Il libro di Giulia Alberico: un esempio di linguaggio trash e di poco amore verso il proprio lavoro
San Benedetto del Tronto | Non comprerò il libro "Cuanta pasiòn", ma se qualcuno lo avesse incautamente acquistato, me lo presterebbe? Voglio vedere fino a che punto può arrivare la scelta di un linguaggio offensivo e trash e il poco amore verso il proprio lavoro.
di Antonella Roncarolo
Venerdì 6 febbraio, otto di mattina, sono in seconda A, compito in classe di chimica. Entra la signora Giovanna, bidella dell'Istituto tecnico per geometri di Grottammare e lascia sulla cattedra trenta copie di un giornale nazionale, nell'ambito del progetto "Il quotidiano in classe".
Ne sfoglio superficialmente una copia (con un occhio devo controllare che i ragazzi non copino) e mi colpisce un articolo nelle pagine culturali.
Si tratta di un estratto di un libro appena uscito di Giulia Alberico dal titolo "Cuanta pasiòn". Argomento: la scuola.
Due domande mi sorgono spontanee:
1) Chi è Giulia Alberico?
2) perché pubblicano su un noto giornale nazionale un capitolo del suo libro?
La prima domanda è di facile risposta perché la biografia dell'autrice (con foto) è in un occhiello del pezzo: "Più di trent'anni di insegnamento come docente di storia negli istituti superiori e (udite udite) un breve periodo al Ministero della Pubblica Istruzione".
Scriverò parola per parola la prima parte del capitolo del libro riportato dal giornale, perché non voglio che perdiate neanche una sillaba:
"In seconda B è come entrare in un bordello, uno zoo, un manicomio. Venti ragazzi, due handicappati psichici e il resto da Casal del Marmo. Quattro ragazze straniere, ognuna con una storia diversissima alle spalle: una bielorussa, una brasiliana, una tunisina e un'angolana".
Balzo sulla sedia, rileggo con calma. Un bordello? Perché? Forse la presenza delle ragazze straniere rende la seconda B una casa d'appuntamento? Non sa la signora Alberico che la legge Merlin ha chiuso i bordelli da un pezzo? O non conosce il significato della parola "bordello"?
Guardo le mie due ragazze straniere in seconda A, una tunisina, bravissima in fisica, (le dico sempre che i suoi antenati che studiavano i movimenti delle stelle la notte nel deserto sarebbero fieri di lei) e la ragazza albanese che ha superato i troppi problemi di integrazione con una forza di volontà esemplare e sono fiera di loro.
Vado avanti nella lettura: uno zoo? E perché? I miei ragazzi saranno anche caciaroni, a volte irresponsabili, ma diamine, hanno sedici anni e stanno scoprendo (con dolore spesso) la vita: paragonarli agli ospiti di un giardino zoologico proprio non lo ammetto.
Ancora: un manicomio? Guardo il ragazzo con problemi psichici che ho in classe mentre sta tentando di disegnare una retta su un grafico spazio/tempo, impresa impossibile per lui che lo spazio e il tempo sono solo concetti poetici e non assoluti e sorrido. Lo avrà saputo, la professoressa Alberico che il dottor Basaglia ha chiuso i manicomi per sempre?
Il pezzo continua con un linguaggio offensivo fuori da ogni regola: gli studenti sono descritti "mediamente ignoranti, animali selvaggi in classe e schizzati".
Ma la parte più esilarante è la seguente (la scrivo per intero censurando una sola parola non adeguata ad un mio articolo): "...Fu il giorno in cui i trentuno studenti decisero di bombardarmi con altrettanti aeroplanini di carta. Tutti a forma di falli. Io mi trovai con queste decine di c... volanti (la professoressa Alberico ha scritto per intero l'elegante e usuale parola che descrive il membro maschile) che planavano sulla cattedra, tra i miei capelli, per terra, intorno a me e ricordo lo sgomento, la rabbia, l'assoluta, intollerabile solitudine in cui io, bestia lasciata sola, ero davanti al branco".
E non perdetevi il finale del capitolo: sdolcinato, nauseabondo, non ho voglia di scriverlo...
Non comprerò il libro, ma se qualcuno lo avesse incautamente acquistato, me lo presterebbe? Voglio vedere fino a che punto può arrivare la scelta di un linguaggio offensivo e trash e il poco amore verso il proprio lavoro.
Concludo: a parte il fatto che sto dalla parte degli studenti (hanno fatto benissimo a lanciare aeroplani fallici a una persona del genere piena di rancore e odio verso i ragazzi che invece dovrebbero essere amati per educarli), penso che, anche se solo un mio alunno costruisse un aeroplanino a forma fallica capace di planare sulla cattedra, lo proporrei per la laurea honoris causa in ingegneria aeronautica e gli consegnerei il premio Origami d'oro del secolo.
Che l'Editore pubblichi quest'o genere di libri non mi sorprende, non è la prima volta e, ohimè, non sarà l'ultima, ma la domanda che vi ripropongo è la numero due: perché un giornale nazionale ne ha pubblicato un capitolo?
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07/02/2009
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