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XVIII ed ultima Puntata (VI parte)

San Benedetto del Tronto | Si conclude il romanzo del Professore Angelo Filipponi "L'eterno e il Regno".

di Angelo Filipponi

Il racconto di Izate e il combattimento di zeloti

Anche Izate aveva ascoltato il discorso di Alessandro Lisimaco.

Il re di Adiabene, deciso, subito cominciò a parlare, seguendo quasi la logica dell'alabarca, come se ne volesse integrare il  pensiero.

"Certo", precisò Izate,"i romani vigilavano anche presso noi adiabeni, in quei giorni.

Avevamo in casa una delegazione di senatori, venuta per il rinnovo del foedus: più che al rinnovo, atto scontato sembrava investigare e cercare qualche segno che implicasse il mio regno con i giudei: venivano sorvegliati i miei atti pubblici e privati, la mia corrispondenza, specie con mia madre Elena, spiati i galilei del mio seguito.

I romani avevano subodorato l'inganno, anche se non avevano concrete prove.

Certo anche Areta era preoccupato: mi scrisse una lettera, consegnatami segretamente, il giorno prima dell'arresto del maestro; aveva saputo che il suo nemico ora era un fedele romano, alludendo ad Erode Antipa, e che Asineo aveva fatto capire ai miei agenti che bisognava temere Felice ed isolarlo: era un pubblicano pericoloso, troppo avido, troppo filoantoniano, troppo giulio, non affidabile per la causa.

Aspetta un istante, nobile signore, disse Agrippa interrompendo con grazia il discorso di Izate, abbiamo tempo per rievocare.

Poi lo invitò a guardare lo spettacolo, che aveva preparato.

Sull'arena erano comparse tre magnifiche tigri indiane e, dietro, seguivano cinque zeloti col solo gladio in mano.

Questi, subito, si tiravano indietro, in modo da avere alle spalle il portone da cui erano usciti, credendo che fosse chiuso.

Invece da esso, subito dopo, uscirono ruggendo spaventosamente quattro leoni numidi, per cui i cinque, agitati, ruppero il gruppo in due, andando a cercare, due da una parte, tre da un'altra il muro dell'anfiteatro, così da avere i compagni di fronte e le belve ai lati.

Gli uomini si guardavano ed attendevano i movimenti delle bestie, mentre la folla tratteneva il respiro, eccitata e impaurita.

Gli uomini erano fermi, vigili, tesi; le tigri, pronte al balzo mortale, i leoni insieme si volsero non contro gli uomini ma contro le tigri, che, impaurite, li evitavano, girando lungo la circonferenza, e si scontrarono con i due zeloti.

Una coppia di tigri sbranò i due all'istante: non ebbero neanche il tempo di una preghiera.

L'altra, isolata, rabbiosa, si diresse, come una furia, nella direzione opposta: fu uccisa dai tre uomini, rimasti compatti.

Attirati dal sangue, i leoni si avvicinarono contro le due tigri che, pur impaurite, ora difendevano la preda e lasciarono indisturbati i tre.

Lo scontro tra le due tigri e i leoni fu feroce.

Potenza ed agilità si scontravano in uno spazio breve perché le bestie ora temevano e rispettavano lo spazio degli uomini, rabbiose le une contro le altre: la folla voleva il coinvolgimento degli uomini, che, invece, intelligentemente attendevano che le belve si sbranassero tra loro.

Una tigre ferì mortalmente una leonessa, che si afflosciò senza un lamento e squarciò il collo di un leone, senza ucciderlo, mentre l'altra fu sopraffatta facilmente, afferrata al collo dalla bocca di un leone, che non mollò la presa fin a quando non fu esanime.

Allora i tre, l'uno a fianco all'altro, cantando Alleluiah avanzarono contro i tre leoni superstiti, variamente feriti, e con molta facilità li uccisero, dimostrando coraggio, forza e intelligenza.

La folla gridava che fossero salvi, che il loro valore doveva essere premiato: lo stesso re, commosso, aveva alzato il pollice, concedendo salva la vita.

Tutti gli sguardi erano fissi sui tre, amichevoli, benevoli, festanti, ma quello che sembrava il più valoroso urlò:

Giudei, vivete pure come servi, campate pure senza onore e libertà, fatevi pure comandare da un re pagliaccio; noi...noi scegliamo la morte, preferiamo andare nel nostro Regno dei cieli, seguire Jehoshua nel regno del Padre.

Cantarono lo Shema, sputarono per terra il loro disprezzo e contemporaneamente si uccisero.

Si fece un silenzio di tomba.

Agrippa non aveva neanche la forza di respirare, cominciò ad ansimare e a sentirsi male: divenne paonazzo, prima, al sentire le parole, poi sbiancò nel vedere il suicidio: le forze gli venivano meno, la vista gli si annebbiò, ma ebbe i riflessi per tirarsi indietro e poggiare la testa sul trono, dignitosamente e, senza una parola, svenne.

