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12° tappa del giro d'Italia

| Ci piace proprio questo strano Giro d'Italia perché lungo le contrade della lunga penisola soffia lo spirito del Tour de France: ogni tappa una fuga, una bagarre, una sorpresa e un eroe di giornata.

di Renato Novelli

Il Giro cambia cultura di riferimento. Alla vigilia sembrava tutto scontato: partecipavano corridori eccellenti, ma in recupero anticipato rispetto ad un Tour e una Vuelta già perduti e appannaggio di altri grandi attori, primo fra tutti il nuovo padrone delle gare a tappe, Alberto Contador.

Questo Giro si presentava modesto ed invece passerà alla storia. I piccoli rivolgimenti della prima fase impersonati da Nibali ( all'ombra ufficiale di Basso) e Vinokouros, erano già una novità. Ma L'Aquila ha fatto la differenza tra un Giro normale e l'evento storico. Non di fuga si è trattato, ma del semplice fatto che il gruppo ha staccato gli unti del Signore, troppo auto centrici, non capaci di reagire.

Allora il gruppo dei soliti ignoti, dei volti nuovi del ciclismo e di Sastre, dato per defunto da tutti, forse troppo in anticipo, ha spinto e alla fine tutto è cambiato. Paragone diffuso ma improprio il Giro del 1954(trentasettesimo della serie). Allora tutti aspettavano il nuovo duello tra Coppi campionissimo e il gentile, fortissimo Koblet (che in vista del traguardo tirava fuori un pettine e si aggiustava i capelli per rispetto delle signore).

Nel 1953, il duello era stato epico. Coppi aveva vinto, ma nell'ultima tappa di montagna, strappando a Koblet la maglia rosa, sul filo di lana. Coppi, si sa non fu mai simpatico né comunicatore, come i miti e le leggende. La sua leggenda si sostanziava di mitiche fughe e di due aspetti: un fondamento sentimentale riassunto nella bellezza perseguita di essere solo in testa a tutti e la ragione ciclistica riassunta in una scaltrezza sistemica.

Il giorno prima della fuga Coppi dichiarò alla radio che non era riuscito a staccare Koblet: i tifosi italiani si rassegnino, domani sera, dopo le ultime montagne, uno straniero vincerà di fatto il Giro. Qualche ora più tardi, mentre Koblet festeggiava, Coppi entrò nella stanza di un giovanissimo De Filippis e gli chiese, dietro pagamento, di fare il giorno dopo gran bagarre in pianura e sulle prime salite.

Non voleva che il ritmo alto fosse imputato a lui perciò non voleva impegnare la sua squadra. "Ho visto che Koblet quando si arriva molto in alto respira male e domani vorrei che a quella quota ci arrivasse stanco." Così vinse il suo quinto ed ultimo giro. L'anno dopo accadde l'imprevedibile: un gregario dello svizzero Koblet, figlio di emigrati italiani, tale Clerici andò in fuga con altri quattro.

Fuga bidone, si dice da allora. Fuga che assume proporzioni bibliche e produce distacchi irrimontabili. Per i cultori della cabala del pedale, il "bidone" si incarnò sullo stesso traguardo del Giro presente: l'Aquila, che allora non era, come oggi, nel cuore di tutti noi, visto che oramai rappresenta il paesaggio simbolico e struggente della sfida portata dal genere umano alla natura, delle malefatte connesse e delle successive suggestioni comunicative.

Il gruppo dei 56 che hanno dato la paga a Basso, Nibali, Garzelli, Vinokouros, Evans e compagnia piangendo, ha fatto saltare anche il mito del microfono nell'orecchio del corridore attraverso il quale il direttore di squadra lo guida e lo informa di tutto quel che accade. Questa volta non ha funzionato. Chi pensava che nel ciclismo si era aperto un processo, analogo a quello del calcio, di fondamentale rilievo tattico dei direttori, in corsa, deve riflettere...

In maglia rosa non c'è un parvenù, ma una promessa seria del ciclismo internazionale. Richie Porte, tasmaniano. Di lui ripeto quello che avevo detto nel mio primo articolo: è un corridore con molte doti, arriva tardi al professionismo (25 anni), l'anno scorso era al baby giro. Viene dall'isola di Tasmania e questo le rende già simpatico non solo agli australiani, ma anche agli australici, cioè i non australiani che hanno vissuto per qualche tempo in Australia.

Ma va detto che la Tasmania stessa sembra avere prodotto una scuola di ciclismo rilevante. Porte ha detto che quando si allena incontra quaranta canguri, venti mucche e quattro auto. Isola felix, la Tasmania. Spero che il rosa gli rimanga addosso fino alla fine, ma se non accadesse, come forse non accadrà, perché l'inesperienza sulle salite conterà, Richie Porte il su Giro l'ha già vinto: è entrato nel Gota del pedale. Alla faccia dei sapienti che non lo avevano notato e ancora lo ritengono una meteora.

21/05/2010





        
  



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