Quando il Papa ha baciato il Corano
| "Un instancabile operatore di pace tra incomprensioni e gesti profetici".
di Giancarlo Padula
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi
" In queste parole dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 14, versetto 27, si capisce chiaramente che la pace, la vera pace l'uomo la può trovare solo in Gesù Cristo. La pace come individuo, come essere creato. Gesù Cristo è la pienezza del Padre, è la Parola di Dio che si è fatta carne, che ha assunto su di sé tutti i peccati degli uomini, del mondo.
Egli ha ricapitolato in sé tutte le cose. Quelle parole Gesù le rivolge agli apostoli, prima di ritornare al Padre, dopo aver sofferto la tremenda Passione, la Crocifissione, la morte, ed essere quindi risuscitato dalla potenza dello Spirito Santo. Primogenito di coloro che risuscitano dai morti. L'uomo senza Cristo non troverà mai la vera pace, per quanto si sforzerà di cercarla.
Anzi, man mano che ci si allontana dalla verità che è Cristo, sostituendola con altre presunte verità, man mano che ci si allontana dalla Sua Parola, la menzogna si fa strada ed altre parole, altri pensieri, altre idee, altri ragionamenti prendono il suo posto. Di fronte a tragedie come quella che si è verificata in Iraq poche ore fa, le parole poco contano. La tragedia è stata quella delle Torri, quelle delle guerre successive.
La guerra in sé è una tragedia. Calato nel contesto storico, nella secolarità, dentro la storia, il cristiano spesso si è trovato davanti ad un bivio che impone una scelta: fare il bene ed evitare il male. E' l'indicazione di Dio attraverso San Paolo, è quella che la Teologia morale, nella Chiesa cattolica si chiama "opzione di fondo", da percorrere nel pellegrinaggio terreno.
Gesù Cristo verrà a giudicare ogni uomo e la storia nel suo complesso, ognuno di noi dovrà comparire di fronte al tribunale di Dio, ma il cristiano sa che appellandosi al sangue di Cristo e riconoscendosi peccatore, convertendosi, la giustificazione del Figlio di Dio è certa. Non per propri meriti, non per le proprie azioni, ma per i meriti di Cristo. Sicché anche la pace sociale deve cominciare da sé stessi, dal perdono dei propri fratelli, dal perdono di chi ti ha fatto del male.
In questa vicenda dell'Iraq, come in tutte le guerre del genere umano ciò che fa scattare i meccanismo perversi è la mancanza di perdono: la vendetta, l'odio. La verità è solo in Cristo e questo è un fatto chiaro, così come senza la Chiesa non vi è salvezza. Non ci si salva da soli e senza la Chiesa di Cristo, depositaria dell'unica verità. In questo contesto la Parola di Dio è chiara: "Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre".
Come è quando si è insinuata la menzogna? Come e quando ci si è allontanati dalla verità? Quando si riacutizzano le tensioni, fino a straripare nella tragedia come in queste ore, si pensa se effettivamente alla base ci ciò ci sia il portare fino alle estreme conseguenze i principi più intransigenti di una religione come l'Islam, laddove questi principi siano talvolta irrevocabilmente incentrati sulla "guerra santa", oppure se in gioco vi siano "interessi" anche probabilmente diversi.
Ma fuori dalla verità il ragionamento, il pensiero, sganciato dall'alito dello Spirito Santo diventa in qualche modo fuorviante, allora come non citare il passo evangelico del Vangelo di Matteo, al capitolo 5, versetto 9: "Beati gli operatori di pace
saranno chiamati figli di Dio".
Lo sforzo compiuto in questo senso dal Santo Padre, Giovanni Paolo II, in tutto il suo pontificato, fino ad ora e per l'avvenire, è chiarissimo e questa tangibile fatica è di tutta la Chiesa, che da una parte sottolinea quale sia l'unica verità, dall'altra, non rinuncia a quel dialogo "interreligioso" ed ecumenico necessario affinché i popoli che in qualche modo seguono leaders "carismatici" di natura spirituale si riconoscano nella parola pace.
Interreligioso, tra il cristianesimo, la Chiesa cattolica, e le diverse "spiritualità"; ed ecumenico, tra i cristiani stessi, perché, come auspicato recentemente dal Santo Padre, ritrovino l'unità. I cristiani nel mondo sono un miliardo e settecento, i musulmani un miliardo e trecento milioni. Giovanni Paolo II è stato il primo Papa ad entrare in una Moschea, a Damasco, in Siria, nel maggio del 2001, invitando cristiani e musulmani a perdonarsi mutuamente e a non tornare più in conflitto.
Nel settembre del 2001 il Santo Padre visitò l'Armenia e il Kazakhstan. In questo contesto viene ricordato e inserito il dibattuto episodio del 14 maggio del 1999, quando Giovanni Paolo II, ricevendo in Vaticano una delegazione di cristiani e musulmani provenienti dall'Iraq, baciò il Corano. E tornano alla mente le parole che il Papa scandì ad Assisi il 24 gennaio del 2002, quando accolse i leaders delle "religioni", perché convinto che il dialogo interreligioso sia un antidoto alla dottrina venefica dello scontro tra civiltà, quindici anni dopo il primo meeting, Giovanni Paolo II indicò in un'«Assisi-bis» una strada molto importante verso la convivenza pacifica. Gli occhi del mondo, ancora una volta, sono stati puntati sulla città di San Francesco, roccaforte della tolleranza e crocevia delle fedi.
