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Meno deputati e Senato delle Regioni

| Ecco come sarà l’Italia federalista; lo Stato continuerà ad avere prerogative generali su Sicurezza, Scuola e Sanità.

di coordinamento FI Teramo

Il 25 e 26 giugno gli italiani sono chiamati alle urne per confermare la Riforma della seconda parte della Costituzione approvata dalla Casa delle libertà. Si tratta di un appuntamento molto importante per il futuro della Nazione.

La Riforma è consentita dall’art. 138 della Costituzione, il quale chiede che una Legge costituzionale così rilevante sia approvata due volte, da entrambe le Camere, con successiva consultazione popolare. Con la vittoria del SI al Referendum costituzionale, la Riforma entrerà in vigore in tre tappe entro il 2016 e comincerà a trovare applicazione dall’anno 2011.

La Riforma approvata è quella Istituzionale, distinta dalla più generale riforma fiscale che ancora deve essere completata. La logica di base è che la riduzione dei compiti dello Stato centrale libererà risorse a favore delle Regioni che saranno però responsabili del loro uso.

Il federalismo istituzionale non implica un aumento delle imposte, ma una loro redistribuzione. In ogni caso, vale il principio della solidarietà interregionale, tanto più che certi progetti non possono che essere tra Regioni (autostrade, acquedotti, dighe, centrali elettriche, in generale le grandi opere). E’ in questi casi che scatta il principio dell’interesse nazionale.

La Riforma costituzionale inciderà profondamente sulla forma di Stato, con il passaggio allo Stato federale (devoluzione), e sulla forma di governo, con il rafforzamento dei poteri del governo e del premier (premierato). Si tratta di una Riforma organica che corregge gli squilibri creati dalla parziale riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centrosinistra alla fine della XIII legislatura e che ha moltiplicato i conflitti tra Stato e Regioni sui quali decide la Corte costituzionale.

Il passaggio al federalismo è una necessità conseguente alla globalizzazione, alla fine della Guerra fredda, all’avanzamento del processo di integrazione europea che ha ridotto i poteri dello Stato centrale e ha valorizzato le strutture territoriali all’interno degli Stati. L’aumento dei poteri del governo era una esigenza già affrontata dai precedenti tentativi di riforma costituzionale con la Commissione Bozzi (1983), con la Commissione De Mita-Iotti (1993) e con la Commissione bicamerale presieduta da D’Alema (1997). Con questa Riforma, le istituzioni italiane saranno ora più simili a quelle dei Paesi democratici più avanzati.

La Riforma di 55 articoli della Costituzione riguarda principalmente la devoluzione, la fine del bicameralismo perfetto, il premierato, modifiche alle funzioni del capo dello Stato, il nuovo meccanismo di elezione della Corte costituzionale.
«Devoluzione» significa che alle Regioni è attribuita una competenza legislativa esclusiva sulle materie che queste possono gestire meglio dal punto di vista organizzativo e finanziario.

Le Regioni quindi emaneranno leggi relativamente a Sanità, Scuola e polizia amministrativa e locale, tenendo in considerazione le necessità dei cittadini che ricevono materialmente tali servizi.
Il federalismo del centrosinistra ha generato, invece, un sovraccarico di competenze agli enti locali, senza un’adeguata copertura finanziaria, e un’accresciuta conflittualità tra Stato e Regioni.
I dissesti causati da questa riforma zoppicante, hanno fatto aumentare la spesa locale del 2-4% e quindi anche la pressione fiscale locale.

La devoluzione approvata dalla Casa delle libertà, precisando il numero delle competenze delle Regioni, limita la duplicazione dei costi tra Stato ed enti locali, garantendo una maggiore trasparenza e una gestione più coerente del denaro pubblico. Il principio di sussidiarietà, inoltre, evita i contenziosi e quindi fa risparmiare tempo e denaro.

Perché la devoluzione? Per riparare i guasti della precedente riforma, garantendo un assetto federale moderno e solidale. Moderno, perché il modello federale promuove una migliore gestione organizzativa e finanziaria, come dimostrano tutti i paesi a struttura federale, che vantano uno sviluppo e una crescita più solidi. Solidale, perché il trasferimento del potere decisionale ai livelli più bassi fa sì che nelle materie legate alle specificità territoriali siano a legiferare le istituzioni più vicine ai cittadini.

