Francesco Carofiglio ha presentato il nuovo romanzo "Ritorno nella valle degli angeli"
San Benedetto del Tronto | E' un ritorno ai luoghi dell'infanzia che hanno trattenuto, magicamente e terribilmente, una parte di Vincenzo, il protagonista del romanzo.
di M.Teresa Rosini

Francesco Carofiglio
Francesco Carofiglio nel suo nuovo libro "Ritorno nella valle degli angeli" edito da Marsilio, ci racconta appunto di un ritorno. E' un ritorno ai luoghi dell'infanzia che hanno trattenuto, magicamente e terribilmente, una parte di Vincenzo, il protagonista del romanzo, lasciandone impressa nella fisicità dei luoghi l'impronta, ombra a cui il protagonista ha, seppure inconsciamente, necessità di ricongiungersi.
"E' la storia di una necessaria ricerca di consapevolezza" afferma Filippo Massacci nell'introduzione alla conversazione con l'autore, un graduale percorso che il protagonista si trova a compiere a ritroso dopo aver tenacemente perseguito l'intento di sradicarsi da tempi e luoghi del suo passato. E c'è un mistero da svelare,"le cose non stanno come sembrano" agli occhi stessi del protagonista.
La distanza tra l'universo e i riferimenti razionali di un presente ingannevolmente sereno e i luoghi ritrovati in un viaggio casuale, si misura nel protagonista in un primo spaesamento, nello stentare a riconoscere e a sovrapporre al ricordo una dimensione spaziale mutata sia in senso oggettivo che soggettivo.
Tutto questo provoca un corto circuito emotivo cui collaborano alcune contingenze provvidenziali nel congiurare perché il suo ritorno sia davvero un "ritorno": il cellulare inutilizzabile, la mancanza di energia elettrica per un temporale, un improvviso silenzio dei riferimenti abituali a cui le nostre esistenze spesso finiscono per fissarsi.
Un eroe solitario alle prese con una frontiera metaforica che ha necessità di affrontare col suo carico di incertezza e paura: questa la considerazione dell'autore per il quale, quindi, l'unico accostamento, se proprio fosse indispensabile indicarne uno, sarebbe quello col western. La sua è certamente un po' una provocazione ironica nei confronti del pessimo vizio di voler inquadrare, a volte ad ogni costo, una storia all'interno di un genere.
Francesco Carofiglio non crede alle categorie, ogni romanzo che nasca dall'esigenza dell'autore di raccontare, non può che appartenere all'autore e subito dopo a coloro che ne diventeranno i lettori per ciascuno dei quali potrà assumere echi e rimandi diversi, suscitare analogie o distanze. Una storia è, infondo un territorio di incontro e condivisione, luogo immaginario che può divenire anche terribilmente reale e presente data la possibilità delle parole di attingere direttamente e sollecitare la parte più intima e vulnerabile di ciascuno di noi.
"Finire di scrivere una storia fa sentire svuotati" afferma ", è come se una parte di noi ci fosse stata in qualche modo rubata e cessasse di appartenerci completamente" e, a quel punto, diventa ciò che ognuno può e sa leggerci dentro. Ma questo è appunto il senso della narrazione e anche la ragione del suo fascino per cui al bisogno di raccontare dello scrittore corrisponde specularmente quello del lettore di porsi in ascolto.
La scrittura rappresenta per Carofiglio un bisogno vitale, come ci dice lui stesso, una necessità e non solo un mestiere ( tra i tanti coi quali si è misurato dato che è architetto, attore e sceneggiatore).
Ci sembra di capire che scrivere è forse per lui, più di tutto, proprio un voler ritornare costantemente e tenacemente dentro se stesso, ricercare ragioni ed emozioni che il tumultuoso incessante prodursi dell'esperienza impedirebbe di cogliere. E anche il protagonista, alle prese con la sua determinazione a voler sfuggire il passato comprenderà, alla fine, che per far tacere la sua sofferenza, il buco vuoto che è per lui il passato, non potrà fare altro che smettere di fuggire e andargli incontro.
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30/03/2010
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