Aria per il re! urlò Shimon, che aveva visto, seguito e capito ciò che succedeva.

Ci fu un parapiglia, un po' dovunque, nell'anfiteatro, ma le guardie riportarono l'ordine.

Poi gli adulatori cominciarono a battere le mani gridando: Marin, marin.

Dicevano, ritmaticamente, in quanto uomini addestrati al servizio    

tu sei il nostro dio...

nessuno è come te ..

noi, tuo popolo abbiamo bisogno del padre..

Viva, viva il nostro re!

Agrippa si riprese, sentendo le grida.

Capì ciò che era successo, e pur ancora frastornato, ordinò di far tornare i cantori.

La folla ormai si era calmata.

Allora il re, ristabilito l'ordine, ricominciò a parlare e poi anche a scherzare, a ridere scioccamente.

La vita, dopo un pericolo, sembra più bella: il sole, dopo le nuvole, appare più radioso, ha una luce più grande, una forza maggiore, un calore nuovo.

Ormai ogni settore dell'anfiteatro era quieto, solo, in alto, si vedeva ancora qualcuno in movimento: Tiberio Giulio Alessandro aveva ordinato ai soldati di star calmi, di attendere prima di intervenire.

Se ci fosse stato bisogno, avrebbe dato l'ordine.

Il racconto di Tiberio Alessandro

Agrippa fece venire presso di sé Tiberio Alessandro, lo ringraziò e gli sorrise.

E, dopo un poco, Agrippa, tenendo ancora in sospeso Izate, gli chiese:

E tu, Tiberio, dov'eri in quei giorni?

Alessandro Tiberio fu sorpreso che chiedesse anche lui, a lui che ormai tutti consideravano un romano, un nemico dichiarato di Giudea.

Egli rimaneva silenzioso e pensava se era opportuno rispondere o deviare il discorso.

Decise, poi, che si poteva fidare di Agrippa, del suo parente e che poteva dire il suo pensiero come se facesse una relazione ad un superiore.

Perciò disse pacatamente, come rispondendo ad un ordine:

Io ero presso Pilato, come legatus e dovevo raggiungere Antiochia, dopo aver svolto la mia missione investigativa su Erode Antipa, che aveva promesso truppe per soffocare ogni movimento insurrezionale e le aveva già messe a mia disposizione e stavo relazionando al procuratore.

Jerushalaim si era arresa e le truppe romane ormai controllavano la città bassa e lo stesso tempio e avevano ripreso la postazione dell'Antonia.

Ed io mi trovavo a fianco di Pilato per preparare l'entrata vittoriosa di Vitellio in Jerushalaim.

Vidi entrare Jehoshua, spinto dai soldati: era teso, non impaurito; era frastornato, ma altero: un davidico si erge sempre sopra gli altri, e , specie nella tempesta, ha la sua ancora in Dio.

Né i pugni, né gli schiaffi, né le ingiurie, né le scudisciate lo distoglievano dal rapporto col Padre.

Jehoshua comparve come un dominatore alla presenza del governatore.

Pilato lo squadrò, comprese subito il fascino che l'uomo aveva sulla folla, il suo carisma.

Il suo aspetto regale e l'imponenza fisica, uniti alla potenza taumaturgica e alla perizia oratoria, spiegavano benissimo il successo di quel galileo.

"Sei tu il re dei Giudei?" Il governatore chiese in greco

Lui rispose in aramaico: "Atta amarta" (tu lo dici).

Pilato capì l'intelligente risposta: l'aveva sentita altre volte da profeti accusati o da mistificatori o da sacerdoti, conoscitori di molte lingue, abili a rispondere affermativamente senza assumersi la responsabilità dell'affermazione altrui: la traduceva mentalmente in greco" su eirekas" e in latino "tu dicis" (dixisti) e sorrideva.

Furono portati come accusatori due sadducei filoananiani e due anziani che insistevano nell'accusa di regalità e sciorinavano i tanti atti regi, vi aggiungevano il loro rispetto per la torah e per la lex romana, come per aumentare le prove accusatorie e per evidenziare il carattere del re, sovvertitore dell'ordine giudaico-romano.

Jehoshua neanche li degnò di una risposta.

‘Non senti quante cose dicono contro di te?' Fece nervosamente Pilato in greco.

Jehoshua non rispondeva: neanche avvertiva il suono di quelle parole, tutto preso nel suo pensiero: era un suo costume assentarsi e vivere in un'altra dimensione fuori dello spazio, oltre il tempo: niente lo poteva scuotere.

Pilato, allora, si meravigliò molto: solo gli stoici o i gimnosofisti indiani erano capaci di tanto.

