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Chi ha paura del PACS cattivo?

San Benedetto del Tronto | Come e perché le unioni civili conculcherebbero i diritti di quasi tutta la popolazione italiana.

di Francesco Tranquilli


In queste ore, nella Reggia di Caserta, l’Unione dei Prodi elabora le sue oscure trame. Fra i tanti trucchi che Romano Silvan sta perfezionando ai danni della nostra Patria, uno dei più temuti è che egli riesca, con la collaborazione delle sue collaboratrici dal torbido fascino Barbara P. e Rosy B., ad estrarre dagli abissi del suo cilindro il coniglio di una legge che introduca i PACS, o unioni civili che dir si voglia. Deus avertat! Sarebbe la fine degli ultimi valori residui su cui la nostra decadente società si basa.

Ieri un mio amico d’animo ingenuo, che ha poca o nulla conoscenza della storia e dei fatti della vita, sfogliando un quotidiano mi ha chiesto: “Scusa, ma qual è il problema se l’Italia introduce nel suo ordinamento giuridico i PACS, come in tutti gli altri paesi d’Europa? Come mai Papa Ratzinger se ne dà tanto pensiero? Perché dovrebbe disgregarsi la famiglia tradizionale, o addirittura la società?”

L’ho guardato con sussiego misto a compassione, l’ho preso da parte, l’ho redarguito per la disinvolta menzione del nome del Santo Padre, e ho cercato di illuminarlo su quella che è una verità inconfutabile: l’estensione dei (cosiddetti) diritti di alcune categorie di cittadini comporta sempre, inevitabilmente, la limitazione dei diritti di tutti gli altri!

Il mio amico appariva perplesso, così non ho potuto esimermi dal presentargli alcuni argomenti indiscutibili, di carattere storico, a sostegno di questa lampante verità.

Prendiamo l’abolizione della schiavitù nel Sud degli Stati Uniti d’America: non ha essa di fatto cancellato i diritti dei ricchi proprietari terrieri di disporre a loro piacimento delle braccia dei loro operai e del corpo delle proprie domestiche? Con quale vantaggio per il resto della società?
Il mio amico non ha saputo replicare a questo bruciante attacco, e ne ho approfittato per incalzarlo.
Restiamo negli Stati Uniti, paese peraltro benemerito come esportatore di civiltà. La concessione dei diritti civili agli afro-americani, non ha forse costretto ogni stato a rivoluzionare quantomeno il sistema scolastico e dei trasporti, azzerando il diritto dei bianchi di avere scuole, università e tram tutti per loro?

Vogliamo parlare dell’inutile concessione del voto alle donne? Di fronte ad un impatto irrilevante sul piano istituzionale, dove le donne sono tutt’oggi pochissimo presenti, segno di un loro naturale disinteresse per il governo della patria, in realtà abbiamo tolto agli uomini la facoltà di usare frasi tipo “Zitta tu che non capisci niente di politica” o “Tu taci che sei solo una donna”. Ma qui il mio amico ha avuto buon gioco a replicare che invece queste espressioni sono tuttora di uso comune. Bravo, un punto per lui.

E vogliamo parlare del divorzio, questa piaga che da più di trent’anni affligge la carne viva della nostra società? Ai tempi del dibattito referendario, nel 1974, la buonanima di Amintore Fanfani, in un comizio del suo partito, ammonì con inascoltata lungimiranza il suo uditorio femminile: “Se ci sarà il divorzio – vaticinò l’alto personaggio – vostro marito vi lascerà per scappare con la cameriera!”.

Ora, benché le fughe con il personale di servizio non siano di fatto state incentivate dall’istituto del divorzio (erano infatti in voga anche prima), i suoi infausti effetti liberticidi permangono virulenti ancora oggi, colpendo, secondo i casi, l’uno o l’altro dei coniugi. Infatti, dal punto di vista maschile, esso ha posto un ingiusto freno ai sacrosanti maltrattamenti alle mogli indocili, che si sono ritrovate a disporre di una subdola arma di ricatto riassumibile nella formula “smettila o chiedo il divorzio e mi paghi gli alimenti”.

Ma anche la categoria reciproca delle mogli vessatrici e picchiatrici, per lo stesso meccanismo diabolico, si è ritrovata con le mani legate. Onde oggi ai poveri coniugi incompatibili, afflitti dalla spada di Damocle della richiesta di divorzio, non resta che sfogarsi sui figli, a cui non è (per ora) consentito divorziare dai genitori. E’ pur vero che surrettiziamente è stato intanto introdotto anche il diritto dei bambini a non essere bastonati o frustati, ma ci si può sempre rivalere su di loro deprivandoli d’affetto o facendoli violentare da un conoscente o (meglio) da un congiunto. In mancanza, non restano che i vicini di casa.

Per venire a oggi: ve lo immaginate che catastrofe se due persone qualunque potessero decidere di “formare una coppia” senza essere costretti a fissare l’appuntamento con il prete o con il sindaco? Io sono di mentalità aperta, quindi posso capire che una coppia di single ottantenni non vogliano sposarsi in chiesa per il troppo imbarazzo a dover frequentare gli indispensabili corsi per fidanzati, ma tutti gli altri? Per quale assurdo motivo, potendo scegliere fra convolare con rito religioso (consigliato) o civile (per atei e comunisti) dovrebbero egoisticamente togliere il pane di bocca prima ai fabbricanti di confetti, ai fiorai, ai registi di matrimoni, e dopo, eventualmente, alla Sacra Rota o agli avvocati divorzisti che aspettano la crisi coniugale come la manna dal cielo? Non hanno forse diritto anche queste categorie a guadagnarsi da vivere?

“Sì, vabbè,” ha balbettato il mio frastornato amico, “ma le coppie omosessuali, allora? Quelle proprio non possono sposarsi. Almeno loro…”. L’ho subito zittito, trionfante. Qui lo volevo: ecco il punto dolente. Gay e lesbiche: ma ci avete pensato? Qualora questi individui dovessero potersi unire civilmente, essere riconosciuti come coppia, e magari avere persino il diritto di tenersi per mano nell’ascensore del vostro condominio, che fine farebbe il diritto dei naziskin, dei veri maschi, di molti preti, degli omofobi di ogni sorta, di bollarli come schifosi pervertiti? Insomma, conta più la libertà di “convivenza” di pochi, o quella di parola e di opinione di tutti gli altri?

Soprattutto voi, donne, rifletteteci: che vostro marito scappi con la baby-sitter, passi. Ma ve lo immaginate che smacco sarebbe, per voi, se dovesse metter su casa col vostro parrucchiere?

13/01/2007





        
  



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