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Biennale Internazionale del Design e futuro

San Benedetto del Tronto | Philippe Daverio al BID e l'unicità del modello Italia.

di Silvio Venieri

Philippe Daverio

Venerdì scorso, nell'ambito della Biennale Internazionale del Design, San Benedetto ha ospitato il Prof. Philippe Daverio, ordinario di Disegno Industriale all'Università di Palermo, personalità di spicco della cultura nazionale, critico d'arte, autore e conduttore della migliore trasmissione che i palinsesti televisivi, tra tanto ciarpame stomachevole, siano riusciti a proporre: Passepartout.

La relazione, cui ha prestato ascolto un folto pubblico, si è incentrata sul design industriale ma Daverio, dimostrando una spiccata passione civile, ha toccato nei suoi caleidoscopici ragionamenti la storia dell'arte, l'urbanistica, l'economia, la letteratura, le dinamiche sociali in generale, fino a giungere, addirittura, ad invocare, per tentare di mutare le depresse sorti nazionali, una rivoluzione e ad agognare una nuova primazia internazionale dello Stivale, dopo la Roma imperiale e l'Italia rinascimentale.

L'edizione 0 della rassegna si sta imponendo all'attenzione generale per una serie di elementi di immediata evidenza: l'avere posto a tema uno dei pochi settori in cui l'Italia vanta una supremazia mondiale indiscussa; il suo snodarsi tra i territori di S. Benedetto ed Ascoli, finalmente in sintonia; l'impegno collettivo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, di enti locali, di istituti universitari (Università di Camerino e CUP), di organismi rappresentanti le forze produttive (Confindustria, Camera di Commercio), di capitani coraggiosi dell'imprenditoria locale (i fratelli Achille ed Ermanno Eusebi della Eusebi Arredamenti s.r.l.).

Ritengo che si possano scorgere, in nuce, plurimi profili convergenti per poter fondatamente sperare che la manifestazione possa affermarsi come un'occasione propizia per il nostro asfittico territorio piceno per una crescita culturale e per calamitare l'interesse e la presenza degli amanti del design e dell'arte, ma anche di un pubblico ancora più vasto di provenienza nazionale.

L'operazione ci offre lo spunto per ribadire, all'unisono con quanto sapientemente propugnato dal Prof. Philippe Daverio nella sua prolusione, il valore straordinario che assumono per il nostro territorio i "beni culturali" (che secondo Daverio è preferibile denominare, onde evitare le bramosie "vampiresche" tremontiane, "eredità culturali").

Per quanto riguarda la Regione Marche esso è testimoniato da una messe di dati di assoluto rilievo: il sistema del museo diffuso, composto da 342 musei, di cui il 35% sono musei d'arte e la stragrande maggioranza è di proprietà comunale, comunque il maggior numero in rapporto alla popolazione tra tutte le regioni italiane; i teatri storici restaurati sono 72 su un totale di oltre 100; 37 sono le rocche e 106 i castelli; 96 le abbazie; 183 i santuari; oltre 200 le chiese romaniche e gotiche; gli archivi sono 133; le biblioteche sono 315, una ogni 4.821 abitanti, un rapporto tra i più elevati in Italia.

Il territorio italiano ha un indiscusso valore aggiunto dal punto di vista dei beni ambientali e monumentali: siamo primi nella lista Unesco con 42 siti riconosciuti patrimonio dell'umanità. La magica compresenza di natura e arte ha assicurato all'Italia una forza attrattiva turistica che non ha conosciuto insidie per secoli, ma che negli ultimi anni ha registrato una preoccupante flessione tale da far precipitare l'Italia dal primo posto a posizioni di retroguardia nella classifica mondiale.
Il capitale che deve sfruttare l'Italia per tornare alle posizioni di vertice è fatto di paesaggio, di valori ambientali, di buon clima, di ricchezze eno-gastronomiche, ma, soprattutto, di giacimenti monumentali e artistici, di cultura.

In sintesi l'unicità del "modello Italia", che, secondo le parole del Prof. Salvatore Settis, storico dell'arte e Rettore della Scuola Normale di Pisa, è costituito dal "continuum territoriale che lega l'una all'altro città e paesaggio, la lingua della letteratura e la cultura dei cittadini. Questa unicità va coltivata sia perché riguarda l'identità nazionale come bene prezioso da non perdere, sia in quanto importante fattore di attrazione e di competitività" (Micromega, febbraio 2003).

In questo periodo di crisi congiunturale la valorizzazione del nostro patrimonio culturale nei suoi elementi naturali, paesaggistici, storici, artistici, architettonici, e delle iniziative ad esse collegate, costituisce una sicura opportunità di sviluppo economico e sociale.

21/06/2010





        
  



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