L'accusa di regalità in Giudea era un'accusa mortale: un giudice romano condannava a morte il crimen senza alcuna esitazione.

Lui era turbato dalla figura eccezionale di Jehoshua: ne aveva sentito parlare, aveva avuto relazioni sui suoi miracoli e perfino sulle resurrezioni, aveva conosciuto le sue imprese militari, ma non l'aveva visto di persona.

Ora avendolo davanti agli occhi, era scosso profondamente: più dell'altezza imponente lo soggiogavano gli occhi, fieri, indomabili segno di una superiorità fisica e morale sugli altri uomini.

La sua morte era stata decisa già da Roma e da Antiochia: lui a Gerusalemme doveva solo eseguire e fare la scena: la sua condanna doveva arrivare gradatamente, mediante segni di indifferenza, gesti di incertezza, forme di ponderazione e misurazione, come se valutasse e poi decidesse di assecondare la volontà dei giudei, specie dei consiglieri della Sanhedrim, per ingraziarseli e per ricattarli in altra occasione: dopo il lungo periodo di assenza dalla città santa, il suo ritorno non doveva essere giudicato sulla base di atti spietati e di crudeltà reazionaria; egli doveva mostrare la moderazione e praotes ellenistica, ben congiunta con la sapienza lungimirante quiritaria: egli doveva conciliare la giustizia romana con la giustizia ebraica, fare in modo che l'uccisione di un loro capo non fosse affare romano, ma un atto legittimo secondo le prescrizioni della torah, fosse una punizione conforme alla legge giudaica: dover applicare la clementia latina.

Anche Pilato era una volpe: non era diventato per caso procuratore di Giudea, eletto per di più da Seiano.

Fece finta di salvare Jehoshua dicendo che era a discrezione del governatore applicare una legge che permetteva la salvezza di un condannato nel periodo pasquale, a richiesta popolare.

Guardò in faccia i seguaci di Anano, che conoscevano tale consuetudine.

Essi subito accettarono, convinti che tutto si sarebbe risolto secondo quanto stabilito dalla sanhedrim, già diffuso con un bando.

Pilato così facendo, faceva contenta anche sua moglie che aveva seguito la predicazione di Jehoshua e ne era stata conquistata: Procula gli aveva scritto di rispettare quel giusto perché, durante la notte, aveva avuto incubi a causa sua.

Era solo un espediente per guadagnarsi il favore sacerdotale e popolare. Pilato temeva la reazione dell'imperatore poiché sapeva di essere stato accusato dai sacerdoti seguaci di Kantara di malgoverno e conosceva già la sentenza, se l'accusa veniva provata.

La morte era stata già decretata per Jehoshua dal giorno che si urlò marin in Galilea per la prima volta: Roma solo lo può dare quel titolo a suoi eletti, in ogni altro caso Roma punisce con la crocifissione.

Il governatore allora fece portare un altro Jehoshua, quel Barabba che poco fa si è ucciso davanti a tutti, dopo aver sgozzato il suo compagno: il figlio del Rab (maestro) era allora un esempio di zelota, un capo inafferrabile, che operava nel sud, in Giudea, ai confini con l'Idumea, quasi un eroe nazionale per le sue imprese.

Tutti e due furono presentati al popolo come Barnasha e Barabba, il primo come uomo già

condannato dalla Sanhedrim, il secondo come uomo per il quale la Sanhedrim aveva richiesto la grazia al governatore di Siria.

Il banditore così disse: "Chi volete che vi sia rilasciato?

"Jehoshua Barabba o Jehoshua Barnasha?"

Pilato accolse la risposta, data dai sacerdoti e fautori degli Anano: gli altri neanche erano andati, poiché erano vincolati dal voto della seduta consiliare.

E Barabba fu salvo ed Jehoshua condannato alla crocifissione.

Pilato si lavò le mani per intendere che giustizia era stata fatta e che la clementia romana era stata applicata.

"Noi soldati siamo spietati con i condannati a morte e spesso giochiamo crudelmente con loro: raramente rispettiamo i nemici vinti.

Il caso di Jehoshua, profeta e re, si prestava molto al gioco alessandrino del re, che tu o signore conosci.

Ad Alessandria noi giochiamo facendo re il più scemo del gruppo di giovani, lo vestiamo di una veste scarlatta, gli caliamo sulla testa una corona di frasche, gli gettiamo sopra una coperta rossastra, gli diamo una canna nella destra, poi lo riveriamo facendo la proskynesis, mentre altri ragazzi con pertiche girano intorno, gridando: o re o re, aiutaci".

I soldati fecero questo gioco, schernivano Jehoshua, lo salutavano: salve o re dei Giudei!"

"Ah voi alessandrini, gente perfida ed invida! Ben lo conosco quel gioco!" disse il re.

