Maleducazione nelle scuole? Si chiede aiuto allo sport!
| BOLOGNA - Intervista al Professor Roberto Farnè: "Ciò che più conta nellatto pedagogico è la gravità dellintimidazione, che ha un sapore antico di minacce, in stile "Pierino Porcospino".
di Stefano Martelli*
Cosa succede se una maestra taglia la lingua a un bambino?
L’ultimo episodio di “malaeducazione” nelle scuole italiane viene definito dal professore Roberto Farné, Ordinario di Didattica generale e Pedagogia del gioco e dello sport presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, nella Facoltà di Scienze Motorie, “un evento del passato, legato a quella che Alice Miller definisce pedagogia nera”.
“Ciò che più conta nell’atto pedagogico – spiega il professor Farné – è la gravità dell’intimidazione, che ha un sapore antico di minacce, in stile “Pierino Porcospino”.
L’episodio accaduto nella periferia milanese arriva in un momento delicato per la scuola italiana, che nei giorni scorsi aveva deciso di puntare con maggiore convinzione sull’educazione dei bambini e dei ragazzi attraverso lo sport. Lo scorso 9 febbraio, infatti, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni ha presentato dieci proposte, denominate “Più sport a scuola e vince la vita”, all’interno delle “Linee guida per lo sport a scuola”. Firmate anche dal Ministro delle Politiche Giovanili e delle Attività Sportive Giovanna Melandri, le proposte mirano a promuovere i valori della sportività e della lealtà nei giovani, per accompagnarli in una crescita serena.
Di seguito riportiamo l’intervista che abbiamo fatto al professor Farné su questi temi, chiedendogli il suo parere su alcuni punti chiave del documento e, più in generale, sui bisogni dei bambini e dei ragazzi in relazione all’attività motoria e sportiva.
Intervista al professor Roberto Farné
Professor Farné, negli ultimi tempi l’educazione allo e attraverso lo sport è diventata oggetto di grande attenzione. Come giudica questo rinnovato interesse?
L’attenzione attuale all’educazione allo sport nasce come emergenza legata ad alcuni recenti fatti di cronaca e questa non è una cosa positiva. Affermare solo in questi momenti che lo sport come leva educativa è importante indebolisce la portata stessa di quanto si sostiene. L’educazione attraverso lo sport dovrebbe essere un elemento costitutivo della vita dei ragazzi nelle scuole e al di fuori di esse. La pratica ludico-motoria, anche con caratteristiche sportive, dovrebbe essere un’esperienza educativa abituale, al di là che questa diventi o meno un’attività elettiva, nella quale il ragazzo decide di investire se stesso.
Quanto è importante questa pratica nella società italiana?
Nelle scuole italiane sono previste ore di educazione fisica, cosa che non avviene dappertutto in Europa. Inoltre, molti ragazzi fanno sport al di fuori della scuola, nel loro tempo libero. La richiesta crescente da parte delle famiglie e dei ragazzi attesta che si riconosce allo sport una funzione educativa importante nella formazione complessiva. Tuttavia, al di là degli aspetti educativi diretti, le occasioni per i bambini di muoversi e giocare all’aperto oggi sono ridotte. Spesso le città sono inospitali da questo punto di vista e la vita dei ragazzi è sempre più sedentaria, con le molteplici conseguenze negative che ciò comporta. Entrano in gioco, quindi, anche le politiche urbanistiche e l’organizzazione del territorio.
Quali sono i valori che si possono trasmettere attraverso lo sport?
Ogni “gioco sportivo”, termine che preferisco a quello di sport quando si tratta di infanzia, insegna molte cose al di là della performance. Il rapporto con gli altri, il concetto di vincere e quello di perdere, il dare il meglio di sé, la collaborazione e la competizione: molti elementi, quindi, che caratterizzano la sfera etica delle relazioni. L’azione educativa passa più attraverso le esperienze vissute direttamente, che attraverso i discorsi o peggio le “prediche”. Molto più importante è coinvolgere il ragazzo in un ruolo da protagonista. Se gioco, allora faccio la mia parte e imparo molto di più di quello che potrei imparare da spettatore. Questo è un punto fondamentale, che nei giorni scorsi ci è stato ricordato anche in relazione allo scoutismo, che ha festeggiato i suoi primi cento anni, e all’insegnamento di Baden-Powell. Dare valore all’attività ludica significa affermare la categoria della “leggerezza”, che ti permette di perdere una partita senza che ciò significhi considerarsi un perdente. E’ in questo modo che il gioco sportivo, nella sua dimensione ludica ancor prima che sportiva, ti insegna una certa visione del mondo, oltre a determinate abilità e competenze che ne costituiscono una sorta di alfabeto motorio.
Che differenza c’è tra dimensione ludica e dimensione sportiva?
Mi riferisco alla dimensione ludica pensando ai bambini e al fatto che essi hanno sempre fatto giochi sportivi, quelli che Pierre Parlebas chiama i giochi sportivi non istituzionali : dal nascondino ai quattro cantoni a giocare a calcio in un campetto improvvisato. Quando, invece, si parla di sport in senso stretto ci si riferisce a quelli strutturati, basati su regolamenti e federazioni, un tratto distintivo della cultura occidentale. Dal punto di vista educativo, però, ciò che conta principalmente è la possibilità di esprimersi liberamente nei giochi di movimento e sportivi, anche al di fuori degli ambiti strutturati. A volte c’è il rischio di confondere il bisogno di gioco con lo sport, inteso nell’ultima accezione.
