A Ottawa, ad una bambina di dieci anni, viene proibito, dal padre, l’utilizzo del computer per più di quarantacinque minuti al giorno. I giochi al computer, si sa, causano dipendenza. Quale genitore vorrebbe un figlio dipendente? Nulla di clamoroso, quindi.

La notizia, però, fa scalpore, in quanto, la bambina a cui viene limitato il tempo trascorso davanti al PC, ha un cognome peculiare: Gates. E…no, non è un omonima del celeberrimo Bill, bensì proprio la piccola figlia, per la quale, a detta del padre, i giochi su internet stavano diventando un vizio.

Strano, del resto, quanto la nonna che prepara la marmellata al nipotino e poi gli impedisce di mangiarla. Sembra un gesto troppo moralista, da parte del geniale Gates: quasi un’ancora, che gli permetta di salvarsi da quanti lo accusano di aver creato un sistema nocivo alla salute celebrale, in particolare, a quella dei bambini.

Certo è, che non ha imposto una regola errata: il genitore è, prima di tutto, un educatore. Ed è, soprattutto in qualità di educatore, che ha bisogno di dialogare con il figlio. Il che risulta un po’ difficile, se il ragazzino è preso da un gioco piuttosto che da un altro, davanti a uno schermo, che lo fa tacere, impedendogli di pensare e gli rovina la vista.

E, inoltre, iniziando a trascorrere molto tempo davanti al computer da piccoli, è ovvio che, crescendo, si diventi dipendenti dai PC. Non è un film di fantascienza: se si continuerà in questo modo si perderà il fine per cui è stato inventato Microsoft e il suo contenitore.

Bisogna rammentare sempre che sono i computer gli strumenti, e non il contrario.