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Carl Bernstein al Festival del giornalismo: offrire "la migliore versione ottenibile della verità"

San Benedetto del Tronto | Intervistato da Antonio Di Bella in occasione del Festival del giornalismo di Perugia, ci offre preziosi consigli relativi al giornalismo d'inchiesta e un'analisi impietosa del giornalismo americano di oggi.

di Maria Teresa Rosini

Carl Bernstein

Autore, insieme a Bob Woodward, dell'inchiesta del Washington Post del 1972 che portò all' impeachement l'allora presidente USA Richard Nixon, Carl Bernstein è oggi un anziano ma piuttosto vivace signore che ci racconta, intervistato dal direttore del TG3 Antonio Di Bella in occasione del Festival del giornalismo, la vicenda che lo ha reso celebre, offrendoci, oltre a preziosi consigli relativi al giornalismo d'inchiesta, un'analisi impietosa del giornalismo americano di oggi.


Lo ripete molte volte Carl Bernstein: ciò che un' indagine giornalistica può fare, anzi deve fare, è offrirci "la migliore versione ottenibile (o possibile) della verità", lasciando intendere che non c'è forse verità assoluta che possa essere circoscritta nelle pagine di un reportage.
Elemento indispensabile per un buon reporter è la capacità di ascolto: saper lasciar parlare le persone, far sì che si sentano libere nel raccontare.

Per questo bisogna saper procedere nell'inchiesta senza farsi guidare da preconcetti, senza cioè voler forzare la realtà a ciò che ci si è già costruiti in testa, e saper riconoscere, nella mole di notizie inutili che spesso ci vengono fornite, quella apparentemente insignificante che potrebbe rivelarsi decisiva.
Fu emozionante per lui, e lo è anche per noi che lo ascoltiamo raccontarlo, il momento in cui percepì, sulla base dei dati che aveva pazientemente raccolto e organizzato e delle nuove informazioni che veniva raccogliendo, la consistenza e la rilevanza politica di ciò che andava scoprendo e la necessità di mantenerne il riserbo assoluto fino ad aver conseguito la completezza dell'indagine.

Grande umiltà è  necessaria per svolgere il lavoro di reporter: si risponde ad  una funzione sociale di primaria importanza e si ha perciò una grande responsabilità. L'obiettivo che deve rimanere saldamente nella coscienza di chi svolge questo lavoro è quello del bene pubblico, il bene della comunità a cui si appartiene: il rischio è che il desiderio di diventare famosi prevalga sulla responsabilità.


Oggi "è diminuito l'impegno delle istituzioni giornalistiche nella ricerca della migliore versione possibile della verità" e appare predominante l'imperativo del guadagnare con l'informazione. Del resto il giornalismo investigativo richiede molte risorse in tempo e denaro (anche se oggi i nuovi media possono costituire un mezzo più rapido ed economico per accedere alle notizie) e spesso il "grande giornalismo" si fa sfruttando il tempo libero personale e l'iniziativa del singolo.

La stampa americana oggi, ci dice Bernstein, è "malata di gossip e sensazionalismo" e spesso prevale in chi vi opera la scelta di cercare attenzione e clamore attraverso la presentazione quasi grottesca di fatti o persone: "cultura degli idioti" è allora quella che attinge al pettegolezzo e alla diffamazione recependo dalla vita comune e dalla cultura popolare gli elementi peggiori e dandone un risalto sproporzionato.

Sono questi i fatti che trovano spesso priorità nell'agenda delle istituzioni dell'informazione e dei giornalisti: scelta certo più comoda e meno rischiosa rispetto a quella che si pone l'obiettivo di offrire un servizio sociale e uno stimolo alla consapevolezza per l'opinione pubblica.
Al di qua dell'oceano non possiamo certo sentirci estranei a questa analisi e a queste problematiche.

16/04/2008





        
  



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