«La religione», disse Giovanni Paolo II, «non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza, chi veramente accoglie Dio esclude dal cuore ogni forma di astio e d'inimicizia». Come nel 1986, anche stavolta il Papa, annunciando l´iniziativa del 24 gennaio 2002, indicò l´obiettivo di «far salire all'Onnipotente un´invocazione corale per ottenere la pace», ritenuto il presupposto necessario per ogni serio impegno a servizio del progresso dell'umanità.
Dal nuovo incontro di Assisi, nelle intenzioni del Pontefice, sarebbe dovuta scaturire una riflessione comune sul ruolo insostituibile che svolgono le differenti fedi per la concordia tra i popoli. Invitando le religioni del mondo a pregare ad Assisi, il Papa ha sperato di rinfocolare il dialogo con i protestanti, ortodossi, ebrei, buddisti ma soprattutto con i musulmani. Più volte Giovanni Paolo II ha ribadito che «la religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto».
La decisione di compiere un gesto di straordinario rilievo, lo ha fatto tornare con la mente a 17 anni fa e all'intuizione profetica che mutò la storia della Chiesa nel Novecento. Il 27 ottobre 1986, il Papa indisse la Giornata mondiale di preghiera per la pace, invitando i rappresentanti delle religioni di tutto il mondo. Da allora si parlò di «spirito di Assisi» per descrivere la particolare atmosfera che favorisce, anche per lo speciale rispetto da parte di tutti i credenti per la figura del santo, il dialogo e il confronto, superando differenze e diffidenze molto, molto grandi.
Il dialogo interreligioso, dunque, come contributo alla composizione dei conflitti su una base religiosa, e non come rinuncia al proprio credo. Nel suo primo viaggio pastorale, dopo la sua elezione, il Papa visitò Assisi il 5 novembre 1978, al ritorno da Loreto. Nonostante alcune perplessità affiorate in Curia, la svolta nel confronto fra le fedi è stata generalmente accolta con favore nel mondo cattolico, in particolare dai francescani che hanno ospitato il meeting. «Nella vita ci sono segni di morte e di rifiuto», osservò l'allora custode della Basilica di Assisi, padre Vincenzo Coli, «con questa iniziativa il Pontefice sceglie un gesto di collaborazione, di speranza, di vita.
Il 24 gennaio sarà una giornata storica e la scelta di Giovanni Paolo II ci riempie di gioia perché ne esce confermato il valore della città di San Francesco come centro di dialogo. Il respiro universale del meeting è in linea con la tradizione francescana di totale apertura a tutti quelli che sono disponibili. Nonostante a più riprese siano ovunque affiorati dubbi e incertezze l'esperienza del confronto fra diverse culture ci dimostra il carattere irreversibile di una scelta di fondo: il dialogo come unica via verso la pace. La proposta del Papa ci trova concordi».
Alla comunità ebraica Rímon di Torino è di casa l'attitudine all'incontro tra chi proviene da fedi diverse. «Tutte le religioni - disse Gabriele Levy, animatore del gruppo d'intellettuali impegnati nel confronto culturale con i non ebrei hanno delle indubbie responsabilità storiche.
E' da incentivare, perciò, tutto ciò che va verso la pacifica convivenza e il libero scambio delle idee. Affinché ciò avvenga è necessario che ogni religione mostri il suo volto aperto, liberale, pluralista, anti-integralista, multietnico e laico. E' positivo che il dialogo tra le fedi si esprima ad Assisi nella preghiera comune, da intendersi principalmente come prova di reciproca tolleranza».
La strada maestra verso la pace mondiale, dunque, passa attraverso la ricerca di un'armonia globale. «E lecito nutrire qualche perplessità sull'effettiva utilità della proposta di Wojtyla - precisò Levy - l'esito sarà positivo soltanto se verranno superate le incrostazioni di potere che sussistono in ogni religione e rendono difficile ogni reale apertura all'altro. II problema è oggi più che mai quello di passare dalle mediazioni fra strutture al confronto concreto fra la gente, ovvero dalle dichiarazioni programmatiche al comportamento quotidiano».
|
17/11/2003
Altri articoli di...
Cronaca e Attualità
Una serata di emozioni e scoperte (segue)
Project Work Gabrielli, i vincitori (segue)
800.000 euro per le scuole (segue)
Terremoto: subito prevenzione civile e transizione digitale (segue)
Tre milioni di persone soffrono di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (segue)
Il presidente di Bros Manifatture riceve il premio alla carriera "Hall of Fame/Founders Award" (segue)
Il Belvedere dedicato a Don Giuseppe Caselli (segue)
A Cartoceto, nelle ‘fosse dell’abbondanza’ per il rituale d’autunno della sfossatura (segue)
Le strade musicali dell'Ebraismo nel compendio cinematografico di David Krakauer

Una serata di emozioni e scoperte

Betto Liberati