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La“generazione perduta”:ritrovare la memoria e la storia.Giovanni De Luna: Le ragioni di un decennio

San Benedetto del Tronto | Il libro del professor Giovanni De Luna, presentato venerdì pomeriggio all'Auditorium nell'ambito degli "Incontri con l'autore", rappresenta un contributo importante per "illuminare" il decennio 1969/79.

di Maria Teresa Rosini

Giovanni De Luna

Ci sono eventi, periodi, circostanze che non possono essere affrontati e chiariti alla nostra consapevolezza soltanto attraverso la lente della memoria privata.
La memoria è un luogo essenzialmente emotivo e il passato, territorio per sua natura irreversibile, si compone di azioni umane in cui ragioni e passioni sono così strettamente intrecciate tra loro da poter risultare inseparabili.

Scrivere la storia è quindi l'approdo di una complessa attività intellettuale in cui devono essere identificati prima di tutto i fatti, e i documenti che ne costituiscono la testimonianza, ma in cui, poi, è fondamentale fornire interpretazioni, inserendo ciascun evento in una "visione", in un quadro in cui ogni elemento riesca a trovare il suo senso in relazione a tutti gli altri.

Ma è, comunque, lo sguardo del presente a fornire quella visione e quella interpretazione e il peso del tempo e degli eventi che intanto si sono frapposti tra l' "allora" e l' "oggi".
Il passato e la memoria dei conflitti che inevitabilmente lo hanno animato sono, nella storia di una nazione, un patrimonio fondamentale che, per poter restituire senso condiviso e dimensione dell'identità collettiva, devono sfuggire alle tentazioni dell'oblio e della rimozione di eventi, ragioni e motivazioni.

E' sempre forte infatti la tentazione di strumentalizzare il passato ad uso e consumo dell'oggi, ad essa si cede con spregiudicatezza specialmente da parte di coloro i quali ne possono trarre maggiore interesse immediatamente spendibile, omettendone parti significative per riconsegnarne un senso complessivo distorto nelle prospettive.

Il silenzio e la strumentalizzazione di "zone" significative del nostro passato nazionale sono stati due "vizi" della memoria degli anni 70 che, da opposti versanti, hanno "congiurato" nel condizionare una loro lettura storiografica e la costituzione di una memoria collettiva condivisa.
Gli anni 70 costituiscono un periodo complesso del nostro passato nazionale, ricco di nuovi protagonisti, nuove azioni, nuovi contesti, ma anche intriso di permanenze, di continuità inesorabili, di "bagagli" emotivi e strumentari interpretativi rivolti al passato.

Troppo spesso li si liquida sbrigativamente come "anni di piombo", in un'espressione che, al di là dell'immediata associazione alle armi la cui cupa voce li connotò, può credibilmente rappresentare anche il "peso" che ebbero e che hanno nel condizionare la "lettura" di quel tempo e anche quella del presente.


Il libro del professor Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria,  presentato venerdì pomeriggio all'Auditorium Tebaldini di San Benedetto del Tronto nell'ambito degli "Incontri con l'autore", rappresenta un contributo importante per "illuminare" quel periodo dando nome e voce ad avvenimenti e personaggi che ne sono protagonisti "dimenticati".

In questo senso, come afferma nell'introduzione alla conversazione con l'autore il professor Renato Novelli ( presente nella doppia veste di studioso e testimone), il libro colma alcune lacune vistose nella storiografia del periodo, affrontando la ricostruzione di quegli anni attraverso lo sguardo rigoroso di uno storico la cui contemporanea posizione di testimone si risolve in un valore aggiunto e non un condizionamento.
L'agire delle persone nella storia non è infatti mai neutrale, le intenzioni, le motivazioni, le ragioni, sono importanti al pari dei fatti stessi e forse di più.
E la dimensione umana e collettiva di quegli anni, il modo di viverli e i valori che li animarono costituiscono un aspetto fondamentale per inquadrarli.

De Luna parte proprio da alcune vittime, giovani militanti politici che misero in gioco la loro esistenza per affermare e difendere ciò in cui credevano, come Tonino Miccichè, ucciso a Torino da una guardia giurata: "Tutti erano militanti politici di sinistra, non erano del Pci o del Psi o del Psiup, nessuno era terrorista, nessuno era poliziotto, nessuno era vittima inconsapevole di una strage: quasi tutti sono stati cancellati dalla memoria pubblica di questo paese".

