Panichi:"La sentenza? Appare come un atto di ritorsione e vendetta"
San Benedetto del Tronto | "Non posso accettare la condanna di un tribunale in cui i giudici sono stati da me denunciati. Per questo dico che il Tribunale di Ascoli Piceno non è più attendibile per la mia vicenda".
di Adamo Campanelli

Alberto Panichi
Oggi in una conferenza stampa Panichi ha voluto dire la sua ripercorrendo la vicenda giudiziaria che ad oggi sembrerebbe passata dal Tribunale di Ascoli Piceno nella mani della Procura della Repubblica del Tribunale dell'Aquila.
Una motivazione importante quella alla base del "cambio", infatti secondo l'ex imprenditore la sua sentenza "appare come un atto di ritorsione e vendetta nei suoi confronti", da parte dei magistrati ascolani, 14 per la precisione su 18. Questi sarebbero stati denunciati dallo stesso Panichi per i reati di cui agli articoli 323, 328, 640 del Codice Penale.
Una lista che dal 2005 ad oggi si è allungata notevolmente e che accusa la magistratura ascolana, come afferma Panichi, di "agire a sistema".
"Non posso accettare la condanna di un tribunale- afferma- in cui i giudici sono stati da me denunciati, per questo dico che il Tribunale di Ascoli Piceno non è più attendibile per la mia vicenda".
Accuse gravissime, quelle dell'ex imprenditore, che con documenti alla mano, ha chiarito passo passo tutte le fasi della vicenda, secondo lui magistralmente insabbiata.
Tra i nomi dal 2005 ad oggi: Amico Saverio, Calvaresi Carlo, Spingardi Gianfranco, Batoli Marco, Gianfelice Annalisa, Crincoli Adriano, Pirozzoli Carmine, Sergiacomi Antonio, Mancini Giuseppe, Mariani Paola, Moroni Remo, Ricci Massimo, Di Diodato Simona, Gasparrini Pacifico, Ponticelli Franco, Pavesi Alberto, Franchi Giuseppe, Cesari Luciano, Falco Lorenzo, Ettore Picardi. Denunciati per i reati di cui agli articoli 323, 328, 640 del Codice Penale.
Art. 323 Abuso d'ufficio
Salvo che il fatto non costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena e' aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravita'. Articolo sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86 e successivamente cosi' sostituito dall'art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234.
Art. 328 Rifiuto di atti di ufficio. Omissione
Il pubblico ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto dell'ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanita', deve essere compiuto senza ritardo, e' punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, e' punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (1). (1)Articolo cosi' sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.
Art. 640 Truffa
Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a se' o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni. La pena e' della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni: 1) se il fatto e' commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto e' commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorita'. Il delitto e' punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante (1). (1) Comma aggiunto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689.
Dopo questa clamorosa rivelazione, l'ex imprenditore è deciso ad arrivare fino in fondo alla vicenda, sicuro che il Tribunale aquilano in modo più sereno e giusto potrà fare luce e chiarezza sull'attività svolta dai magistrati ascolani.
"Una battaglia dura- conclude- ma aspetterò, la mia testardaggine mi farà arrivare alla verità".
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19/10/2007
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