Italiani: brava gente?
San Benedetto del Tronto | Il nuovo libro di Gian Antonio Stella mutua nel titolo la volgarità esplicita di una scritta murale che addita pubblicamente alcune delle categorie storiche della diversità: "Negri froci giudei & Co. Leterna guerra contro laltro."
di Maria Teresa Rosini

Gian Antonio Stella
Il nuovo libro di Gian Antonio Stella, che fa i conti con un passato nel quale ricercare le odiose fondamenta dell'ondata di razzismo che gonfia la cronaca della nostra sconcertante attualità, mutua nel titolo la volgarità esplicita di una scritta murale che addita pubblicamente alcune delle categorie storiche della diversità: Negri froci giudei & Co. L'eterna guerra contro l'altro.
Nulla di metaforico stavolta ( Casta, Deriva o Orda), ma la stupida concretezza attraverso la quale la voce rabbiosa di una "piazza" incolta e ignorante usa riversare il proprio odio sui "diversi".
Presentazione inconsueta quella degli "Incontri con l'autore" di martedì sera presso l'Hotel Progresso, in cui al fluire del discorso dell'autore fa da contrappunto una galleria di immagini e contesti storici che hanno l'innegabile capacità di stroncare sul nascere ogni nostra residua illusione: non possiamo propriamente essere definiti "brava gente", i fatti sono lì a mostrarcelo.
L'intento di Stella è proprio quello di demolire questo luogo comune in cui per troppo tempo ci siamo beatamente crogiolati: quello che ci dipinge come un popolo aperto e tollerante verso gli "altri", nell'accezione più ampia del termine.
La consapevolezza è il primo passo per tentare di uscirne, per questo Stella ci "costringe" a guardarci in uno specchio decisamente meno benevolo delle immagini stucchevoli di noi stessi con le quali siamo abituati ad essere imboccati da un potere che, nei secoli, è stato invece sempre saldamente consapevole dei propri scopi e dei mezzi atti a conseguirli.
E' bene partire da un dato che la psicologia può agevolmente confermarci: il confronto e il rapporto con ciò che è "diverso" e distante, in molte accezioni, da noi, non ci trova mai privi di reazioni e, tra queste, l'insicurezza e la paura sono tra le più consuete ed anche "naturali". Inoltre il restringersi di spazi di vita e di soppravvivenza, l' incertezza circa il futuro, l'avvento o la perdita di consolidati riferimenti per il mutarsi delle condizioni economiche e sociali, provocano spesso l'individuazione di categorie sociali o razziali atte a divenire capro espiatorio del malessere collettivo, parafulmine di rabbie, rancori, insicurezza diffuse.
Ripercorrendo a partire dal colorito linguaggio della "Serenissima", secoli e contesti storici lontani gli uni dagli altri, Stella ci offre una panoramica dei nomi fantasiosi utilizzati per connotare gli stranieri, coloro che distanze geografiche e bizzarrie interpretative su talune loro caratteristiche, portavano di volta in volta a chiamare foresti, schiavoni, blemmi, mori, barbari, bestie meravigliandone caratteristiche fisiche, odori, forme a testimonianza della loro diversità e non assimilabilità al "normale" genere umano.
Tali costruzioni mentali e proiezioni sono presenti in ogni cultura antica, e non solo, alimentate dalla paura e dall'incertezza che potesse esistere qualcosa di differente e sconosciuto rispetto all'ordinato contesto di vita, ai consueti conformistici orizzonti in cui fluivano esistenze che in essi trovavano giustificazione.
Atteggiamenti di diffidenza non erano sconosciuti neppure tra popoli e territori contigui con esempi che si registrano, per la perseveranza dei pregiudizi, fino ai nostri giorni manifestandosi in esasperati campanilismi che si riscontrano nei più diversi ambiti (tifoserie, politica, economia).
E che dire, poi, degli odori corporei come connotato di diversità di cui razze e nazionalità si sono accusate reciprocamente e di cui siamo portati a sorridere: scopriamo che hanno fama di emanare un odore sgradevole gli individui di colore e i tedeschi, e che i bianchi, noi cioè, emaniamo un sentore di carne morta particolarmente avvertito dalle persone di colore, e puzziamo di formaggio, o più genericamente di latticini, secondo i cinesi. Ma, storicamente, è agli Ebrei che è stato attribuito l'odore peggiore (e non ce ne stupiamo dati gli eventi drammatici di cui il loro destino è disseminato).
Il discorso finirebbe per sfiorare il comico se l'autore, a questo punto, non ci riportasse al corollario storico più tragico del razzismo che è la violenza: appunto perché spesso considerati di statuto biologico inferiore, uomini donne e bambini inermi sono stati fatti oggetto di prevaricazioni e violenze inaudite, trattati come oggetti o animali, depredati di beni e dignità in una quantità di occasioni e circostanze storiche di cui siamo portati a ricordare solo una minima parte.
Il massacro degli Armeni, le pulizie etniche della Serbia, i massacri e la segregazione attuati durante i nostri tardivi e fallimentari tentativi di colonizzazione in Africa, le leggi razziali contro gli ebrei emanate in Italia in ossequio all'alleato tedesco e nel silenzio vergognoso di coloro che avrebbero potuto e dovuto denunciarlo pubblicamente, l'uccisione di bambini e civili sloveni oggetto di persecuzione da parte degli italiani.
Oggi sembra che tutti questi eventi siano stati rimossi dalla nostra coscienza e possiamo assistere con un sorriso ai proclami di sindaci leghisti che si vantano di aver fatto distruggere campi nomadi come fossero generali d'armata, e ad eventi, come quello più recente di Rosarno, che dovrebbero ricordarci episodi analoghi accaduti a noi italiani quando andavamo alla ricerca del lavoro fuori dall'Italia ed eravamo vittime dell'odio e della rabbia che lievitava tra le popolazioni straniere nelle solite drammatiche guerre tra poveri.
Non si può sorridere, ci dice Stella, perché il confine tra ridicolo e orrore nel razzismo è molto sottile. E' bene non sottovalutare segnali inquietanti, è bene non esercitare una condiscendente benevolenza verso l'ignoranza e la stupidità perché il razzismo trova sempre il modo di infiltrarsi, trovando giustificazioni e parvenze di ragionevolezza, oltre che dentro le azioni degli esaltati, nella leggera indifferenza degli ignavi. Ed è a questa seconda categoria di individui che noi italiani rischiamo di essere pericolosamente vicini.
Occorre informazione di qualità e una nuova cultura della convivenza civile in senso globale, per percepire le derive alle quali rischiamo di cedere nella complessità del presente. Occorre anche che il passato, come ci ha mostrato Stella, non sia soltanto un repertorio in cui saccheggiare isolandoli dal contesto, fatti da strumentalizzare secondo le esigenze del presente.
La fame e l'insicurezza dei paesi più poveri, la causa cioè della fuga inarrestabile verso i paesi più progrediti e verso il nostro, sono la pesante eredità di un post colonialismo col quale i paesi occidentali ipocritamente non intendono fare i conti.
Il passato è in grado di spiegare ragioni e additare pericoli, la civiltà di una nazione si misura anche per quanto sa inglobare, nella lettura del presente, il senso delle vicende attraversate, per quanto sa sfuggire a scorciatoie emotive e propagandistiche, per quanto sa scegliere quali sono i valori irrinunciabili, come quello del rispetto dei diritti di tutti gli individui, da difendere e tenere fermi per il futuro.
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11/02/2010
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