"Quando venni, subito dopo la morte della divina Drusilla, con le vesti regali (anche se giunsi senza ostentazione, quasi di nascosto) faceste la parodia della mia recente regalità.

Me lo ricordo bene.

Si era nel clima di una feroce persecuzione antigiudaica e noi giudei avevamo perso i diritti civili per un editto di Caio Caligola ed eravamo ridotti da cives ad inquilini.

Correvamo il rischio di essere annientati se non avessimo avuto le truppe dell'alabarca che scoraggiarono le teste calde, intenzionate ad attaccare la zona della grande sinagoga: per fortuna poi che gli altri soldati furono solidali con i nostri militari, con cui ripristinarono l'ordine e per fortuna che l'imperatore calmò la sua ira contro gli ellenisti , anche se la rivolse contro il Tempio.

Comunque i greci erano turbolenti e fecero stragi di tante famiglie, non protette dal prefetto Avillio Flacco e poi vollero divertirsi ai nostri danni.

Trovarono un povero scemo, che era lo zimbello dei ragazzi e che andava correndo per i quartieri, nudo, e lo vestirono da re e con lui fecero il giochino di Karaba, ingiuriandomi, beffeggiandomi, maledicendomi, dileggiando nella mia persona il giudaismo".

Ah! Voi alessandrini". Seguitava a dire Agrippa.

Tiberio Alessandro, riprendendo il suo racconto, disse: "i soldati scortarono Jehoshua fino al Golgota e lì lo crocifissero, verso la quinta ora, e sopra la croce appesero la motivazione della condanna, includente il nome: Yeshù ha nozrì we melèk ha yehudìm ".

L'iscrizione era anche in greco e latino, dato il periodo pasquale, in cui in Giudea c'erano ellenisti greci e latini.

Dei soldati mi dissero che gli misero i chiodi ai piedi e alle mani per affrettare la morte, in modo da farlo morire per dissanguamento e non per soffocamento, come di solito muoiono i crocifissi.

Si conosceva la consuetudine ebraica di non lasciare al venerdì e al Sabato, giorni festivi, uomini appesi ed, inoltre, era venuta una delegazione da Pilato, costituita da Josip da Arimatea e da Nicodemo, che avevano chiesto l'autorizzazione a scenderlo dalla croce, a morte avvenuta e a seppellirlo subito prima della XII ora.

"La morte", mi raccontarono i soldati, "avvenne verso l'ora nona, dopo neanche quattro ore dal momento della crocifissione".

"Strano", pensai," Jehoshua era un gigante davidico: normalmente la morte per i crocifissi chiodati avviene dopo tre giorni e se ne fa l'accertamento colpendo con la lancia sul petto all'altezza del cuore e con lo spezzare le ginocchia".

Alcuni soldati, superstiziosi, narrarono che la morte era stata accompagnata da lampi e da un temporale, una normalità in Giudea, d'Aprile; altri, facilmente suggestionabili dalle voci di presenti data la loro ignoranza, parlarono di risurrezioni di giusti, che testimoniavano Dio, e di altri segni miracolosi.

"Comunque, egli morì".

"Jehoshua mori", chiuse Tiberio Alessandro," ma il suo nome è ancora presente tra noi, la sua parola ancora mi è cara, il suo pensiero forse avrà un seguito, la sua dottrina, aggiornata potrebbe avere una applicazione nel sistema romano".

Conclusione del racconto di Izate

Izate chiese di nuovo la parola e volle concludere il suo pensiero, come per giustificarsi di fronte a tanti filoromani.

Ed Izate ora precisava che davvero il pensiero di Jehoshua avrebbe potuto trasformare non solo il mondo romano, ma tutta l'ecumene.

Allora Agrippa chiese ad Izate, Tu , quel giorno non c'eri; tu eri a Nisibi?

Tu, mi sembra, non c'eri a Gerusalemme, quel giorno? Ripeteva.

Izate disse: "no, io non c'ero quel giorno".

Ricordò a tutti che lui era in patria, ma precisò che sua madre Elena era a Gerusalemme ed era tra le seguaci del Maestro, insieme alle altre donne e a sua madre Myriam.

"Mia madre, o signore, fu testimone dei fatti: ella non è più tornata in Adiabene ed è ancora in città, dove si prodiga ad aiutare i poveri, come ora".

"Certo", fece Agrippa," in questo momento di carestia, il suo denaro è salvezza per molti abitanti di Gerusalemme!

Ad Agrippa non sfuggì la smorfia di Izate, che forse pensava alle spese per quei giochi e certamente condannava il suo operato.

E il re giudeo, senza dire niente, seguitò:

"La città è affamata!"

"Certo, signore", fece Izate, nervosamente

Ed Agrippa aggiunse: "le navi dell'alabarca, comunque, portano a Cesarea grano e viveri in quantità, da me pagate. La regina Elena, a sue spese, generosamente fa venire derrate alimentari e mi aiuta ad alleviare la sofferenza dei miei sudditi: Adonai la possa ricompensare per il bene da lei fatto".

