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Elogio di Halloween, amata dai bambini e massacrata dai grandi

Fermo | In decine di testate, hanno imperversato commenti e giudizi impietosi, su una festa trattata come un pericolo sociale; una riflessione

di Pierpaolo Pierleoni


La settimana appena trascorsa è stata quella di Ognissanti. Di Ognissanti e di Halloween. Una festa, quest’ultima, che ha subito in questi giorni un polverone mediatico di biasimo e riprovazione a dosi massicce su testate d’informazione nazionali e locali. Giù fiumi di parole per Halloween la festa pagana, Halloween la festa della morte, Halloween che scimmiotta l’America, Halloween che irride i defunti, Halloween trionfo di una società senza valori, Halloween assassina di tradizioni nostrane, Halloween mostro commerciale, Halloween istigatrice di violenza.

Su quest’ultimo punto, in particolare, si è letto e sentito di tutto e di troppo. Si è parlato di notte della morte, in alcuni giornali, adducendo l’esempio di uno sfortunato bambino morto carbonizzato in un camper, dopo che una zucca, con al suo interno una candela, aveva preso fuoco dando il la ad un terribile incendio. Come se una zucca fosse diversa da una valvola del gas distrattamente rimasta aperta, che fa saltare in aria un palazzo, o dalle miriadi di incidenti domestici, imprevedibili e purtroppo talvolta tragici. E che festa assassina, questa Halloween dove a Bari un malvivente sfrutta il clima goliardico per mascherarsi da scheletro e rapinare un bar uccidendo un uomo. Come se fosse colpa di una festa, come se il bel capoluogo pugliese non fosse una delle città più violente e fuorilegge d’Europa, come se morti e sparatorie e rapine non fossero cronaca di ogni giorno.

Anche a livello locale la tesi di 31 ottobre maledetto ha trovato spazio. Complice un rituale ingenuo, pseudo-esoterico, tra adolescenti, terminato in un grande spavento ed in un malore. Via allora a reazioni preoccupate e/o scandalizzate, largo spazio al parere di esperti in cerca di una ricetta per la salvezza dei giovani da modelli scorretti e devianti. Insomma, si è un po’ esagerato. Anche perché, insieme a quello sull’emergenza sociale, si è presto affiancato un dibattito più elevato, sui valori delle nostre tradizioni, su una cultura che rischia di perdersi, su un’identità in pericolo, su una società che invece di rispettare ciò che suo, si fa contenitore vuoto di usanze prive di significato. Il rischio? Perdita della propria dimensione, abbandono del tributo ai defunti in cambio di una festa stupida e grottesca. Un po’ tutti i giornali nazionali hanno affrontato l’argomento.

Mah. Attingendo alle esperienze personali, ricordo la prima volta che, allora adolescente, festeggiai Halloween. 31 ottobre 1996, festa in maschera in campagna a casa di un amico. Capelli lunghi e abiti neri, mi vestii da Eric Draven, protagonista de Il Corvo, film culto di quegli anni, forse l’ultima maschera efficace ideata dal cinema. Con dovizia di particolari, con tanto di trucco agli occhi e cerone bianco. Fu una bella serata, una delle prime tirate fino a tardi. Erano gli anni in cui Halloween irrompeva nel costume italiano. Serata che nulla tolse alle celebrazioni per i Santi ed i Morti. Che nulla sottrasse, allora come negli anni a seguire in cui ho continuato a divertirmi ad Halloween, ad un momento di sentito, commosso ricordo di chi, parenti, conoscenti o amici, aveva abbandonato questo mondo lasciandovi un vuoto. Allo stesso modo in cui un Babbo Natale o uno scambio di doni nulla tolgono al profondo significato religioso e salvifico, per chi crede, rappresentato dalla nascita di Gesù.

Halloween non è certo una celebrazione dai profondi significati, non v’è dubbio, ma questa è forse proprio una ragione in più per evitare di darle un peso sociologico e culturale che non ha. E’ una festa, almeno da noi, senza radici, senza contenuti. Una festa del popolo giovane, dei bambini che si dilettano nella ormai celebre frase “Dolcetto o scherzetto?” e dei ragazzi che riempiono locali e discoteche in quella serata. Nulla di più. Questo è il punto. Né un giocare con la morte, né un irriderla, ne un abbandono dei propri valori. Un gioco, un divertimento, fine a sé stesso come la gran parte delle azioni che quotidianamente ciascuno compie, come qualsiasi altro svago.

Un valido intellettuale come Marcello Veneziani l’ha definita addirittura una festa razzista, perché destinata solo a chi ha meno di 40 anni. A questo punto diventerebbe razzista anche una gita a Gardaland, il che suona quanto meno grottesco. E’ una festa squisitamente, brutalmente commerciale, certo. Ma in quale ricca compagnia si trova, in che massa di San Valentino e festa delle donne e della mamma e dei papà, di Natale sempre più fatto di alberi illuminati e meno di Betlemme, di Pasqua sempre più uova e meno Resurrezione.

Martedì pomeriggio a Fermo centinaia di bambini più o meno piccoli correvano infaticabili, facendo razzia di dolciumi nei negozi del centro, vestiti in abiti e maschere inquietanti. Seguivano con curiosità le iniziative loro proposte, si sedevano intorno ad una strega per ascoltare racconti paurosi, sempre accompagnati dai loro familiari. In quelle centinaia di bambini, non c’era nulla di pericoloso, nulla di deviante, nessun attentato ai nostri valori. C’era una generazione sempre meno abituata a stare insieme, che per una volta preferisce ad una Playstation un divertimento di gruppo. In quei bambini che correvano per il centro di Fermo, come in tante altre città, c’era in fondo un calcio alla solitudine, in un periodo in cui l’isolamento dei più piccoli è un fenomeno sempre più frequente, ed un pericolo certo peggiore di una frivola festa senza grossi contenuti.

05/11/2006





        
  



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