A quale memoria collettiva appartengono queste vittime? Esse non hanno accesso al "pantheon" di vittime di quegli anni e non c'è verità giudiziaria che ne abbia definito e spiegato la sorte.

Pure appare fondamentale, per poter scrivere una storia di quegli anni, dare forma e volto a quello che viene definito dal professor Novelli come il "convitato di pietra" di quel periodo, ossia chi agì per condizionarne gli esiti nella vita politica del paese, per distorcere l' immagine sociale che se ne ebbe, chi, cioè, fu agente a pieno titolo nel determinare quelle vicende senza mai assumerne responsabilità: chi usò la violenza per conto dello Stato per salvaguardare interessi che appartenevano a gruppi ristretti della società italiana, chi fu attore senza volto né nome nel "cartellone" di quella tragedia.

E' proprio la spiegazione esauriente di certi fatti la tessera più vistosamente mancante ad una ricostruzione che voglia considerare la scrittura della storia di quel tempo,ormai sufficientemente lontano dall'oggi per potervi aspirare, come proprio e legittimo obiettivo.
De Luna sostiene e documenta nel suo libro come nella società italiana dell'inizio degli anni 70, le spinte verso il nuovo, verso una modernizzazione che avesse come aspetto complementare una maggiore giustizia sociale e un'evoluzione culturale proiettata verso il futuro prodotte dalle nuove generazioni, trovassero la strada sbarrata da alcune continuità che risalivano al periodo della dittatura fascista e che trovavano in alcuni settori della società agganci attuali e inamovibili.

Quanto tutto questo condizionò l'elaborazione politica (imprigionandola nel ricorso a panorami e strumentari antiquati) delle formazioni che, nate nella spinta del movimento studentesco, come Lotta Continua, dovettero affrontare e perdere il confronto con l'uso della violenza per la mancata legittimazione delle aspirazioni ad una maggiore democrazia e verità dentro le istituzioni?

De Luna nel suo lavoro affronta anche i nodi che, alla fine, paralizzarono l'evoluzione politica di Lotta Continua:

• "la definizione del proprio armamentario concettuale solo sul terreno della pratica e "il privilegiare il conflitto come dimensione permanente della politica" se producevano quella "lucidità e concretezza che spesso le consentivano una certa autorevolezza non solo nei confronti della sinistra extraparlamentare, ma anche di settori cospicui del movimento operaio tradizionale", condusse alla fine l'organizzazione "a smarrire la possibilità di guardare in alto e lontano".

• La mancata considerazione delle nuove categorie lavorative che andavano diventando sempre più consistenti nel tessuto sociale della nazione e preludevano a cambiamenti tali da rendere definitivamente obsoleto l'armamentario ideologico (la centralità operaia) utilizzato per leggerne conflitti e prospettive, impedì la percezione di scenari di novità (nuovi assetti economici) che non vennero colti.

L'approdo, dopo il 76, alla possibilità che DC e PCI, dopo una campagna elettorale giocata sul contrapposizione, scivolassero verso il "compromesso storico", contribuì, per una generazione che nell'impegno totale nell'azione politica aveva voluto spendere tutte le proprie energie, alla perdita definitiva di una prospettiva futura in cui ideali, azioni, lotte potessero trovare ulteriore spazio di affermazione.

Il terrorismo e le sue vittime misero una pietra definitiva di silenzio su quegli anni, distorcendone la percezione, sbilanciando i giudizi nel coglierne soprattutto l'aspetto più tragico e violento e nell'attribuire, spesso troppo rapidamente ed emotivamente, responsabilità collettive ad un'intera generazione. Qualcuno si incaricò (la politica ormai divenuta Palazzo, i media ad essa asserviti) di eliminare dai riflettori del ricordo spezzoni fondamentali utili a leggere quel tempo nella complessità e nell'insieme dei suoi attori per poterne condividerne il senso, impedendo in tal modo il compiersi dell'aspirazione ad una memoria condivisa col suo corollario di pace sociale.

La storia ha strumenti e ragioni per conseguire questo obiettivo: una volta spente le luci del palcoscenico su un'epoca essa dovrebbe cessare di costituire oggetto di contesa dei sopravvissuti. Le intenzioni dei diversi protagonisti, le loro "verità" andrebbero restituite nella loro interezza al presente della nostra nazione, che, ancora incerta nelle sue aspirazioni, si dibatte in una democrazia che appare sempre più soffocata e "mancante" della dimensione del futuro.

03/02/2010





        
  



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