Mille e una Notte senza Aladino e Sinbad
San Benedetto del Tronto | Riabilitata la versione originale con 282 racconti. Aboliti i più famosi scritti di un francese del '700.
di Tonino Armata
Frequentavo la terza elementare, nella mia casa non c’era nemmeno un libro, quanto accadde una cosa solenne ed eccitante che determinò tutta la mia esistenza. Mia zia (facoltosa) mi portò un libro. M’invitò in una pasticceria e me lo spiegò. Era, le Mille e una Notte in un’edizione adatta alla mia età. Sulla copertina c’era un’illustrazione a colori, se non sbaglio di Aladino con la lampada meravigliosa. Mia zia mi parlò in modo molto serio e incoraggiante e mi disse quanto sarebbe stato bello leggere quel libro. Lei stessa mi lesse ad alta voce una storia: altrettanto belle sarebbero state le atre.
Elias Canetti è appena entrato nel suo settimo anno di vita quando incontra sul suo cammino il volano di tutte le storie, il trionfo della narrazione infinita, il libro dei libri. Come rammenta nel primo volume dell’autobiografia, La lingua salvata, dopo l’iniziazione ad opera del padre il quale gli lesse ad alta voce la prima di quelle novelle, ci indica il valore ultimo delle Mille e una Notte: “Una volta entrati in quel mondo, non si potrà più rinunciare alla malia del racconto e dunque alla passione per la lettura”.
Ci fu un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui l'Europa fu presa dalla febbre d'Oriente. C'era chi si faceva costruire edifici alla maniera dei sultani, come Augusto il Forte, elettore di Sassonia e re di Polonia, il quale abbellì Dresda perfino di un giardino alla turca. I salotti d'Europa si riempirono di tappeti e cuscini moreschi. I pittori come Delacroix dipingevano giganteschi interni di harem con le schiave seminude in pose lascive. Goethe compose il suo Divano occidentale-orientale. Mozart scrisse il Ratto dal Serraglio. Anche la letteratura popolare si riempì di libri d'avventura.
Si svolgevano nei bazar, nei caravanserragli, nei misteri di un mondo, "di bagni, di profumi, di danze di piaceri", come scrisse Chateaubriand. Da dove era venuta questa moda? Da un libro, il solo che ancora oggi rappresenta per noi l'Oriente. Le Mille e una Notte. La prima traduzione di un volume di racconti che aveva ricevuto dalla Siria fu pubblicata dall'orientalista francese Antoine Galland nel 1704. Fu un successo inimmaginabile. Altri sei volumi seguirono fino al 1709 e poi ancora quattro, di cui l'ultimo uscì addirittura due anni dopo la morte di Galland. L'Oriente veniva fuori da quelle descrizioni come il regno dei sensi, la donna orientale era quanto ci poteva essere di più sensuale. Le sue arti erotiche erano impareggiabili. Un bipolarismo di sensualità e violenza dice l'islamista Andreas Pflitsch nel libro da poco uscito Mito Oriente (Herder, € 12,90). Dispotismo e lascivia. Perversione e voluttà. Anche allora ci s'inventava volentieri un mondo piuttosto che guardare la realtà. Sull'Oriente gli europei proiettavano i sogni, le fantasie, i fantasmi, che in Occidente erano tabù. Facevano ricadere tutta la decadenza sull'Oriente - così come oggi i fondamentalisti islamici la fanno cadere sull'Ovest.
E' stato così che Antoine Galland, archivista, il quale aveva tentato senza molto successo di salire la scala sociale ed accreditarsi come diplomatico, ha formato per trecento anni la nostra immagine dell'Oriente. Anche quando sappiamo che nel mondo arabo ci sono tante cose di cui nemmeno i servizi segreti sanno nulla, almeno di una cosa siamo stati certi: le Mille e una Notte sono una metafora dell'Oriente. Mille e una sono, come si sa, la somma di quelle notti in cui Sharazad, la più bella e la più saggia delle figlie del vizir, racconta al re Shahriyar una novella e quando arriva l'alba la interrompe sul momento culminante, e in questo modo ha salva la vita. Il re, curioso di conoscere la fine, rinvierà l'esecuzione all'indomani. Shahriyar, re di Persia e delle Indie, per punire la moglie infedele aveva, infatti, deciso di vendicarsi non solo sulla moglie (cui fece subito tagliare la testa) ma su tutte le donne. Ogni sera ne sceglieva una per farla poi decapitare al mattino. Sharazad riuscì però ad intrattenerlo per mille e una notte il re cambiò idea e la prese in sposa.
Questo sapevamo. E nessuno di noi immaginava che venisse fuori la storia che le Mille e una Notte potessero essere un costrutto occidentale. Ebbene è così. Ce lo dice autorevolmente l’arabista Claudia Ott, con la sua nuova traduzione della famosa raccolta di novelle (Beck, € 29,90). Una traduzione che soprattutto è un restauro. Basandosi sulla edizione del 1984 dell’iracheno Muhisin Mahdi, professore a Harward, Claudia Ott ha tolto alle Mille e una Notte tutti gli strati sovrapposti, riscoprendo l’originale: non 1001 novelle ma solo 282. via Aladino e la sua lanterna, via Sinbad il marinaio, via Alì Babà e i quaranta ladroni e altre 719.
Tutte queste, infatti, dicono Muhsin Mahadi e Claudia Ott, erano state aggiunte di suo pugno dall’orientalista francese Antoine Galland. Visto il successo, e per suggerimento dell’editore, si era preoccupato meno del testo originale e più del gusto dei salotti francesi dell’epoca. Aveva cominciato a esaltare i momenti più esotici del racconto, tralasciando gli altri. L’esotismo era evidentemente un modo per far entrare nelle case borghesi l’erotismo. Finì per creare un prodotto che rispondeva soprattutto ai cliché che l’Occidente si faceva dell’oriente. Un cliché durato per trecento anni.
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03/02/2007
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