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Le primarie un anno dopo

San Benedetto del Tronto | Come mai questa sopravvivenza all’episodio? La risposta è che le “Primarie” hanno incrociato, incrociano, lo spirito del nostro tempo: che è quello in cui giovani, donne e uomini cercano una profonda riorganizzazione della politica intorno a verità.

di Tonino Armata


Nell’estate del 1892 ferveva nell’allora giovane sinistra italiana la discussione sulla fondazione del nuovo partito. C’erano quelli che, come l’irascibile Antonio Labriola, lo volevano rigidamente classista, marxista, antipositivista, antiparlamentare. C’erano altri (Costantino, Lazzari, Maffi) che sostenevano la necessità che esso si fondasse s n’ampia base democratica, anche ideologicamente eterogenea. Prevalse allora la posizione “centrista” di Filippo Turati e di Anna Kuliscioff. E nacque il grande e glorioso partito socialista italiano (Giovanni Pieraccini, Socialismo e riformismo, un dialogo tra passato e presente, ed. Marietti)

Ora, dopo riflessioni sul passato, comincia a posarsi il polverone di un ‘900 che è finito con il crollo dei suoi miti e delle sue etichette; che cosa ora significa “destra”, che cosa significa “sinistra”? C’è un gran subbuglio. Perché cominciano a intravedersi le nuove e vere fratture d’opinione. E si capisce che le faglie si sono aperte all’interno di vecchi schieramenti, confondendo le antiche appartenenze. Si vede perciò un ritorno di protezionismo che accomuna destri e sinistri.

E si vede una sfida economico-sociale alla globalizzazione basata sulla cooperazione sopranazionale, sfida che unisce nuovi “liberali” e nuovi “laburisti”.

Si sente, perciò, ancora una nostalgia di fossati contro le immigrazioni e le importazioni: lo stesso groppo che prende alla gola vecchia destra e vecchia sinistra (uniti nella lotta). Si sente, di contro, una voglia di costruire ponti e andare avanti, per non essere sopraffatti dai modi vecchi di affrontare problemi nuovi, voglia di rischio necessario che anima allo stesso modo elettori e militanti di destra e di sinistra. Vi è insomma la liquefazione del panorama politico che durava da due secoli.

Vi è un immenso processo d’assestamento in un mondo che si è fatto stretto. E’ per questo che la partecipazione diretta dei cittadini ora ha per la politica un valore d’ancoraggio. Si ritorna alla base, non perché i partiti hanno tradito la loro ragione sociale di pensare l’avvenire. Ma perché la loro funzione è ormai bloccata dai poteri di veto derivanti da una composizione fatta di scomposizioni. Eco anche perché, finché dura la grande marea sembra cos rischioso pensare a nuovi partiti mentre è così incerta la forma di quelli esistenti. Ma c’è di più. Perché già oltre la democrazia partecipativa, pur così carica d’innovazione - con il coinvolgimento diretto dei cittadini nella “vita democratica” (per usare le parole del progetto di Costituzione europea) - s’intravedono nuovi passaggi da compiere.
Il problema dei problemi della nostra società è, infatti, quello dell’immensa massa di estranei alla politica (vedi raccolta delle firme per la petizione al Parlamento italiano) che non hanno alcuna voglia di “partecipare” in ogni caso alla politica. Ma che tuttavia non sono tutti, e non sono ancora, l’”antipolitica”.

Passato un anno dalle”Primarie” del 16 ottobre 2005, si capisce che c’è un legame che tiene uniti i giorni in cui gli italiani hanno deciso di “non andare al mare”. Giorni memorabili. Come quello del referendum del 9 giugno 1991 che vide sconvolta la linea di successione interna ai partiti, basata sui voti multipli di preferenza. Come quello del referendum del 18 aprile 1993, che cambiò la “costituzione” elettorale del paese dal proporzionale al maggioritario: e così capovolse il rapporto di forza tra gli elettori e i partiti in parlamento. Come quello del referendum ultimo del 25 giugno 2006 che respinse il tentativo ricambiare, come una lottizzazione tra i quattro partiti del centrodestra l’identità costituzionale della Repubblica e la storia delle sue origini.

Il legame comune fra il 15 ottobre 2006 e il 15 ottobre delle “Primarie” è che tutti sono segnati dal rigetto elettorale dei partiti così come sono nella vita politica italiana. Ma le primarie fanno un passo assai più largo in avanti. Perché esse non utilizzano uno strumento giuridico già previsto dalla Costituzione come il referendum.

Esse ne inventano uno nuovo. Riscoprono un metodo: a metà strada tra le norme della democrazia rappresentativa (Parlamento, istituzione-partito) e della democrazia diretta (referendum, iniziativa popolare). Nasce così la democrazia partecipativa. Che non ripudia affatto Parlamento e partiti, ma ne rivoluziona i processi di decisione interna. Assegna ad una base di elettori il potere di porsi all’inizio di quei processi: e, dunque, di marcarli profondamente e di mutarne la capacità, per così dire, di “stare al mondo”.

E’ questo metodo la cosa che veramente resta, ad un anno di distanza e che resiste. Sia contro la stupefacente rivelazione che nessuno ha finora pensato di ordinare e di fare un uso politico sistematico della straordinaria banca-dati volontariamente formata da quattro milioni e mezzo di cittadini (da allora un po’ abbandonati a se stessi e magari dispersi). Sia contro la fuorviante idea che quel giorno sia così, all’improvviso, costituito un partito, magari intorno al leader che fu plebiscitato. Dimenticando che qualsiasi personalizzazione della politica (pur necessaria per la sintesi e per l’unione) non è per sé sufficiente a creare un partito vero: se non c’è, assieme, la percezione e la passione di quella che l’ex presidente Ciampi chiama la “missione”.

Resiste dunque il metodo delle primarie contro tali devianze. E viene anzi proposto per applicazioni diverse da quella originaria. Non solo quindi come modo di pre-scelta dei candidati elettorali. Ma anche come referendum per conoscere il reale orientamento di un’opinione pubblica “situata” in una certa predisposizione politica. Ma anche come consultazione su progetti di legge “difficili” da parte dei gruppi parlamentari di riferimento.

Come mai questa sopravvivenza all’episodio? Perché vi è anche una diffusa curiosità europea? La risposta è che le “Primarie” hanno incrociato, incrociano, lo spirito del nostro tempo: che è quello in cui giovani, donne e uomini cercano una profonda riorganizzazione della politica intorno a verità diverse e reali.

04/11/2006





        
  



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