Piano Strategico di Fabriano
| L'intervento del presidente della comunità montana, Fabrizio Giuliani
Presidente, Sabato 30 settembre 2006 si è tenuto il secondo forum pubblico sul piano strategico di Fabriano, qual è stato e quale sarà il ruolo della Comunità Montana?
Innanzitutto vorrei ricordare che il finanziamento ministeriale è stato concesso per la redazione del piano strategico del territorio, ovvero di “Fabriano e comuni contermini”, e credo che il titolo dato, “le idee per il territorio”, sia il più appropriato. Chiunque, ancora oggi predichi e/o pratichi l’isolazionismo, è semplicemente fuori del tempo. Per quanto ci riguarda, non avendo ricevuto nessun tipo di invito ufficiale a contribuire, come sempre stiamo lavorando nel silenzio, in punta di piedi, partecipando, con amministratori e funzionari, alle iniziative pubbliche rivolte alla generalità dei cittadini.
Piccola polemica con il Comune?
Assolutamente no! E’ semplicemente il racconto di quanto è avvenuto. Spero che nel futuro ci sia la possibilità di confronti più diretti tra le pubbliche amministrazioni (Comuni, Comunità Montana, Provincia, Regione)
Ma quale sarà il contributo che potreste dare come Istituzione?
La Comunità Montana deve garantire la tutela e la valorizzazione del patrimonio paesaggistico e delle biodiversità del suolo montano; la garanzia di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle popolazioni montane; la leale collaborazione, concertazione e partecipazione tra i diversi livelli Istituzionali.
In queste direzioni noi potremo dare un contributo specifico, tenendo presente che dal punto di vista Istituzionale non ho mai inteso la CM come un livello sovraordinato ai Comuni che la compongono, bensì come il livello ottimale di gestione dei servizi e di rappresentanza dei sistemi territoriali montani. Per questo non esistono Comuni “in minoranza” ma vi è il rispetto di ognuno, nella consapevolezza che solo il rispetto dell’autonomia dei Comuni e la loro partecipazione attiva possano far conquistare alla CM il ruolo che le compete, al fine di promuovere l’autogoverno locale e lo spostamento del potere dal centro alla periferia, dalle città al territorio rurale e montano.
Nel passato le è stato rimproverato di essere un “irriducibile del piccolo è bello”, è rimasto della stessa opinione?
“Piccolo è grande” (e non bello!) non è uno slogan, un sogno, un utopia, ma una realtà che deve essere solo scoperta e consacrata. I nostri distretti industriali, studiati e invidiati da varie parti del mondo, non sarebbero mai nati se non avessimo avuto questo tessuto di numerose piccole comunità, in competizione tra loro ma capaci di cooperare, in virtù di una particolare congiuntura di condizioni favorevoli: coesione, fiducia e controllo sociale da un lato, competizione virtuosa e reciproca, spinta all’emulazione dall’altro. Abbiamo un tessuto di piccoli imprenditori che devono tendersi ad allearsi per creare una sinergia, senza la quale non avrebbero nessuna forza competitiva, soprattutto oggi che c’è bisogno di ingenti capitali e nuove capacità organizzative, soprattutto per esportare i propri prodotti all’estero.
Per stringere alleanze e organizzarsi in un sistema a rete è importante che ci siano imprese di maggiori dimensioni a fare dei punti di riferimento. Se all’interno di un sistema ridotto è più facile tentare nuove forme d’investimento e d’impresa perché non c’è il peso delle rigidità tipiche delle grandi organizzazioni, allo stesso tempo ci vuole una nuova preparazione culturale oltre a una motivazione ad agire che non tutti hanno. In tal senso rivestono un ruolo importantissimo nel sostenere la cultura della rete le associazioni tra imprese e le altre associazioni di categoria.
Non le sembra una idea un po’ retrò?