Concentrando l’attenzione all’ambito scolastico, qual è il ruolo che può svolgere oggi la scuola nell’educazione allo sport o al gioco sportivo?
La prima cosa che la scuola può fare è far conoscere tutti gli sport, fare in modo che si diffonda una cultura multisportiva. A parte i due o tre più conosciuti, la maggior parte degli sport sono “invisibili”. E’ come se l’insegnante di italiano decidesse di fare solamente poesia, trascurando tutti gli altri generi letterari, o l’educazione scientifica fosse solo la biologia... Ogni sport insegna qualcosa e presuppone un modo di essere dell’atleta, non solo sul piano fisico.
Tra le proposte del Ministro Fioroni c’è anche l’istituzione di un premio Fair Play nell’ambito delle finali dei Giochi Studenteschi. Cosa ne pensa?
Se si pensa di istituire un premio Fair Play, mi viene da dire che di Fair Play ce n’è poco… Ma al di là di questo, creare un premio può avere un significato simbolico importante. Il fair play è ciò che si impara giocando, non si insegna con lezioni o discorsi, ma partecipando attivamente al gioco. Una volta che questo si realizza, occorre riconoscerlo come tratto distintivo e qui entra in gioco la capacità del buon educatore sportivo.
Tra i valori che il gioco sportivo trasmette ha indicato la competizione e la collaborazione. Come possono coesistere questi due aspetti?
Lo sport non è mai stato visto molto bene dalla cultura educativa corrente, perché evoca competizione e questa è ritenuta un disvalore rispetto alla collaborazione. Si ritiene importante che i bambini imparino a cooperare, non a competere, ma questa è una distorsione pedagogica. Competere non significa voler vincere a tutti i costi, ma misurare le proprie capacità nel confronto reciproco.
Che cosa significa veramente?
Deriva dal latino “Cum-petere”, indica un’opzione comune e richiede la condivisione di un campo di gioco e delle regole. La competizione ha un valore altissimo sul piano educativo: attraverso essa si impara a confrontarsi, mettendo alla prova le proprie capacità e condividendo un setting di regole con l’avversario. Collaborazione e competizione, quindi, non vanno letti come termini antitetici. Occorre insegnare a competere bene e a cooperare bene.
Le proposte di Fioroni prevedono una diversa strutturazione dell’offerta sportiva scolastica, con apertura delle palestre al pomeriggio e il coinvolgimento sia di insegnanti di Educazione fisica sia di laureati in Scienze Motorie. Ritiene possibile questo cambiamento?
Un progetto di questo genere richiede senz’altro figure educative che siano dei professionisti dell’educazione sportiva. Purtroppo l’insegnante di Educazione fisica è stato sempre visto come una figura marginale nell’ambito della professione educativa, per colpa di una cultura scolastica che ha marginalizzato questa dimensione formativa. Il possibile coinvolgimento di laureati nelle Facoltà di Scienze Motorie è positivo, poiché queste Facoltà, di recente istituzione – quasi dieci anni, anche se hanno inglobato gli Isef - offrono una formazione multidisciplinare, che unisce le conoscenze specifiche del corpo, del movimento e dello sport alle competenze psicosociopedagogiche necessarie in campo educativo. Anche nelle scuole dell’infanzia e negli asili nido queste dimensioni non andrebbero mai disgiunte. Ogni educatore o insegnante dovrebbe avere una preparazione di base in questo campo, ed essere affiancato da professionisti nelle scienze motorie per i progetti specifici. La stessa osservazione vale anche per l’ambito extra-scolastico.
Per le società sportive?
Esattamente. Coloro che sono istruttori all’interno di società sportive e lavorano con bambini e ragazzi devono avere buone competenze educative oltre che tecniche, per poter essere non solo degli allenatori. Nell’età dello sviluppo l’esperienza sportiva è esperienza di formazione del soggetto e il Mister è a tutti gli effetti un educatore.
Chi è il professor Roberto Farné
Roberto Farné è professore ordinario di Didattica generale e Pedagogia dello sport presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna.
Presso la Facoltà di Scienze Motorie, per il Corso di Laurea in Scienze Motorie insegna “Didattica generale”, “Pedagogia del gioco e dello sport” e “Pedagogia del corpo e della psicomotricità”. Per il Corso di Laurea Specialistica in Scienze e tecniche dell’attività sportiva insegna “Pedagogia del corpo”. Per il Corso di Laurea Specialistica in Scienze e tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata insegna “Pedagogia speciale” e “Pedagogia del corpo”.
Presso la Facoltà di Scienze della Formazione, per il Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria e per il Corso di Laurea in Operatore culturale/esperto in scienze dell’educazione insegna “Iconologia e iconografia”.
I suoi campi di studio e ricerca, sia empirica che teorica, documentati da numerose pubblicazioni, riguardano prevalentemente:
- I rapporti fra educazione e mass-media
- La cultura dell’infanzia, in particolare nei processi educativi extrascolastici e nel gioco
- I problemi dell’aggressività e dei conflitti in campo educativo.
Nel 2003 è stato vincitore de “Lo Stilo d’oro”, Premio nazionale di Pedagogia “Raffaele La porta”, nella sezione “Didattica” con il libro Iconologia didattica. Le immagini per l’educazione dall’Orbis pictus a Sesame street, Zanichelli, Bologna.
Ordinariodi Sociologia generale presso la Facoltà di Scienze motorie
Delegato del Preside per la Comunicazione sportiva
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28/02/2007
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