Il Supercarcere di Ascoli Piceno in un libro
Ascoli Piceno | Gli autori Ismaela Evangelista e Davide Castelletti, hanno presentato linteressante testo che vuole essere uno strumento utile per combattere la convinzione che il carcere sia qualcosa che non esiste se non separato da tutta la società.
di Paride Travaglini
Lunedì 11 settembre presso la Sala della Ragione del Palazzo dei Capitani, in Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno, è stato presentato il libro sulla Casa Circondariale di Marino del Tronto: Il “Supercarcere” di Ascoli Piceno, edizioni Librati, scritto dalla Dott.ssa Ismaela Evangelista e Davide Alfredo Castelletti, rispettivamente psicologo e laureando in psicologia che hanno svolto il tirocinio nel penitenziario ascolano.
Presenti Sua Eccellenza il Prefetto, il Sindaco di Ascoli Piceno, tutte le alte Autorità civili e militari della città oltre a quelle dello staff penitenziario dell’istituto ascolano.
La provincia ascolana percepisce la presenza sulle sue terre di un Supercarcere? Sa qual è la vita di un recluso una volta entrato? Sa del sovraffollamento, della situazione sanitaria, della Legge Gozzini? Conosce il fenomeno degli immigrati e dei tossicodipendenti (che sono la popolazione oggigiorno più numerosa nei penitenziari italiani ed anche in quello protagonista del presente lavoro) e ha mai pensato alla professione svolta dagli agenti di Polizia Penitenziaria, all’autolesionismo e ai suicidi dei detenuti? Si è mai chiesta cosa si mangia in carcere, cosa fa il detenuto durante la giornata, come riesce a stare lontano dalla propria famiglia e a sopportare la restrizione della libertà?”. Queste solamente alcune delle domande che si sono posti gli autori nel redigere il libro.
“Il nostro è un testo pensato e concretizzato – riferiscono all’unisono Ismaela e Davide - per combattere la convinzione che il carcere sia un mondo a parte, un “non luogo”, qualcosa che non esiste se non separato da tutta la società, sebbene sia e sia sempre stato lo specchio di essa.
Questo lo “slogan” che ha accompagnato la stesura. Abbiamo optato per un linguaggio non tecnico, affinché questo sia un testo di facile lettura non solo per gli “addetti ai lavori” ma anche per tutti coloro che vogliono interessarsi alla conoscenza di questo mondo che il più delle volte fa parlare di sé solo quando è causa di notizie stravaganti e/o stravolgenti.
Nel nostro testo sono presenti interviste agli operatori penitenziari, compresi Direttore, rappresentanti del Corpo di Polizia Penitenziaria ed anche la testimonianza di un detenuto. Abbiamo ulteriormente inserito le impressioni degli studenti del Va e Vb del Liceo della Comunicazione “Tecla Relucenti” di Ascoli Piceno, in merito al progetto “una mattina in carcere”.
Il giusto spazio è stato dato al trattamento detentivo intramurario, ma soprattutto abbiamo ritenuto importante dedicare ampia parte del trattato a coloro che all’interno della Casa Circondariale di Marino del Tronto vivono e sopravvivono, i detenuti, analizzando dettagliatamente cosa comporta nello specifico la detenzione e non tralasciando le difficoltà legate ad una serie di stigmatizzazioni sociali (difficoltà nel trovare un lavoro, privazione degli affetti, esclusione, emarginazione) che possono colpirli una volta usciti dopo aver pagato il loro debito con la società: una sorta di ulteriore punizione che necessita attenzione da parte di tutti.
Altro punto fermo del nostro testo è stato considerare da vicino la professione degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in rapporto costante con la popolazione detenuta, una convivenza forzata e non spontanea che determina un profondo divario interpersonale. I compiti degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria spaziano da una dovuta autorevole durezza (che possa permettere l’ordine e la sicurezza) ad un’altrettanta dovuta sensibilità (che possa permettere la loro partecipazione alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti). Non si dirà mai a sufficienza della necessità e dell’importanza dei programmi formativi di aggiornamento nei confronti degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, esposti al rischio della sindrome del “burnout”, un particolare tipo di risposta ad una situazione di lavoro sentita come intollerabile che porta a sentirsi “logorati”, “bruciati”, “sfiniti”.
Ci preme puntualizzare – concludono – inoltre che è stato realmente difficoltoso ottenere le numerose preventive autorizzazioni per la realizzazione di questo testo, che abbiamo creduto in tale progetto a tal punto da auto-finanziare interamente le spese di edizione. Siamo fiduciosi di un interessamento da parte degli Enti rispetto alla sua diffusione”.
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13/09/2006
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