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Kamikaze: storia e attualità di una strategia.

San Benedetto del Tronto | Il prof. Leonardo Vittorio Arena ha presentato il suo libro sui guerrieri suicidi, proponendo una riflessione sull'‘altro'.

di Giovanni Desideri

Rivolgiamo alcune domande al prof. Leonardo Vittorio Arena, in margine al suo incontro con il pubblico presso la Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, avvenuto ieri sera, venerdì 11 luglio, per la presentazione del suo ultimo libro, dedicato ai kamikaze (Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi, Milano, Mondadori, 2003, pp. 321, 18 €). Si trattava del primo di una serie di appuntamenti, nell'ambito della rassegna 'Scenaperta estate - Incontri con l'autore'. L'incontro è stato organizzato dalla Libreria " La Bibliofila".

Arena insegna 'Storia della filosofia contemporanea' e 'Filosofie dell'estremo oriente' presso l'Istituto di Filosofia dell'Università di Urbino e 'Psichiatria' nel corso di laurea per educatori professionali, presso  la facoltà di Scienze della Formazione, pure ad Urbino. È inoltre psicoanalista e tiene corsi di meditazione, basati su una tecnica buddhista adattata alle esigenze dell'Occidente.

Professor Arena, questo suo libro sui kamikaze segue un'impostazione esclusivamente storiografica?
No, al contrario. È un libro 'multidisciplinare', nel quale cerco di prendere in considerazione il 'fenomeno kamikaze' dal punto di vista storico, ma anche filosofico e dottrinario, non dimenticando neppure la psicologia di questi guerrieri e quella della società che li produceva. Quest'ultimo aspetto è rintracciabile nelle lettere o nei diari che i kamikaze scrivevano e nelle poesie che ad essi venivano dedicate.

La parola 'kamikaze', per il ricorrente uso quotidiano, sembra stabilire un'affinità implicita tra i guerrieri giapponesi e quelli islamici. È un confronto sensato?
Come per ogni confronto direi che ci sono analogie e differenze. Innanzitutto la parola nasce in ambiente nipponico e vuol dire 'vento' o 'spirito divino'. Questa etimologia evoca a sua volta l'animismo, che attraverso lo shintoismo pervade la società giapponese. E l'animismo si concilia poco e male con il monoteismo islamico, o con quello giudaico-cristiano. Nella tradizione giudaico-cristiana, per fare un altro esempio, si attribuisce molta importanza all'individuo e alla sua sorte, mentre in Giappone è il gruppo a prevalere sull'individualità. Per questo non ha neppure molto senso parlare di kamikaze come eroi o come vittime di manovre ordite dall'alto. In secondo luogo, poi, i kamikaze giapponesi hanno una tradizione plurisecolare, mentre nel mondo islamico questo è un fenomeno recente.

E le analogie?
Per quanto riguarda le analogie posso dire che sia i kamikaze giapponesi sia quelli islamici, tendono ad avere una forte consapevolezza del loro gesto, anche se lo interpretano diversamente, come ho detto in precedenza. Possiamo poi guardare ai testi ai quali i kamikaze fanno riferimento. Recentemente è stato trovato un manuale anche presso i kamikaze islamici, ma salta subito all'occhio – e così otteniamo una ulteriore differenza - il rifiuto in blocco, ivi espresso, per la civiltà occidentale e per le sue radici, che pure sono in buona parte comuni tra il mondo giudaico-cristiano e quello islamico (si pensi al platonismo, all'aristotelismo e così via). Il manuale dei kamikaze giapponesi, al contrario, non prevede un tale rifiuto, ma solo una strategia di lotta.

In che senso lei contrappone l'animismo dei giapponesi al monoteismo degli islamici?
La distinzione può essere meglio compresa se si pensa alle circostanze storiche nelle quali la parola stessa – 'kamikaze' – nacque. Correva il 1274 e i mongoli guidati da Kublai Khan stavano per raggiungere il Giappone, con molte navi. La sconfitta sarebbe stata inevitabile e il Giappone sarebbe stato conquistato per la prima volta nella sua storia. Ma si levò un tifone improvviso che danneggiò gravemente le navi nemiche e il paese fu salvo. Il 'vento divino' cui accennavo prima era in origine questo tifone salvifico: lo shintoismo è la dottrina che pervade la società giapponese e in base ad essa la natura viene vista dai giapponesi come animata da molteplici forze divine, origine dei fenomeni naturali. Le parole 'shin' e 'kami', per esempio, sono in realtà, in giapponese, un unico carattere, pronunciato diversamente solo in base al contesto in cui si trovano. Ma il significato è identico: 'spirito', appunto.

L'aspetto più temuto, però, è oggi quello del terrorismo dei kamikaze e il terrorismo sembra far passare in secondo piano l'aspetto dottrinario.
Già dai tempi della Seconda Guerra Mondiale la strategia kamikaze era ritenuta, come oggi, una strategia tendenzialmente invincibile, in quanto il nemico è ovunque e può colpire in qualsiasi momento. E devo dire, purtroppo, che proprio in base al successo insito in questo comportamento, mi aspetto che tale strategia verrà impiegata anche in futuro, forse in maniera crescente. Questo non giustifica minimamente, però, un discorso basato sullo scontro tra civiltà. Infatti, se da una parte si impongono misure di polizia per prevenire gli attentati, è anche vero, per un altro verso, noi tutti possiamo fare qualcosa.

Intende dire che i paesi occidentali dovrebbero tentare di risolvere i problemi da cui trae origine la strategia del terrorismo?
Non ne farei una questione politica, se non di riflesso. L'aspetto più importante, quello in nostro potere, è l'aspetto culturale: si tratta cioè di conoscere l'altro, le sue credenze, le sue pratiche di vita, senza criminalizzarlo. Solo in questo modo, cioè successivamente alla conoscenza dell'altro, sarà possibile risolvere i 'problemi'.

12/07/2003





        
  



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