Gaspari e l'Europa Comune e Condivisa
San Benedetto del Tronto | Discorso del sindaco Giovanni Gaspari agi alunni delle suole medie riunite al Palacongressi per la celebrazione della giornata per l'Europa unita.
di Giovanni Gaspari

Sindaco Giovanni Gaspari
Pensiamo a volte al fine settimana come forma di riposo dal lavoro, mentre altre volte lo aspettiamo per eventi appassionanti come una partita di calcio o le elezioni politiche. Domenica scorsa il turno di ballottaggio tra i candidati alla presidenza della Repubblica francese ha appassionato molti, almeno molti mezzi di informazione italiani, che gli hanno dedicato grande risalto, che fosse per la solita esterofilia di cui ci accusiamo come italiani, o per quella particolare attenzione alla Francia, che è una specie di vezzo intellettuale. In ogni caso un tema sul quale si sono confrontati i nostri maggiori editorialisti, da Bernardo Valli su Repubblica a Barbara Spinelli sulla Stampa, passando ovviamente per tutti gli altri giornali e televisioni.
Le precedenti elezioni politiche in Germania, invece, erano state prese come modello per accreditare anche da noi un'ipotesi al ribasso, ovvero per invocare la grigia prospettiva di una "grande coalizione" tra destra e sinistra, presentata però come fase avanzata, anzi avanzatissima, della come il rischio da evitare, o come il messia che a noi italiani mancherebbe. Maggiore verso alcuni Paesi, minore verso altri, l'attenzione degli italiani verso l'Europa sembra comunque elevata, sebbene non approfondita. Tutti sentiamo fare continuamente paragoni con quello che succede in questo o quell'angolo del continente e del pianeta, che sarebbe l'uovo di Colombo di questo o quel nostro problema nazionale. Paragoni che però vengono fatti sempre più spesso appunto anche all'estero, e soprattutto all'interno dell'Europa.
Un indice anche questo, a mio avviso, di un'integrazione che si sta sviluppando nei fatti, in profondità, più ancora che in superficie. D'altra parte, se pensiamo ai referendum con cui Paesi come la Francia stessa o l'Olanda hanno rigettato il progetto di Costituzione europea, non necessariamente dobbiamo vedere il bicchiere mezzo vuoto di una chiusura verso l'esterno. Abbiamo invece anche un'altra interpretazione possibile: quella di popoli che chiedono testi molto più concreti e vantaggiosi, ovvero una casa comune più confortevole. Proprio quest'anno ricorrevano i cinquant'anni dai trattati di Roma che istituivano la Comunità economica, poi diventata Unione europea. La grande prospettiva che avevano i padri costituenti era quella degli "Stati Uniti d'Europa", di cui si è poi parlato sempre meno. Ma si cercava anche di esorcizzare gli spettri del passato, a cominciare dalla guerra che aveva fatto la più grave strage di sempre, appunto in Europa.
Se dobbiamo giudicare dall'iter avviato per arrivare a condividere una Costituzione europea, dobbiamo forse dire che ci troviamo in una specie di secca, sulla rotta dell'integrazione europea. Ma non credo che siamo davvero incagliati. In primo luogo grazie a quello che era stato definito come uno strumento da tecnocrati, cioè l'euro, la moneta comune, ormai un dato di fatto accettato e apprezzato da tutti gli europei, e ben presente anche sui mercati mondiali, con grandissima autorevolezza. Uno strumento che ha evitato all'Italia pericolose derive economiche e che sta vincendo la sfida dell'unità e dell'integrazione tra i popoli. Una sfida che l'euro porta disegnata nel simbolo del ponte, riprodotto sulle banconote di ogni taglio.
Quel ponte esiste concretamente: sono in primo luogo i tantissimi giovani che effettuano viaggi di studio o di lavoro all'estero, da un Paese verso l'altro. In secondo luogo sono gli imprenditori che "delocalizzano", generando infinite discussioni, ma aprendo anche prospettive di sviluppo, oltre che la conoscenza di mondi diversi in coloro che vanno ad impiantare altrove le proprie officine. D'altra parte, quale capo operaio o lavoratore specializzato italiano avrebbe immaginato negli anni cinquanta di finire la propria carriera a fare da "consulente" in fabbriche "delocalizzate" nell'Europa dell'est, come accade oggi?
A proposito del progetto di Costituzione europea, la campagna referendaria francese, nel 2005, era stata animata, tra le altre immagini, dalla figura quasi leggendaria di quello che i media avevano chiamato "l'idraulico polacco". Si intendeva dire che in un'eventuale Europa troppo liberalizzata, i lavoratori dell'est, sarebbero stati disponibili a lavorare in Francia per salari più bassi rispetto a quelli dei francesi stessi, generando costì gravi disastri sociali. Se il diavolo non è quale lo si dipinge, lo spostamento di fabbriche e capitali verso est è però realmente avvenuto, e non solo da parte degli italiani. La visione più romantica che si possa dare di questo fenomeno è forse quella che ne avrebbe dato Marx, quando parlava della storica funzione modernizzatrice della borghesia, in questo caso appunto a beneficio dell'Europa dell'est.
Scambi culturali, di studio, di lavoro, sono però oggi un fenomeno ben più articolato e complesso. Un suo importante corollario sembra essere, oggi, quella che alcuni anni fa era stata quasi solo una battuta da parte di Umberto Eco: un'integrazione europea che sarebbe arrivata dai matrimoni misti tra europei, in conseguenza delle maggiori occasioni di incontro e di conoscenza reciproci.
Una fortissima tendenza all'integrazione, in ogni caso, è senz'altro già in corso, vistosa e chiaramente indirizzata al superamento delle barriere di un tempo, a partire da quelle linguistiche. Internet stesso è uno strumento potentissimo che aiuta ad abbattere l'ultimo muro della mancata integrazione europea. Una sfida che resta aperta ancora oggi è certamente, di nuovo, quella dei rapporti verso est, con Paesi ex comunisti sempre più importanti (per esempio l'Ucraina), come pure con culture come quella islamica. Quest'ultimo tema, su un piano concreto, è rappresentato dall'eventuale ingresso nell'Unione da parte della Turchia.
In definitiva la tendenza in corso sembra doppia: da una parte i privati cittadini, sempre più mobili all'interno dell'Europa, dagli studenti ai lavoratori e perché no ai turisti. Dall'altra le istituzioni, che incorrono in battute d'arresto come quella sul progetto di Costituzione europea, o come quella sui diritti civili nei Paesi che chiedono di far parte dell'Unione.
Dall'esterno, per esempio dagli Stati Uniti, il vecchio continente viene percepito ora come una sentina di tutte le indecisioni, soprattutto incapace di usare la forza per risolvere le controversie internazionali: ed è la prospettiva di certi ideologi dell'attuale amministrazione americana.
Ora, invece, come un modello vincente per il futuro, quello delle tutele e dell'inclusione sociale, praticata magari con fatica, e di una maggiore qualità della vita per un maggior numero di cittadini. E questa la prospettiva che vorrei proporre per ultima, come conclusione. Ognuno dei Paesi europei non potrà affrontare il futuro se non in una prospettiva continentale. Lo sa bene il neo-presidente francese Sarkozy, che si sta già muovendo di conseguenza. Ma lo sa l'Europa intera, che nei prossimi anni dovrà mettere a punto non un'arca di Noé per la sopravvivenza precipitosa delle specie, ma appunto una casa davvero comune e socialmente inclusiva, che sappia andare nel mondo con un volto più umano, e certamente a testa alta.
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09/05/2007
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