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Ma che cos'è la politica?

San Benedetto del Tronto | Talmente tanta attenzione mediatica ha ricevuto la parola "antipolitica" da farci completamente dimenticare che è la parola “politica” che le dà un senso.

di Maria Teresa Rosini

Una parola, forse non sempre propriamente interpretata, occupa da qualche tempo le pagine dei giornali, è al centro di dibattiti e trasmissioni televisive, incarnata negli exploit mediatici di popolari personaggi o evocata come il peggiore degli incubi da esponenti di partiti, fatta oggetto di analisi da politologi o editorialisti di prestigio: antipolitica.

Talmente tanta attenzione mediatica ha ricevuto questo termine da farci completamente dimenticare che è la parola "politica" che le dà un senso.
Privata del prefisso "anti" la parola che resta, "politica", è sicuramente fortemente evocativa: per molti, la generazione che ha vissuto la stagione in cui "tutto era politica", dell' impegno e della passione con le quali si guardava il mondo e si desiderava cambiarlo per renderlo più giusto e più solidale;
per altri, forse, di una consorteria di mestieranti cinici e ambiziosi per i quali l'interesse personale e il desiderio di visibilità e potere sono la molla di azioni non sempre limpide, ammantate di motivazioni retoriche.

Nell'evolversi della storia del nostro paese degli ultimi decenni abbiamo assistito ad una drastica riduzione della dimensione etica e ideale della politica come servizio e ricerca dell'interesse generale, e allo "strabordare" di una pratica utilitaristica, cinica e clientelare della "politica", con il prevalere e il divenire "regola" dei comportamenti così ben documentati nell'ormai super citato libro-inchiesta "La Casta".

Il fenomeno ha coinciso con un atteggiamento di sempre maggiore disinteresse dei cittadini verso le istituzioni rappresentative e di completa delega ai partiti, o alle altre organizzazioni sociali ed economiche riconosciute, di farsi carico dell'elaborazione delle finalità generali della nazione e della necessaria mediazione delle istanze e dei bisogni, talora opposti e inconciliabili, provenienti dalla base della società.

Tutto questo nonostante la stagione di "Mani pulite" sembrava avesse fatto giustizia, rivelandoli occhi della pubblica opinione, dei sistemi immorali e illegali attraverso i quali la "cosa pubblica" veniva amministrata.

I tentativi di "ingegneria costituzionale e istituzionale" sempre invocati e ipotizzati da oltre trent'anni, non sembrano, a questo punto, in grado di incidere significativamente su un costume che tende a riproporre se stesso come un virus sempre mutante all'interno di un organismo tende a preservare la propria sopravvivenza alle sempre nuove condizioni: "la migliore delle costituzioni nulla può se gli uomini che la mettono in pratica sono corrotti o si corrompono o, comunque non ne sono a misura" , afferma Zagrebelsky nel bellissimo libro "Imparare democrazia", e non si può, alla luce della nostra storia degli ultimi cinquant'anni, che dargli ragione. 

E' di un'"ingegneria culturale" che c'è bisogno: democrazia e partecipazione devono divenire oggetto di apprendimento all'interno della società, che non sempre è migliore dei politici che la governano, i quali da essa provengono e al suo interno si sono formati.

Ai giovani, spesso lontani e refrattari alla politica, non siamo stati in grado di trasmetterne i valori e insegnarne lo spirito, che pure esistono e sono storicamente riconoscibili nella storia del nostro paese, perché il circuito della partecipazione e dell'impegno, monopolizzato dai partiti, è divenuto asfittico e impermeabile: non ci puoi entrare se non con l'atteggiamento di obbedienza e sottomissione a tacite regole divenute via via sempre più funzionali alla conservazione delle organizzazioni politiche e del loro peso, piuttosto che alla crescita della società e all'espressione dei talenti.

Ma la politica, nel suo significato più autentico, è proprio l'opposto: è muoversi, pensare ed agire all'interno di un contesto di libertà e dialogo, nel rispetto di regole condivise, ma senza ricatti e condizionamenti, con l'unico obiettivo di perseguire il bene comune e all'interno di una visione etica almeno concorde del mondo e della vita.

Certo, alla luce della realtà, questo può sembrare utopistico e far sorridere, ma non ci possiamo più permettere di educare i giovani alla ragioneria degli interessi personali e nello spirito dell'utilitarismo e del calcolo di parte e lasciare che rivolgano i loro ideali, la loro passione, la loro creatività non si sa a cosa altro e siano preda delle peggiori strumentalizzazioni.

La democrazia e la politica vanno insegnate, possono essere oggetto di apprendimento, devono esserlo a scuola prima di tutto e in ogni altro contesto significativo. Vanno insegnate con la conoscenza e lo studio degli esempi alti, che possono essere individuati storicamente e culturalmente , visto che il presente è così confuso e arido di modelli.

07/10/2007





        
  



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