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Di che Crozza parliamo quando parliamo di satira

San Benedetto del Tronto | Satira sempre nell'occhio del ciclone, Crozza di più

di Francesco Tranquilli


Benché nello scorso aprile sia terminato (speriamo per sempre) il quinquennale inverno del nostro scontento, quella lunga stagione ha lasciato nell’organismo culturale del nostro paese il virus di un malessere che periodicamente si riaffaccia sulle pagine dei giornali e sulle bocche dei talk-show da bar e da tv: un insidioso virus censorio che attacca, in forme mutanti ma tutte maligne, la satira (o presunta tale).

Ricorderete che alcuni anni fa Luttazzi e Guzzanti – tanto per non far nomi - furono estirpati dagli schermi tv a furor di capo-popolo, benché per fortuna non si siano fisicamente estinti. Oggi, mutatis mutandis, una voce autorevole come il quotidiano Avvenire (e compagnia cantante) attacca il bravo, simpatico comico Maurizio Crozza, che è forse la quintessenza dell’innocuità umoristica, ma è reo di aver “oltraggiato” o “deriso” il Santo Padre con l’imitazione che ne fa nel suo programma Crozza Italia su La7.

Gli argomenti (?) dei censori della Domenica vertono più o meno sempre sugli stessi punti: cos’è la satira, quali sono i suoi limiti, chi essa può permettersi di prendere di mira, dove comincia il “cattivo gusto”. Come si vede, argomenti di carattere storico, letterario, estetico, di costume: tutte cose di cui – secondo il buon senso – non si dovrebbe trattare con superficialità e senza cognizione di causa. Ma tant’è. Si discetta di satira per parlare di tutt’altro.

La satira è un genere prima teatrale poi letterario le cui origini si perdono nella notte in cui venne alla luce il teatro greco, il più antico che ci sia pervenuto. Ha per attori le persone comuni, che rappresentano il punto di vista e lo stato d’animo di chi è piccolo e non ha potere. Ha per oggetto coloro che il potere lo detengono e lo esercitano. E’ intrinseco quindi che la satira attacchi tutti i Poteri: quello Politico, quello Economico e, s’intende, quello Spirituale.

La satira è una specie di sputo disperato dal basso verso l’alto, che se non coglie il segno ricade, è vero, su chi l’ha lanciato, ma più spesso lo coglie, suscitando reazioni scomposte. Proprio questo era il suo intento. La satira non è sfottò, caricatura, parodia, imitazione, barzelletta, anche se può sfruttare e incorporare ognuna di queste modalità espressive. La satira può e deve essere maleducata, aggressiva, irriverente, viscerale, e insieme lucida, fredda, meditata, calcolata. E’ cuore bollente e mente di ghiaccio. E’ dissacrante per definizione. E’ di “cattivo gusto” per vocazione. E’ Davide contro Golia: E’ è il riscatto morale, il riso beffardo e amaro di chi può poco, alla faccia di chi può molto.

Ciò detto, l’aspetto più ridicolo, scoraggiante e cheap (ma anche inquietante per lo stato di salute culturale del paese) di questa ennesima polemicuzza imbastita sotto gli stendardi sventolanti del Buon Gusto e del Rispetto consiste nel fatto che quella di Crozza non è satira; nel senso che non è cattiva, ma neanche leggermente graffiante: è un cabaret ben fatto; è un’imitazione che avrebbe potuto firmare anche Alighiero Noschese negli anni della TV in bianco e nero.

Uguale la bravura mimetica e vocale dell’attore, uguale l’umorismo bonario, da terza elementare (di allora!). Vorremmo anche ricordare, tanto per pignoleria, che Crozza imitava il Papa anche nella prima edizione del programma, trasmessa nella scorsa stagione, a quanto pare senza suscitare polemica alcuna. Forse in questi mesi la sensibilità vaticana - o magari quella dei suoi maldestri difensori d’ufficio - si è acuita? Ma solo la sensibilità, pare.

Eppure, pensare che il Papa possa offendersi (ammesso che non abbia altro da fare, e mi risulta che ce l’abbia) per battutine tipo “Facciamo che XVI che suona citofono domenica mattina è peccato mortale, così diamo un colpo ai Testimoni di Geova” è veramente da poveri di spirito, a cui il promesso Regno dei Cieli evidentemente non basta. Scommetterei che sotto c’è dell’altro. Ma ritiro la scommessa subito, perché è più che evidente che “Crozza contro Ratzinger” non è un vero problema, ma giusto un pretesto per lanciare segnali chiarissimi a chi detiene le chiavi dell’altro Potere che governa l’Italia di oggi: quello Mediatico. Una specie di richiamo all’ordine, come a dire: guardate che certe “libertà” non le tolleriamo (più).

Qualche esimio commentatore, più papista del Papa, ha anche esternato su altri quotidiani con un’uscita che mi pare emblema di una certa idea di società che personalmente mi insospettisce e mi indigna: “Se fossimo in un paese islamico, - ha sentenziato l’illuminato opinionista – i comici non si potrebbero permettere di deridere i capi religiosi.” Bel concetto. Lapalissiano. Sarebbe a dire che, se in un paese nominalmente democratico ci si può esprimere in forme e modi che non sono ammissibili nelle teocrazie, la cosa torna a tutto vantaggio di queste ultime! Vuoi vedere allora che l’anti-islamismo sempre meno strisciante e sempre più galoppante in una certa parte della società, della politica, della Chiesa, non ha niente a che vedere con Al-Qaeda, l’11 settembre, l’immigrazione, la questione medio-orientale, ma ha un nome tutto diverso e verde: Invidia?

Magari, sembra pensare qualcuno, potessimo sbarazzarci anche noi della libertà di parola, della separazione Chiesa-Stato, del pluralismo, del “laicismo”…

Ma sto esagerando, chiedo perdono. E poi, a pensar male si fa peccato, si sa…

23/11/2006





        
  



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