Precisò Agrippa, astutamente.

Non diceva, scaltramente, ambiguamente, però, che Izate doveva pagare come tributo ai romani e chiudeva con una lode alla regina Elena:

"E' donna, degna veramente di un grande re, come Monobazo!"

Proseguì Agrippa, cercando di alleviare la rabbia dell'adiabene, che dovette accettare anche i ringraziamenti con le consuete false lodi rivolte anche a lui :

"E grazie anche a te, o nobile re, che sicuramente autorizzi così grandi spese: un amico si vede nella disgrazia. I viveri sono ora in distribuzione: preghiamo Dio che il tempo della carestia sia breve".

Izate ringraziò Agrippa delle sue gentili parole, ingoiando amaramente il rospo e seguitò il suo racconto sulla morte di Jehoshua:

"Io ricevevo allora lettere, spesso, da mia madre.

E in quei giorni ebbi una sua lettera, in cui mi diceva che Jehoshua, il nostro santo e giusto Barnasha era morto, che la sua morte era stata dignitosamente sopportata, nonostante le sofferenze, proprie della crocifissione".

Izate, poi, raccontava anche particolari rilevati dalla lettera della madre circa il gruppo di funzionari e di milites, che sfidavano il giusto, quasi esanime a fare miracoli a venire giù dalla croce e gli ricordavano le sue parole," tu che distruggi il tempio in tre giorni e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso; se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce".

Izate diceva che Elena testimoniava che anche i due zeloti, crocifissi con lui, suoi compagni di sventura, lo maledicevano e l' oltraggiavano e che lui, vero figlio del padre, non ascoltava le voci, gli insulti e che sembrava pregare per i suoi nemici.

La madre diceva  nella lettera anche d'aver sentito "Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno"

La donna affermava nella lettera che, però, non ne era sicura perché era troppo lontana: l'efficienza romana ordinava che i parenti fossero lontani dal luogo di esecuzione e che le donne fossero ancora più lontane.

E dell'ora della morte, la regina diceva che verso la nona ora, dopo tre ore di buio quasi assoluto, Jehoshua gridò: "Eli eli, lamna sabactani?"18

La regina raccontava che i soldati, quasi tutti occidentali, e i funzionari non comprendevano la lingua aramaica e dicevano fra loro ridendo:

"Chiama Elia".

Aggiungeva che si chiedevano tra loro: "chi è Elia?"

Sentito che era un grande profeta, capace di risuscitare i morti e di annientare interi eserciti, i milites si impaurirono e dicevano tra loro che bisognava attendere ed aspettare gli eventi.

Raccontava inoltre che uno dei milites diede ad Jehoshua il consueto intruglio di acqua ed aceto per lenire la sete e che subito dopo spirò.

Izate raccontava, inoltre, che a detta della madre, al momento preciso della morte il pinnacolo del tempio si staccò, con gran rumore, colpito da un fulmine, ed aggiungeva che ci fu pioggia torrenziale e che alcune donne, impaurite, andavano dicendo di aver visto dei morti risorti e raccontavano di aver incontrato angeli.

Mia madre così scrisse esattamente :" io con le altre donne e con la madre ci incaricammo di pulire il cadavere, a noi consegnato dagli uomini, che lo avevano deposto, facemmo portare i doni funebri. Io stessa, seguendo il rito di profumazione tipica dei carduchi, fusi mirra, aromi, oli profumati.

Poi, noi tutte donne, piangendo, avvolgemmo il cadavere, regalmente profumato e composto, in un lenzuolo di lino bianco, nuovo".

Mia madre Aggiungeva che gli uomini, appena ebbero l'autorizzazione di Pilato, deposero il corpo di Jehoshua in una tomba scavata nella roccia, di proprietà di Josip, che notificò a Pilato l'ora della morte e l'ora della sepoltura.

A dire il vero, io, tre, quattro giorni dopo, ricevetti un'altra lettera, in cui mia madre mi sbalordiva con la notizia che Jehoshua era risorto ed era stato visto vivo.

"Noi conosciamo le donne e sappiamo come pensano e come sono facilmente suggestionabili ed influenzabili: mia madre, però, non è una donna comune, è una regina, di stirpe regale, istruita, educata a governare popoli, degna di fiducia. Ancora oggi lei testimonia che Jehoshua è risorto"

E tacque.

Tutti tacquero anche perché ora i cantori innalzavano lodi ad JHWH e tutti cantavano "alleluiah," perfino Tiberio Alessandro.

Anche il re cantava.

