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Assistenza domiciliare oncologica: un sistema che pesa ancora troppo sulle famiglie, dove esiste

| ROMA - Crescono i costi per badanti, infermieri e farmaci. Il secondo rapporto annuale di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato

Un servizio che dove esiste rappresenta una importante realtà per le famiglie, anche se queste ultime devono il più delle volte sostenere un ulteriore peso, oltre a quello della malattia, costituito da costi per l’assistenza, per i farmaci e scarsa assistenza psicologica.

Una fotografia con molti chiaroscuri quella che emerge dal secondo rapporto annuale sull’Assistenza domiciliare oncologica realizzato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, presentato oggi a Roma.

Anzitutto, va detto che non esistono dati ufficiali circa la diffusione dell’Ado sul territorio, se non che essa sia ancora poco diffusa. Inoltre, il sistema si appoggia ancora troppo sull’impegno delle famiglie o, comunque, di qualcuno che si prenda cura del malato nella fase terminale, al di là di quanto messo a disposizione dal Ssn. In poco meno di un terzo delle situazioni sono i coniugi a farsi carico della presa in carico effettiva, in poco meno della metà dei casi sono i figli a svolgere questo ruolo, ma c’è anche un 11% che ricorre all’aiuto di altri parenti, più lontani. Su situazioni gravi come quelle che richiedono l’assistenza domiciliare integrata aleggia, spesso, lo spettro della solitudine. Poco più del 40% dei soggetti vive con due o più familiari, più di 1/3 vive con un solo familiare, il 5% vive completamente solo, il 3% ricorre, potendoselo permettere, ad una badante.

I tempi di attesa per l’attivazione del servizio, laddove questo esiste e si riesce ad essere informati del suo funzionamento, sono relativamente brevi (nel 91% delle Asl monitorate è garantito entro una settimana), e nell’8% delle situazioni si aspetta ancora 15 giorni o più. Ma ciò che condiziona effettivamente la fruibilità del servizio è la capacità di mettere a disposizione dei cittadini e dei loro familiari, in tempi rapidi, tutti i farmaci, i presidi e gli ausili necessari. Per materassi antidecubuito, letti articolati, carrozzine, sollevatori, cateteri, sacche per stomie, pannoloni e persino farmaci si può attendere anche più di 30 giorni.

L’équipe assistenziale risulta composta, ancora oggi, per lo più da medico di medicina generale e infermiere professionale. Poco presenti assistenti sociali e operatori socio-sanitari (16%), psicologi e fisioterapisti (solo 8%), nutrizionisti (4%).

I cittadini valutano positivamente reperibilità e disponibilità di infermieri e medici di famiglia, anche se per questi ultimi si registra il 15% di giudizi di insufficienza rispetto alla presenza al domicilio, mentre l’infermiere si conferma, anche quest’anno, la figura più gradita.

Si fa ancora poca assistenza psicologica per pazienti e familiari (solo nel 14% delle realtà monitorate), affidandola a psicologi professionisti in poco più della metà dei casi (53%), per il resto ci si arrangia con infermieri (16%), familiari impegnati in gruppi di auto mutuo aiuto (10%), medici specialisti (9%), volontari (2%).

La presenza di posti letto in strutture di tipo hospice, che dovrebbero essere parte di un piano integrato di assistenza, resta una nota dolente, ed è ancora talmente esigua da non poter essere considerata una possibilità concreta a disposizione di cittadini ed équipe assistenziali.

Nella gran parte delle aziende monitorate (91%) sono previste misure di terapia del dolore all’interno dei piani assistenziali e la presenza di un medico esperto in terapia del dolore. Ma l’8% dei cittadini lamenta ancora difficoltà nell’accesso ai farmaci oppioidi a causa della indisponibilità del ricettario da parte del medico prescrittore (27%), per errori nella compilazione della ricetta (20%) o per indisponibilità del farmaco in farmacia (53%), e solo nel 54% delle realtà monitorate l’équipe ha, al suo interno, un componente che si informa regolarmente sulla persistenza o meno del dolore.

Cresce la necessità di ricorrere a forme di integrazione a proprie spese delle prestazioni offerte dal servizio (segnalata dal 43% degli intervistati). La voce di spesa più significativa è rappresentata dai farmaci (63%), con costi superiori a 100 euro mensili (26%), sino a toccare picchi di 500 euro mensili. Il 10% dei cittadini dichiara di essere stato costretto ad acquistare attrezzature medicali, ma le spese più corpose riguardano le prestazioni di figure professionali: per una badante (nel 38% dei casi, sino ad un massimo di 2.000 euro mensili), per un infermiere professionale (nel 10%, sino a 2.600 euro mensili), per un fisioterapista (3%), per uno psicologo (1%). Non irrilevanti anche i costi per altre voci (sino a 100 euro al mese per spese telefoniche, sino a 400 per spostamenti, sino a 750 per consumi energetici).

Cosa fare allora?

Anzitutto considerare l’Ado come parte integrante del percorso assistenziale. Non è accettabile infatti curare la fase acuta della malattia, lasciando poi alle possibilità dei singoli l’assistenza successiva, una volta dimessi dall’ospedale.

In secondo luogo, ,’assistenza oncologica nella fase terminale della vita è parte integrante dei Lea, e come tale va garantita su tutto il territorio nazionale.

Assumere come prioritaria la richiesta di maggiore qualità e continuità della assistenza oncologica nelle fasi terminali. Ciò rinvia alla necessità di concentrare l’attenzione sui requisiti essenziali dei servizi di assistenza domiciliare in ambito oncologico ma anche alla capacità del sistema di prendere in carico completamente il cittadino e di garantirgli interventi assistenziali efficaci in una logica di rete. Un modo concreto, forse l’unico, per rendere sostenibile questa sfida, utilizzando al meglio tutte le risorse e le sinergie disponibili.

Ripensare la composizione delle équipe assistenziali garantendo la presenza effettiva, sul campo, di tutti gli operatori considerati necessari. C’è una richiesta crescente, e ormai ineludibile, di attenzione alla qualità della vita che passa, certamente, per una adeguata terapia del dolore ma anche attraverso una buona assistenza psicologica e la capacità di intervenire in contesti problematici, per esempio quelli nei quali il paziente affronta una condizione di solitudine. Tutto ciò non può più essere considerato qualcosa di opzionale e meno rilevante rispetto a farmaci, presidi ed ausili ma deve essere, a tutti gli effetti, parte integrante e strutturale del percorso socio-sanitario garantito al cittadino e ai suoi familiari.

Considerare irrinunciabili e urgenti, anche su questo terreno, gli interventi per il riequilibrio del ritardo delle regioni del Sud rispetto al resto del Paese. Sappiamo bene che questo gap infrastrutturale ed organizzativo non riguarda solo questo ambito particolare della assistenza, e siamo consapevoli che anche nelle regioni meridionali sono presenti buone pratiche ed esperienze di successo, che meriterebbero una maggiore attenzione, ma che purtroppo, al momento, non fanno sistema. Ma l’area oncologica rappresenta una delle aree di maggiore debolezza della assistenza nelle regioni meridionali e ciò rende la necessità di intervenire su di essa ancora più urgente e irrinunciabile.

16/02/2006





        
  



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