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In ricordo di Luciano Pavarotti

San Benedetto del Tronto | Pavarotti è stato un tenore unico, posseduto da una voce fuori dal comune in tutto il mondo conosciuto (perché vi sono voci che rimangono sconosciute), ma è umanissimo nella sua morte.

di Renato Novelli

E' morto Luciano Pavarotti

"Ma il mio segreto è chiuso in me........e all'alba io vincerò.Vincerò, vincerò"
Come tutti sanno già, Pavarotti è morto alle cinque di questa buia e fredda mattina di un improvviso autunno. La TV italiana più o meno in tutti i canali continuano a mandare in onda l'aria del Terzo atto della Turandot, che fu uno dei pezzi più noti delle interpretazioni del tenore italiano più famoso insieme a Caruso e Gigli.

Non si può non rimanere stupefatti di fronte a tanta arroganza. Non si tratta di arroganza nei confronti di Pavarotti, ma più seriamente e drammaticamente nei confronti della sua morte e della morte. Questo ricordo rivolto tutto alla vita è un insulto nei confronti alla saggezza presunta che ha presieduto alla morte reale dell'individuo Pavarotti.

La Rai ha scelto di dirci con una violenza inquietante, che l'arte vince sulla morte e il riferimento alla vittoria nell'alba non è certamente casuale. Anche se si tratta di uno dei brani più famosi tra le interpretazioni dei 48 anni di carriera di Pavarotti. Di fronte alla morte, in verità, siamo tutti perdenti e l'idea di poterla vincere è la sconfitta più disperata della vita.

Chi dimentica Phlebas il Fenicio del grande Eliot ? Phlebas era un marinaio forte e vitale, ma "il fondo gorgo del mare...gli spolpò le ossa in sussurri e tutti i marinai guardando sopravento, sanno che Phlebas fu bello come loro e sanno anche che il loro destino è lo stesso, anche se a spolpare le ossa fosse la terra umida di un cimitero.

Pavarotti è stato un tenore unico, posseduto da una voce fuori dal comune in tutto il mondo conosciuto (perché vi sono voci che rimangono sconosciute), ma è umanissimo nella sua morte. Come si dice lo ha colpito un male incurabile. Lo ha sopportato con fermezza, come raccontò Ettore Mo ai sambenedettesi da Luigi lo scorso anno, ha voluto morire nella sua casa, nella città dove era nato, parlando con gli amici della sua infanzia, aspettando un evento più grande di ciascuno.

E' la stessa saggezza di Totò che scrive ‘A Livella e chiede a tutti di uscire dalla stanza per essere lasciato solo in pace con la morte. E da noi del sindaco del dopoguerra Giorgini che vuole rivedere il lungomare prima del coma, di Pier Cesare Gobbi, comandante di nave e sindacalista utopista della San Benedetto di 50 anni fa, che alza la mano su di sé per incontrare la morte, quando sa, dopo indicibili sofferenze, che non ci sono aspettative ulteriori di vita.

Fuori da ogni retorica, la saggezza è il riconoscimento della morte come destino comune. Pavarotti, come i nostri due concittadini, ha avuto la capacità di affrontare l'annientamento di sè, come se egli fosse stato una foglia gialla, arricciata dal tempo che si stacca dal ramo dove è cresciuta e dove ha ricevuto milioni di elogi. Ascolteremo quella voce straordinaria per anni ancora nelle registrazioni, ma non dimentichiamo la sua morte. Come nel piccolo non dimenticheremo, la sciocca arroganza delle commemorazioni televisive.

06/09/2007





        
  



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