Cantando, il re pensava: Se Jehoshua Barnasha risorgesse davvero, neppure lui potrebbe frenare i suoi discepoli, potrebbe calmare i suoi esaltati, neppure se lui in persona dicesse la verità sui fatti, neppure se predicasse di nuovo la buona novella e il suo malkut ha shemaim: ormai il suo mito è formato per sempre e il suo regno sarà lungo, forse, senza fine.

Cantava Agrippa e scuoteva la testa, pensoso, da scettico.

Note della sesta parte

1 I giudei dal 38 d. C. al 26 gennaio del 41 soffrirono una gravissima persecuzione. Si cominciò con lo sterminio dei giudei Alessandrini, e con l'arresto dell'alabarca e con la perdita dei diritti civili. Poi, dopo il decreto di assimilazione con Zeus, Caligola ordinò a Petronio Turpiliano di annientare i giudei di Palestina se non accettavano di porre nel tempio il suo colosso e non lo veneravano come Dio. Si salvarono sia per la tergiversazione del proconsole che per la congiura di Cassio Cherea, che uccise il tiranno.(cfr Flavio, Antichità Giudaiche,XIX,1 sgg; Dione Cassio, Storia Romana, LIX, 1 e sgg).

2 Alla morte di Artabano III (10-40 d.C) , i figli iniziano una guerra di successione, che si risolve dapprima con la vittoria di Gotarze e Vardane, a scapito di Artabano loro fratello, e poi in uno scontro fratricida. cfr Tacito, Annales ,XI, 1 Gotarze infatti, fra le molte sue crudeltà, aveva fatto morire il proprio fratello Artabano, la moglie e il figlio di lui: onde gli altri, impauriti chiamarono Vardane. Questi occupa... in pochi giorni una regione di tremila stadi e mette in fuga Gotarze... Frattanto Gotarze ... riprende la guerra e Vardane, costretto a lasciare Seleucia, si accampa nelle pianure della Battriana...

3 L'imperatore Tiberio Claudio Nerone Germanico era nato a Lione il 1 Agosto del 10 a. C. (Svetonio , Claudio ,2), Giulio Erode Agrippa forse il 3 Agosto dello stesso anno a Gerusalemme.

4 Si tratta di Erode, fratello di Agrippa, eletto da Claudio re di Abila e Calcide, subito dopo che aveva avuto come moglie Berenice, sua nipote, vedova di Marco, figlio dell'alabarca (Flavio, Antichità Giudaiche, XIX,275-277; XX, 15-16).

5 Sono tutti re eletti da Claudio ed amici di Agrippa, che li ha consociati, tanto da destare la rivalità e l'inimicizia di C. Vibio Marso, governatore di Siria dal 42 d.C.(Cfr. Flavio, Antichità Giudaiche, XIX,338-341)

6 Sila è un personaggio noto solo a Flavio (Antichità Giudaiche, XIX, 317 -325).

7 Agrippa, dopo che passò da Therapeuon (educator) di Tiberio Junior, nipote diretto di Tiberio a Gaio Caligola, subì un processo accusato dal liberto Eutiche, che aveva riportato una frase, che inneggiava alla morte dell'imperatore e alla successione di Gaio. Rimase in prigione per 6 mesi, fu liberato, alla morte di Tiberio, da Caligola che gli regalò la catena di ferro, a cui fu incatenato, ed una d'oro dello stesso peso e poi lo fece re di Iturea ed altre zone (Flavio Ant. Giud., XVIII, 143-239)

8 Teofilo, figlio di Anano I , fu sommo sacerdote grazie a Vitellio e fu desposto da Erode Agrippa, che nominò al suo posto Simone di Boeto, detto Canthera.

9 Lucio Vitellio, console nel 34, inviato nell'estate del 35 in Siria con un preciso mandato secondo Tacito (Annales, VI,36-37) , entrò due volte in Gerusalemme e fu accolto entusiasticamente (Flavio, Antichità Giudaiche,XVIII, 90-95), fu grande condottiero, poi maestro di cortigiania durante il regno di Caligola e di Claudio e fu reggente dell'impero, in assenza dell'imperatore, impegnato nella spedizione in Britannia.

10 Si chiamano nazirei (il termine vuol dire consacrare ) alcuni uomini che in un certo periodo osservano limitazioni di vitto e di vestiti, non si tagliano i capelli, né si lavano (Cfr. Numeri,6.1-21 e IV,72) Ci sono anche dei nazirei consacrati a Dio fin dalla nascita, come Sansone e forse come Jakob, fratello di Jehoshua. Agrippa facendoli radere, interrompe forzatamente il loro voto, compiendo atto sacrilego.(cfr Flavio,Antichità Giudaiche,XIX,294)

11 Agrippa fece combattere nell'anfiteatro una schiera di 700 zeloti con altri 700 (Flavio, Ibidem ,336-337).

12 La cena della Pasqua è detta Seder.

13 Si tratta del profeta Zaccaria, che invitava i Giudei a ricostruire il tempio, dopo il ritorno in patria. Esplicò la sua missione profetica nel periodo di Dario I, tra il 520 e il 485 a.C..

