Lettera alla Befana
San Benedetto del Tronto | Renato Novelli scrive alla nonnina la sua personale richiesta/speranza. Che riesca almeno la Befana a riportare la scuola ad essere un luogo plurale, sentimentale e plurisensoriale con al centro i ragazzi?
di Renato Novelli

Abbiamo saputo poco tempo fa dal PISA (Programme International Student Assessment) che la nostra scuola dà i peggiori risultati d'Europa, nel senso che gli studenti italiani presentano lacune gravi di conoscenza scientifica e storica. Ma un'analisi più articolata di quella del PISA, ci direbbe che le elementari vanno bene e il vero buco formativo inizia alle medie per arrivare a mordere l'Università.
Le vestali della tradizione accusano lo sfascio della formazione dovuta al lassismo del 1968. La madre di tutti o guai attuali. Lo dice anche il Signor Bruni che con lo pseudonimo di Sarkosy guida la politica francese, Non può che essere vero. Ma altri hanno riflessioni meno clamorose e forse più ragionevoli. Accusare la cultura dei movimenti del Sessantotto è come attribuire alla marcia fascista su Roma (1922) un qualche merito nel boom economico e nella congiuntura distorta della crescita del 1962. Quaranta anni non sono chiacchiere.
Giovanni De Luna (Università di Torino) ha scritto che le origini reali della crisi della scuola stanno nei metodi troppo vecchi di insegnamento, lontani dalla comunicazione articolata del presente costruita dal computer e dalla pioggia torrenziale di informazioni. Ha ragione. Basta pensare che quando la scuola pubblica, uguale per tutti (per diritto, perché ancora oggi i benestanti mandano i loro figli in scuole speciali e private), fu concepita (inizio avanzato dell'Ottocento), un cittadino medio vedeva scorrere nel corso della sua vita tra cento e duecento immagini diverse ed oggi noi, comprese le micro immagini subliminali, ne vediamo 6000 in un giorno.
I ragazzi di oggi sono rispetto ai loro trisnonni una mutazione comunicativa. De Luna vorrebbe che i professori diventassero un po' attori, usassero nella scuola i sistemi comunicativi del mondo post - moderno e rendessero meno mummificate le conoscenze scolastiche. Ha ragione, come ho detto, ma forse non basta.
Andrea Casalegno giornalista del Sole, ha scritto che la scuola deve mettere al centro la formazione della ragazza - ragazzo come individuo che programma la propria posizione nel mondo, più che la formazione di un programma prefigurato di cittadinanza, come tutti abbiamo fatto finora, anche nelle contro scuole sessantottine. Come quella di De Luna è una riflessione importante che non raccoglie le rimostranze già superate dei cattivi maestri travestiti da moralisti, ma affronta la realtà di oggi senza lo sguardo rivolto alle macerie del passato.
Ma mi permetto una modesta riflessione. La scuola pubblica è nata con la società industriale, per produrre un livello medio, comune e condiviso di cultura generale su cui innestare la formazione dei dirigenti. Prima della società moderna, nessuno aveva sentito il bisogno di tale istituzione: i ricchi avevano gli istitutori in casa. I poveri risolvevano con i preti o andando in seminario, i poveri poveri rimanevano portatori di una cultura popolare, marginale (rileggiamo Gramsci sulle sub culture popolari). Può darsi che il ciclo di una scuola pubblica sia al tramonto.
La società post moderna ha prodotto diversi livelli formativi, policentrici, forse barbari, ma differenziati e la scuola non ha più la funzione formativa che ha svolto per 150 anni circa.
La scuola, Università compresa, non deve costruire solo tattiche di difesa dal mondo post moderno (De Luna) o salti di qualità culturale (Casalegno), ma fare entrambe le cose, costruendo una nuova identità correlata alla pluralità della comunicazione culturale, alla frammentazione del sapere, alla nuova dimensione della formazione.
Il nostro disastrato paese può contare su molti professori qualificati, volenterosi (mi si perdoni la citazione di Bush), capaci e finora non riconosciuti, avviliti, valutati come altri che vedono la scuola come una pensione sociale anticipata. E non dimenticare che De Luna e Casalegno erano studenti protestatari nel 1968. Si può ripartire dai singoli ragazzi e dagli insegnanti come persone con una storia singola in una dimensione collettiva, scuola policentrica, imparare e sapere plurale, esperienza sentimentale e plurisensoriale del paesaggio invisibile che ogni giorno riconosce ogni storia singola.
Cara Befana, pensaci tu.
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06/01/2008
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