La Riforma tutela l’unità nazionale garantendo al governo il potere di bloccare le leggi regionali che ritiene vadano contro l’interesse nazionale. L’unità nazionale esce rafforzata dal riconoscimento delle identità regionali quali componenti complementari e fondanti dello Stato nazionale. Nella Costituzione attualmente in vigore non è presente il concetto di «interesse nazionale», che nella nuova formulazione appare per ben tre volte.

La devoluzione non discrimina le prestazioni tra residenti di diverse Regioni e non impedisce che un cittadino non possa curarsi fuori dalla propria. Perché entrano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini e la prerogativa dello Stato nell’assicurare la prevalenza dell’interesse nazionale. Lo Stato continuerà ad assicurare la salute per tutti, come dice la Costituzione.

Le Regioni potranno legiferare in maniera esclusiva sull’organizzazione ospedaliera e sull’assistenza sanitaria. Autonomia non significa anarchia ma gestione più razionale del sistema sanitario locale. Secondo il Censis, il 56,3% degli italiani si dichiara a favore di una sanità regionalizzata che potrà essere più attenta ad esigenze locali.

Non ci saranno 20 programmi scolastici per 20 regioni, come dice la sinistra. No. Lo Stato assicura l’omogeneità degli studi, mentre le Regioni avranno competenza legislativa sull'organizzazione degli istituti scolastici in base alle esigenze della popolazione del territorio.

La scuola sarà più attenta alla cultura regionale che forma il patrimonio straordinario dell’Italia, integrando - e non sostituendo - i programmi nazionali con moduli di insegnamento specifici, preservando in questo modo la lingua e le tradizioni delle singole Regioni.

La Riforma non mette in discussione la competenza statale sulla pubblica sicurezza, ma la integra introducendo il concetto di sicurezza urbana e di sicurezza del territorio. All’agente di polizia locale, al vigile urbano, non verrà assegnato solo il compito di elevare multe, ma potrà partecipare pienamente a garantire la sicurezza dei cittadini, dando risposte immediate soprattutto in Regioni con alto tasso di criminalità o di criminalità organizzata.

L'Italia non sarà spaccata a metà. Secondo la sinistra, la devoluzione acuirà il divario economico e sociale tra Nord e Sud, lasciando a se stesse le regioni svantaggiate. Mentre fino ad oggi lo Stato centrale non è riuscito a colmare questo divario, la devoluzione sarà la risposta adeguata e innovativa. Essa infatti significa autogoverno, capacità di gestire autonomamente e con cognizione di causa il territorio, restituendo al Sud pari dignità e responsabilizzando direttamente i suoi dirigenti.

L’iter delle leggi sarà diverso a seconda delle materie trattate. Per la materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato, la Camera discute e approva le leggi. Il Senato ha 30 giorni di tempo per proporre modifiche. Sarà comunque la Camera a decidere in via definitiva. Per le «materie concorrenti», di competenza sia dello Stato centrale sia delle Regioni, la competenza legislativa primaria spetta al Senato che discute e approva le leggi. Per le materie di competenza esclusiva delle Regioni, saranno queste a discutere e approvare le leggi. Se il governo ritiene che una legge pregiudichi l’interesse nazionale, può bloccarla. Deciderà poi il Parlamento in seduta comune.

Si rafforzano la legittimazione popolare e i poteri del primo ministro, nonché il bipolarismo perché il Primo Ministro sarà la persona indicata dal partito o dalla coalizione che ha vinto le elezioni. Di conseguenza, l’insediamento del Primo Ministro non richiederà più il voto di fiducia della Camera e rispetterà l’indicazione degli elettori, riducendo il ruolo dei partiti. Il premier potrà infine nominare e revocare i ministri.

La Corte costituzionale sarà sempre composta da 15 giudici, ma saliranno da 5 a 7 quelli nominati dal Parlamento: 4 nominati dal Senato federale e 3 dalla Camera dei deputati: il capo dello Stato e le supreme magistrature ne indicheranno 4 ciascuno. Per i tre anni successivi alla scadenza dell’incarico, i giudici costituzionali non potranno far parte del governo o del Parlamento, né ricoprire incarichi di nomina governativa.

Una parola sulla cosiddetta «fine del bicameralismo perfetto». Attualmente, Camera e Senato sono l’uno il doppione dell’altro, in quanto hanno gli stessi poteri e competenze.
Nel momento in cui fu istituito, dopo il ventennio fascista, il bicameralismo perfetto costituiva una garanzia di «ripensamento». Oggi tale sistema risulta anacronistico e la diversificazione delle competenze risponde alle esigenze sia del federalismo sia di snellimento dell’iter legislativo.

07/06/2006





        
  



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