Ripeto, “Piccolo è grande” non è uno slogan, un sogno, un utopia,, ma una realtà che deve essere solo scoperta e consacrata. Poiché se è vero che la città è ancora il vero luogo d’incontro dove persone di ogni provenienza portano culture e stili di vita diversi, le piccole comunità offrono una più facile conoscenza fra tutti i membri favorendo i rapporti fiduciari. Ma bisogna evitare l’atteggiamento conformista e avviare l’avvento di un modo di vivere segnato da un organizzazione sociale flessibile. Flessibilità come capacità di cambiamento e d’adattamento, con una minore prevedibilità per ciò che accadrà.
Dunque tutto chiaro. Nessun punto interrogativo?
Un punto interrogativo sul futuro riguarda le dinamiche demografiche, con un tasso di crescita notevolmente basso, con una netta preferenza dei giovani a trasferirsi nei centri maggiori. I piccoli centri si svuotano dei più giovani per popolarsi invece di persone che hanno raggiunto la maturità del loro cammino. Diventano allora ottimi luoghi per riposare, con una gradevole qualità della vita, ma perdono la caratteristica di centri dinamici per la vita economica. Sono dati generali, che andrebbero disaggregati per ogni realtà, ma è evidente che l’unica differenza è tra chi la sfida l’affronta oggi e chi dovrà farlo nel prossimo futuro. E dunque appare utile, oltre che necessario affrontare con serietà e serenità la questione relativa all’integrazione.
Ma quale ritiene possa essere “la ricetta” per le difficoltà economiche del nostro comprensorio?
Correggere il modello di sviluppo. La risposta è nell’alta tecnologia, nella ricerca. Focalizzare su produzione in cui ci vuole cervello più che manodopera. Realizzare infrastrutture fondamentali (materiali e immateriali).
Nell’era della tecnologia sovrana, il fattore critico di successo non è più la differenza fra l’avere e il non avere, bensì fra il sapere e il non sapere; poiché la conoscenza è, al pari di altri beni tangibili, ad alto rischio di obsolescenza, il saper apprendere e la propensione al cambiamento diventano ancora più importante del “sapere”, della conoscenza e/o della competenza specialistica e/o del saper far bene il proprio lavoro.
Aprire nuove strade, cultura e turismo, con convinzione, competenza e decisione.
Ma per fare tutto questo c’è bisogno di una classe dirigente.
Cosa vuol dire?
Che sarebbe un errore affrontare i problemi della nostra economia come si sta facendo. Per rilanciarla serve una classe dirigente unita. E invece le baruffe danno la sensazione di una classe dirigente che è più impegnata a spartirsi i resti che non a ridare slancio all’economia. Ci attende un compito veramente impegnativo e se non siamo uniti rischiamo di non farcela.
E quale contributo Lei intende dare?
Io sono convinto che la politica abbia bisogno, per essere praticata, nel momento della costituzione delle decisioni e dell’attuazione delle medesime, di una classe politica, ossia di donne e uomini che sono portatori di una professionalità che non può essere sostituita né dalla ricchezza, né dalla notorietà mediatica e neppure dalla improvvisazione volontaristica.
Ho un senso alto della politica, la vivo con spirito di servizio ed umiltà, con dedizione, con grande amore per la terra e la comunità un cui viviamo, con un profondo rispetto per la cosa pubblica, con la consapevolezza che nulla sia impossibile se lo si vuole veramente. Convinto che le battaglie giuste siano quelle doverose e non quelle convenienti, perché ciò che è giusto è anche conveniente.
La politica è chiamata a ritrovare la capacità di dare identità, di aiutare le persone a comprendere le vie del cambiamento e di migliorare la qualità della vita.
In definitiva quale scelta si deve fare?
La vera scelta non è tra essere fedeli ai valori o tradirli, ma tra avere il coraggio di cambiare o rinchiudersi nel conforto della propria identità.
I valori non possono essere cambiati, le politiche si.
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02/10/2006
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