, del sentimento di fiducia verso lo Stato e del rispetto per lo Stato. Ma anche in senso inverso, della incapacità dello Stato di godere e di conquistarsi quotidianamente il cuore degli italiani.

Per lei il 17 marzo dovrebbe essere festa nazionale sempre?
Io penso che dovrebbe esserlo riducendo tutte le altre feste. Io credo che dovremmo riunirci fondamentalmente attorno a due feste: il 17 marzo, la nascita dello Stato italiano, e il 2 giugno, la nascita della Repubblica italiana. Quest'ultima riassorbirebbe il 25 aprile, poiché il presupposto della repubblica sono la resistenza e la liberazione.

13/06/2011





        
  



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