14 Si tratta di Anano il Vecchio (l'Anna dei Vangeli) Di questo, sommo sacerdote, suocero di Kaifas, Giuseppe Flavio ( Ant. Giud.,XX,198) dice : fu molto fortunato: ebbe infatti cinque figli e tutti, dopo di lui presero quel ufficio per un lungo periodo diventando sommi sacerdoti di Dio, cosa che non accadde mai ad alcuno dei sommi sacerdoti.

15 I Cantera ( O Kanthara) sono una stirpe di sommi sacerdoti, ostili agli Anano . Flavio cita tra l'altro Elioneo (Ibidem XIX,342)

16 Si tratta di quel Jehoshua Barabba, che aveva avuto salva la vita da Pilato, quando fece la scelta, secondo la tradizione cristiana, con Iehoshua Barnasha, il tecton.

17 Si sa che Felice, fratello di Pallante, aveva dapprima avvertito Norbano Flacco, governatore di Siria (ex console amico di bevute di Tiberio, divenuto governatore di Siria forse nel 29. e morto mentre era in carica, nel 33-34 d.C.(forse a fine gennaio), misteriosamente. Questi non fu certamente un seguace di Seiano, ma fu sicuramente filotiberiano. All'epoca dell'instaurazione del Malkuth di Jehoshua, probabilmente, era morto, e in Siria non era arrivato il suo sostituto E. Lamia, poi destituito a seguito dei processi postseianei. Pilato forse ebbe maggior potere, ma poi fu limitato dal timore di accuse, a Roma (Cfr. Svetonio , Tiberio; e Flavio , Antichità Giudaiche, XVIII,151-153) e, poi,dopo la c la consegna di Jehoshua era nella cohors di Lucio Vitellio, rimamendo, però, sempre sotto accusa come filoseianeo .

17 Sembra che Erode Agrippa partì per Roma, poco dopo la Pasqua del 36 d.C. e relazionò sui fatti di Giudea, mentre suo zio Erode Antipa e lo stesso Vitellio inviarono relazioni sulla guerra con Artabano.

18 Adonai, Adonai, perché mi hai abbandonato?

Glossario

Am ha aretz
Il termine significa popolo della terra o popolo del paese, ma assume il significato di sistema agricolo tipico della Palestina, contrapposto a quello ellenistico, proprio dei commercianti (emporoi). Solo più tardi, nella letteratura rabbinica, assume il valore di incolti , semplici , ignoranti e anche poveri (Anavim, ebionim).

Ariman

Ariman è il dio, principio del male, opposto a Haura Mazda, principio del bene. E' un antico dio iranico, entrato, poi, a fare parte anche del pensiero di Zarathustra.

Kohen
Di norma il termine vale sacerdote celebrante ma può essere anche il sommo sacerdote, la cui definizione è Ha Kohen ha gadòl.

Dioichetes
Con questo termine si intende un funzionario ellenistico di solito amministratore di Chorai zone assegnate a tutori di origine servile, libertine, da famiglie romane o da reguli o da nobili che non possono seguire direttamente le loro aziende. Di solito l'oikos il patrimonio familiare è seguito dal padrone, ma a volte da un suo amico diochetes che non aveva più oikos (cfr Economico di Senofonte), perso per qualche ragione (guerra , cataclismi ecc.) Particolare il sistema del dioichetes giudaico alessandrino che amministra una dioikesis-chora e che ha una sua specifica funzione nel sistema oniade, dominato dall'etnarca e dall'alabarca, specie se epitropos, curatore dei beni di una collettività o comunità i cui socii non avevano dignità giuridica in quanto non politai ,anche se avevano riconvertito il proprio patrimonio in denaro liquido.

Davar
Equivale a parola, da non confondere però con logos greco e da verbum latino.

Hallel

Significa propriamente lode, ma indica anche un gruppo di Salmi, precisamente 113-118.

Golem
E' termine complesso di difficile lettura e comprensione: esso è bocciolo e larva, ma anche segno di morte e morte stessa, anche se il suo valore è positivo in quanto produce sempre un nuovo sistema di vita poiché è trasformazione di qualcosa che si deteriora e passa ad un stato nuovo significando un passaggio dalla morte alla vita.

Hassidim (chassidim)

Il termine significa pii e con questo nome si indicava quelli che poi saranno i Farisei (Pherushim), cioè i separati ma anche tutti gli zelanti della fede, desiderosi di mantenersi puri davanti ad ogni contaminazione

Hazan (Chazan)

E' termine che indica il capo di una sinagoga.


