L'ABITUDINE ALLA VIOLENZA
San Benedetto del Tronto | E stata la decisione unilaterale di aggredire esponenti di una tifoseria avversaria a scatenare l'assurda e imprevedibile successione degli eventi seguenti.
di Maria Teresa Rosini
Spesso la morte ha lo straordinario potere di far scendere il silenzio anche sulla ragione, di dare voce ai fantasmi interiori della violenza e della vendetta perché il tempo non torna indietro e ciò che è stato non può essere cambiato.
E' stato così per tante morti che in questo anno hanno riempito la cronaca ed hanno aggiunto violenza a quella che già si era consumata.
Ma nonostante lo struggimento e l'angoscia per l'ennesima perdita di una giovane vita e la crudele e beffarda casualità con cui la morte ha consumato il suo rito, non dobbiamo impedirci di pensare, di riflettere su quel momento e soprattutto su ciò che lo ha preparato.
Secondo le ricostruzioni accreditate, sulla piazzola dell' autogrill i compagni di viaggio di Gabriele Sandri hanno deciso, mentre lui dormiva ignaro in auto, di aggredire i tifosi juventini casualmente avvistati mentre scendevano dall'auto per una sosta e di ingaggiare con essi una rissa.
E questo non si capisce: non si era allo stadio, non c'erano state provocazioni, non c'erano state questioni di arbitri, di sconfitte o altro, allora perché aggredire? Per uno scudetto esposto su un giaccone?
E' stata la decisione unilaterale di aggredire a scatenare la successione degli eventi seguenti, assurda e imprevedibile: la casuale presenza della polizia nell'autogrill di fronte, l'improvvida iniziativa di un agente che una lettura affrettata di ciò che stava avvenendo a circa 100 metri da lui, spinge a contraddire tutte le regole e la lucidità che il ruolo gli avrebbe imposto di considerare ed assumere.
Ciò che sembra paradossale è dare ormai per scontata la violenza dei tifosi ed esserci assuefatti ad essa tanto che è "normale" che semplicemente la vista di tifosi di parte avversa possa fungere da miccia per innescare una rissa.
E il seguito degli eventi dimostra che nessuna considerazione particolare è stata spesa per sottolineare questa assurdità, mentre sono stati evidenziati una poco limpida comunicazione del fatto da parte delle autorità e della polizia (certamente rilevante) e l'errore di permettere comunque il disputarsi delle partite, che avrebbero scatenato la guerriglia dei tifosi contro le caserme della polizia in diverse città italiane.
E' inverosimile che in un paese moderno, "civile", si instauri una guerra sotterranea e strisciante tra le tifoserie e la polizia che ogni tanto esplode in episodi in cui si dà sfogo alla carica inevasa di rabbia e violenza che si ha dentro, non importa perché, né contro chi.
Dopo l'ubriacatura, dopo la perdita della ragione ciascuno poi si sente autorizzato a indicare chi ha sbagliato come e perché, a proporre ciò che occorrerebbe fare, ciò che era giusto fare.
Non mi pare aver sentito nessuno del mondo della tifoseria considerare le proprie responsabilità ed assumerle come fattore scatenante degli eventi. Ed è infantile e irresponsabile l'atteggiamento di chi non si sente mai colpevole e vuole continuare ad avere il suo miserabile momento di sfogo violento nel branco, a caccia di un nemico per esorcizzare paure e non senso, tacitando ragione e coscienza, non importa con quali conseguenze.
Come siamo potuti arrivare a questo? Esercitare la ragione vuol dire allora ripercorrere la storia del calcio e delle tifoserie degli ultimi anni perché ognuno per il suo ruolo riconosca le proprie responsabilità e le assuma dando segnali inequivocabili di cambiamento per il futuro, perché il calcio torni ad essere quello che era quando è nato: occasione di divertimento, sport popolare, confronto leale ed onesto tra le squadre e tra i loro sostenitori.
E' stato così per tante morti che in questo anno hanno riempito la cronaca ed hanno aggiunto violenza a quella che già si era consumata.
Ma nonostante lo struggimento e l'angoscia per l'ennesima perdita di una giovane vita e la crudele e beffarda casualità con cui la morte ha consumato il suo rito, non dobbiamo impedirci di pensare, di riflettere su quel momento e soprattutto su ciò che lo ha preparato.
Secondo le ricostruzioni accreditate, sulla piazzola dell' autogrill i compagni di viaggio di Gabriele Sandri hanno deciso, mentre lui dormiva ignaro in auto, di aggredire i tifosi juventini casualmente avvistati mentre scendevano dall'auto per una sosta e di ingaggiare con essi una rissa.
E questo non si capisce: non si era allo stadio, non c'erano state provocazioni, non c'erano state questioni di arbitri, di sconfitte o altro, allora perché aggredire? Per uno scudetto esposto su un giaccone?
E' stata la decisione unilaterale di aggredire a scatenare la successione degli eventi seguenti, assurda e imprevedibile: la casuale presenza della polizia nell'autogrill di fronte, l'improvvida iniziativa di un agente che una lettura affrettata di ciò che stava avvenendo a circa 100 metri da lui, spinge a contraddire tutte le regole e la lucidità che il ruolo gli avrebbe imposto di considerare ed assumere.
Ciò che sembra paradossale è dare ormai per scontata la violenza dei tifosi ed esserci assuefatti ad essa tanto che è "normale" che semplicemente la vista di tifosi di parte avversa possa fungere da miccia per innescare una rissa.
E il seguito degli eventi dimostra che nessuna considerazione particolare è stata spesa per sottolineare questa assurdità, mentre sono stati evidenziati una poco limpida comunicazione del fatto da parte delle autorità e della polizia (certamente rilevante) e l'errore di permettere comunque il disputarsi delle partite, che avrebbero scatenato la guerriglia dei tifosi contro le caserme della polizia in diverse città italiane.
E' inverosimile che in un paese moderno, "civile", si instauri una guerra sotterranea e strisciante tra le tifoserie e la polizia che ogni tanto esplode in episodi in cui si dà sfogo alla carica inevasa di rabbia e violenza che si ha dentro, non importa perché, né contro chi.
Dopo l'ubriacatura, dopo la perdita della ragione ciascuno poi si sente autorizzato a indicare chi ha sbagliato come e perché, a proporre ciò che occorrerebbe fare, ciò che era giusto fare.
Non mi pare aver sentito nessuno del mondo della tifoseria considerare le proprie responsabilità ed assumerle come fattore scatenante degli eventi. Ed è infantile e irresponsabile l'atteggiamento di chi non si sente mai colpevole e vuole continuare ad avere il suo miserabile momento di sfogo violento nel branco, a caccia di un nemico per esorcizzare paure e non senso, tacitando ragione e coscienza, non importa con quali conseguenze.
Come siamo potuti arrivare a questo? Esercitare la ragione vuol dire allora ripercorrere la storia del calcio e delle tifoserie degli ultimi anni perché ognuno per il suo ruolo riconosca le proprie responsabilità e le assuma dando segnali inequivocabili di cambiamento per il futuro, perché il calcio torni ad essere quello che era quando è nato: occasione di divertimento, sport popolare, confronto leale ed onesto tra le squadre e tra i loro sostenitori.
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18/11/2007
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