Inter...che passione!
San Benedetto del Tronto | La grande Inter degli anni Sessanta mi piacque molto...
di Renato Novelli
Sono interista dal lontano 1957, anno in cui, se non ricordo male il portiere della Samb promossa in B, Matteucci passò dal Ballarin a San Siro con la maglia grigio chiaro dei portieri dell’Inter. Finì la sua carriera, credo, nella Roma, ma aveva determinato la mia scelta in modo irreparabile. La grande Inter degli anni Sessanta mi piacque molto. Era una squadra che faceva soffrire, ma vinceva e forse era il vero simbolo della maggioranza degli italiani in quei lontani anni: il paese era in espansione, l’economia cresceva e molti lavoratori risparmiavano, cambiavano le loro vite, andando dalla campagna nelle città. Subivano molto da un sistema sociale chiuso che non corrispondeva più alla dinamica della realtà culturale del paese.
Tutti erano umiliati da quelle che allora si chiamavano le “bustarelle” che noi post italiani cittadini di un paese in pieno declino, chiamiamo tangenti con una preferenza per il contenuto sul contenitore ( e anche questa scelta linguistica non è senza significato). Tutti facevano vita grama, ma dalle Alpi a Palermo, ma la vita cambiava a ritmi vertiginosi. L’Inter fortissima, ma sempre difensiva, vinceva in contro piede, ogni volta apparentemente debole, subiva gli assalti e infilzava gli assalitori. Era il simbolo di quel popolo che negli stadi non si metteva più la giacca e la cravatta. I tifosi furono i primi descamisados d’Europa. Prima, giacca o vestito era d’obbligo per ogni occasione pubblica. Per molti anni, in seguito, l’Inter vinse poco.
Siamo stati nelle catacombe come cristiani mentre il Milan diventava il simbolo del potere (pre politico e corporativo) berlusconiano, abbiamo subito delusioni. I giocatori che se ne vanno ad altre squadre sembrano rinascere. Eppure anche in questa specie di malasorte, di fato sventurato, ha una sua simpatica grandezza. Alzi la mano chi ricorda dalla scuola Aiace Telamonio o Nestore il saggio o Menelao. Tutti tornati a casa vincitori, ma resi anonimi dal loro destino molto comune. Alzi la mano, chi non conosce Ulisse. Bello di fama e di sventura, dice Foscolo.
E’ proprio il suo destino amaro ad averlo reso la figura chiave dell’intera cultura occidentale. Un mito che resiste da 3000 anni. Era già una figura mitica per Giulio Cesare fanciullo, lo fu per Giulio II Papa Della Rovere, per Rousseau, per James Joice, per l’indimenticabile attrice Louise Brooks, per il grande navigatore solitario Bernard Moitessier. Perciò dalle avversità dell’Inter, non mi faccio abbattere. Anzi…
Ma della curva mi vergogno. Non perché la natura dei gruppi di coristi sia diversa da quella dei coristi di altre squadre, ma perché quella stessa natura violenta e sciocca nel tifosi dell’Inter è solo più perversa, esplode all’improvviso, come un rombo di un cannone sfondato. Ho cercato questa mattina sui giornali una dichiarazione qualsiasi dell’illustre tifoso La Russa.
Qualche tempo fa aveva detto che avrebbe organizzato una manifestazione contro Moratti perché l’Inter aveva giocato una partita a porte chiuse con il Venezuela il cui presidente è in odore di sinistra come gli inquisitori erano in odore di santità. Aveva detto sempre La Russa che nel passato lui andava alla stadio in gruppo, cantando Faccetta nera. Altri tempi.
Quelli come me ci andavano o guardavano le partite in TV pensando al primo Jannacci che cantava “Giovanni telegrafista e niente più oppure Lina o ancora El purtava e scarp de tennis”, perché l’Inter rappresentava la riscossa simbolica di molti poveri e meno poveri cristi sotto il cielo di Lombardia. Capaci, noi allora, anche di seguire il Moratti senior quando favorì la crescita del mitico Cagliari di Gigi Riva, (che rimane, credo, l’unico attaccante che abbia sfondato la rete della porta con un tiro). Tradimmo l’Inter in molti, allora. Ma si sa, Faccetta Nera era di ben altro spessore ed è difficile scherzare sui canti che hanno accompagnato i soldati in guerra coloniali.
La Russa viene da lontano ed ha gli eredi che si merita. L’Internazionale Ambrosiana intesa come società, può solo liberarsi di questa eredità e rivendicare la concezione scritta nel nome Internazionale. Oppure sciogliere se stessa. Perché Ulisse rimase stregato dalla ninfa Calypso e modestamente, se vogliamo anche noi essere belli di sventura, cerchiamo di trovare una malia equivalente, lasciando che il vento si porti via questa scialuppa di folli che fa finta di navigare con noi. La Russa venga legato all’albero del loro natante e ascolti il canto delle sirene. Potrebbe anche rinsavire.
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28/11/2005
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