Kosmos

Il termine ha tre valori fondamentali, specie nel periodo ellenistico-romano: ordine ,costituzione e mondo. In senso stoico vale sia come ordine armonioso conseguito dal saggio che trova il suo giusto equilibrio in sé sia come ordine universale desunto dall'ordine naturale e dall‘armonia,conseguita grazie alla politeia (la costituzione, data dai re e poi dall'imperatore): diverso è il suo significato per Filone (30-25 a.c.- 43-44 d. C.). che lo collega a kosmopoiia e quindi a poietes Cfr (A. Filipponi premessa Peri tes Mouseos Kosmopoiias in angelofilipponi.com )

Lulav
Di norma si intende ramo di palma usato nel periodo della festa delle Capanne ma anche in altre occasioni, specie festive.

Malkut

Il termine vale regno - Nel caso nostro si intende spesso Malkut ha shamaim (Regno dei cieli ), che sottende la venuta del Messia da non confondere con l ‘aramaico malkuta di elaba o l'ebraico malkut elohim , valenti ambedue Regno di Dio, che ha diverse connotazioni ed è proprio di un'altra fase storica.

Maran (marin )

il termine significa re ed è proprio dell'area siriaca, che comprende anche la Galilea e le zone della Iturea e della Partia.

Mashiah

Il termine vale unto ed in greco è tradotto con Christos.

Mebaqer

E' termine che corrisponde al greco episcopos (ispettore).

Metriotes

E' termine indicante misura o sistema di vita moderato e quindi indica uno stato di perfezione raggiunto grazie al procedere proprio di un saggio .

Indica il metodo proprio degli stoici che procedevano secondo natura e secondo ragione

Pesah
Vale Pasqua ma non indica la Pasqua cristiana , che è essenzialmente la resurrezione di Gesù e quindi il passaggio dallo stato di peccato dell'uomo a quello di grazia, per i meriti del sangue versato dal Christos: essa ricorda il passaggio del Mar Rosso, come inizio di un'epoca di libertà e fine della schiavitù egizia. Connesso alla Pèsah è Seder che significa ordine per indicare le due cene consecutive, con si inizia la solennità pasquale.

Politeuma
Il termine indica il sistema specifico, in cui una comunità vive in una città straniera con le proprie leggi, sotto la tutela del Re dominante e , nel caso romano ,dell'imperatore che ha sancito la differenza di vita ebraica, rispetto alle altre etnie e l'ha protetta, favorendola con prostagmata, editti, continuamente aggiornati (decreti)in modo da impedire la prevaricazione da parte di etnie concorrenti ed in un certo senso, riconoscendone la superiorità, specie in senso commerciale e mercantile.

Sanhedrim

E' termine che significa senato, consesso di vecchi (70) oltre al sommo sacerdote in Gerusalemme. Per estensione in ogni città ellenistica esisteva un Sinedrio dello stesso numero, che amministrava la città,secondo la Legge (torah, il cui significato di base indica lanciare, come tentativo, da parte di anziani, di interpretare e quindi insegnare il Pentateuco)

Shalom aleichem vale la pace sia con voi

 

Shavu'ot è la commemorazione del giorno del dono della Torah il 6 del mese di Sivan :E' la festa delle primizie ma è detta anche festa delle settimane o Pentecoste.


Shekhinah
Il termine vale residenza ma esprime la presenza di Dio nella sua manifestazione e sacralità di possesso anche fisico.

Shoferim
Il termine indica regolarmente giudici ma ha anche valore generico di capi.

Tectones
E' termine conosciuto superficialemnte come fabbri, artigiani del legno, ma in epoca ellenistico-romana vale carpentieri che lavorano alle costruzioni ed è usato per indicare una categoria di lavoratori, specializzati in un sistema altamente tecnico. Al singolare vale anche architetto, costruttore capo.

Talith
Con questo termine si intende il mantello di preghiera o scialle di lana usato per la preghiera.

Terapeuti
Sono chiamati da Filone(Cr.Vita Contemplativa, angelofilipponi.com) in questo modo con termine greco, come se fossero guaritori, uomini di vita santa, che vivono nella Mareotide in Alessandria e sono dei puri contemplativi, che commentano la Legge e la interpretano simbolicamente.

Tzedaqah
E' termine che indica opera di giustizia da farsi verso i bisognosi ed è diversissima dalla Caritas cristiana, specie dall'elemosina.

Zaotar
Questo termine in territorio alto- mesopotamico ed iranico, specie in Adiabene (Kurdistan) indica il celebrante dei sacrifici e il capo di comunità pre- zarathustriane e zarathustriane.

Indice


I PARTE........................................................................................................................................................................ 1

II PARTE 57

III PARTE 114

IV PARTE 179

V PARTE 216

VI PARTE 245

GLOSSARIO.......................................................................................................................................................... 285

 

10/02/2010





        
  



3+5=

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